Pubblichiamo di seguito la seconda e ultima puntata del racconto “Cronaca nera” di Francesco Divenuto. Protagonista un giovane fotoreporter. Nel palazzo della redazione muore un uomo in circostanze misteriose.
SECONDA E ULTIMA PUNTATA
Dentro, ancora con il cuore in gola, mi guardo intorno e poi, deciso, mi dirigo verso la camera da letto. Ennesimo errore ma questa volta non ho il tempo di riflettere.
– Non toccate niente, teste di cazzo, è la prima volta che fate un sopralluogo?
Le urla del commissario hanno distratto tutti i presenti. Mentre scatto noto che la scena è diversa da come la ricordavo. Mi sembra che, ora, la biancheria del letto sia più in ordine. Qualcuno ha alzato le lenzuola giustificando le urla del commissario.
– Vai sopra, mi dice Claudia, e prepara un paio di foto; io vengo subito e scrivo il pezzo. Forse facciamo in tempo per l’edizione del mattino. Saremo i primi; vai, fai presto.
Non ci vuole molto a scegliere un paio di scatti; in fondo la digitale permette tempi rapidi. Corro dal proto; nel mostrargli le immagini sul display un sudore freddo mi percorre la schiena mentre mi accorgo dell’errore.
– Aspetta, gli dico; ne ho altre con un’inquadratura migliore e, veloce, cancello le prime nelle quali ho riconosciuto quelle scattate quando ero da solo nell’appartamento.
Sono sicuro che il collega non ha fatto in tempo a vedere la differenza fra le varie foto.
– Ecco, lasciami queste quattro, Vittorio, poi vedo io sulla pagina quali stampare.
-A che punto siete? Claudia è entrata e mostra la bozza della pagina. Leggo il titolo: Assassinio di un noto avvocato del foro napoletano. Sottotitolo: La polizia, per ora, non esclude nessuna ipotesi.
– Che cosa si sa, Claudia, chiedo.
– Il commissario pensa a un furto finito male. Forse l’avvocato ha sorpreso il ladro; ma è tutto ancora molto poco chiaro. Per ora hanno solo trovato, nell’ingresso, i documenti dell’avvocato. La scientifica vedrà se ci sono impronte. Se il pezzo è troppo corto, dice rivolta al proto, puoi allargare le foto, non abbiamo molto tempo.
– Scusate io andrei via; sono stanco.
– Sì, Vittorio, bel lavoro. Sono contento per te. Ci vediamo domani?
– Sì certo. buonanotte.
Non fa freddo, per cui decido di andare a piedi. Ho bisogno di riflettere. Devo ripensare a tutti gli errori che ho commesso per essere sicuro di non essermi tradito. Le impronte, ha detto Claudia. Forse i documenti ritrovati non erano nel portamonete e, comunque, io non credo di aver toccato nulla, ho solo preso i soldi; un gesto che non mi dà pace.
Dovrei almeno verificare l’entità; ma sono stanco e una volta a casa, faccio una rapida doccia e vado a letto. Sono un vigliacco, penso; rimandare a domai non ha senso e del resto ora non riesco a dormire. Prendo dal cassetto la busta che ho preso per non lasciare le mie impronte. Non vi è mittente ma solo il destinatario. Leggo: Copia per il notaio, ma il nome è stato ricoperto da un segno di pennarello.
Tiro fuori il contenuto: una mazzetta di banconote con ancora la fascetta della banca. Non c’è altro. Penso che, nella busta, dovesse esserci anche un documento, forse un testamento e in tal caso avremmo la spiegazione del furto. Il ladro, scoperto dal proprietario, sarà stato costretto a uccidere; ma non capisco perché lasciare i soldi e la busta sulla quale certo avrà lasciato le impronte. No, forse aveva i guanti; quindi sulla busta ci sono soltanto le mie; per fortuna sono rientrato per riprenderla.
Richiudo in fretta il cassetto. Come posso aver fatto questo. Le mie precarie condizioni economiche non costituiscono una giustificazione convincente. Che cosa spinge a commettere azioni che, dopo, stentiamo a riconoscere come nostre? Quei soldi non mi appartengono; devo restituirli anche se so che è impossibile; come potrei mai riportarli nell’appartamento. Come posso ritrovare un minimo di serenità. Non posso dirlo a nessuno nemmeno a Claudia. Il tormento di Rodion, allora, non è più soltanto letteratura. E questo ricordo non aiuta certo.
Ritorno a letto ma solo all’alba riesco a prendere sonno. Quando mi sveglio fuori è già giorno inoltrato. Mi precipito al giornale.
– Te la sei presa comoda, vedo, mi dice Claudia.
– Scusa, lo so che è banale ma non ho sentito la sveglia.
– Lascia perdere, scherzavo; tanto qui, dopo i fatti di stanotte, non è successo niente. Piuttosto hai visto il giornale? Ecco, guarda. Le foto sono ottime. Anche il direttore lo ha detto e quello, sai, complimenti non ne fa mai. Anzi mi ha chiesto di dirti di lasciare una copia in archivio.
Leggo l’articolo che non aggiunge molto a quello che già so. Claudia è brava; ha descritto l’appartamento, l’ambiente e lo stato in cui è stato trovato l’avvocato, l’evidente disordine lasciato e avanza una serie di ipotesi evidenziando particolari che lasciano aperta ad ogni spiegazione, compreso il suicidio.
Vorrei chiedere qualcosa sul delitto ma devo stare molto attento non posso commettere altri errori.
– Claudia, chi vi ha avvertiti a quell’ora? Avete sentito qualcosa?
– Ci ha chiamati il portiere; aveva visto qualcuno fuggire dal palazzo ed insospettito è salito ai vari piani.
– La polizia, questa notte, lo ha interrogato ma non ha ricavato niente. Lui dice che aveva un lungo impermeabile ma non saprebbe riconoscerlo.
Sto sudando freddo; ma non oso chiedere particolari; vorrei sapere che cosa, con precisione, ha visto il portiere; però, ora che ci penso, io non avevo un impermeabile, di questo sono sicuro. Se io non ho visto il portiere vuol dire che lui mi avrà visto di spalle; ero di corsa, certo non può aver notato nemmeno la sagoma. Ora sono più tranquillo.
– Ma come lo hanno ucciso? chiedo.
– Ucciso? E chi ha parlato di assassinio? No, non ci sono segni che lascino pensare ad un delitto. Potrebbe aver avuto un malore, un infarto, forse ha cercato di scendere dal letto per chiamare qualcuno, chissà. Comunque si deve aspettare il risultato dell’autopsia.
– Scusa e quello che scappava? Il portiere dice che l’ha visto.
– Ma poteva essere il fattorino di un ufficio, sai, a quell’ora, certo aveva fretta. Anche la polizia non sembra dare importanza a questo particolare.
Devo assolutamente tacere, continuo a dire sciocchezze; meno male che Claudia mentre parla continua a guardare sul monitor; devo avere un volto cadaverico.
E allora? Vorrei chiedere, come si spiega quel disordine, la porta aperta, la busta nell’ingresso con i soldi? Già i soldi. Sono terrorizzato; ma devo dire qualcosa, non posso andar via così.
– Ma viveva solo? Non aveva parenti? Così va meglio, resto sulle generali.
– Il portiere dice che nessuno lo conosceva, era venuto da poco ad abitare nel palazzo, stava ancora sistemando le sue cose; hai visto che disordine?
Ma qualcuno deve essere entrato nell’appartamento, penso; altrimenti come si spiegano i piatti sporchi in cucina. Ma questo non posso dirlo perché quando sono entrato una seconda volta nell’appartamento ricordo bene di essere andato soltanto nella camera da letto.
Mi chiedo se sia giusto tacere. Potrei involontariamente coprire se non un delitto, forse un furto. Non riesco a giudicare la mia posizione; non ho la serenità per considerare tutti i particolari anche se, ora, sono meno preoccupato; comincio a riavere il controllo della situazione; decido di andar via.
– Bene, Claudia, vado al bar, vuoi qualcosa? Ti porto un caffè?
– No grazie, piuttosto, più tardi pranziamo insieme? Ti devo anche dire una cosa importante.
– Con piacere, Claudia ma non puoi dirmi di che cosa si tratta? Mi metti ansia.
– No, no, voglio prima capire meglio e poi ti riferisco; ma non c’è nessun pericolo, non preoccuparti, al massimo non se ne fa niente.
Claudia è sempre molto affettuosa con me fino a suscitare non pochi pettegolezzi nella redazione. Ma sono solo malignità. Claudia è una donna meravigliosa ma ha una vita complicatissima con una famiglia che le da non pochi problemi. Lei apprezza la mia onestà; sono certo che, in me, lei rivede se stessa alle prime armi.
Mentre bevo il caffè, un pensiero mi attraversa, veloce, la mente, come mai non ci ho pensato prima: nell’atrio del palazzo ci sono le telecamere di sorveglianza; qualcosa avranno ripreso. Sudo freddo; la mia situazione è sempre più in pericolo. E se andassi via? Potrei inventarmi un problema di famiglia e ritornare al mio paese; capisco al volo che è un’idea stupida. Anzi attirerei maggiormente sospetti. In fondo io ho soltanto preso dei soldi; non è la pena eventuale che mi spaventa quanto la perdita di fiducia da parte di Claudia; questo sarebbe insopportabile. Affronterò la situazione.
Rientrando, nell’atrio, vedo una squadra di operai che sta lavorando; mi fermo incuriosito.
-Stanno riparando la fotocamera, mi dice il portiere; era bloccata da molti giorni ma solo adesso la ditta è potuta venire.
In ascensore sento il mio cuore in gola; sul piano respiro profondamente e mi affaccio nella stanza di Claudia. La sua sedia è vuota. Mica mi avrà raggiunto al bar? Penso. Poi la vedo in fondo al corridoio; parla con qualcuno e mi fa cenno di aspettare.
Poco dopo, seduti al bar, mi guarda sorridendo.
– E allora, mi dice, non mi chiedi della novità?
– Sì, hai ragione; da come mi guardi penso che sia una bella notizia per me.
— E puoi ben dirlo. Hai visto prima con chi parlavo? Era Scaglia, sai il direttore del magazine culturale. Dunque, te lo dico in breve ma tu aspetta che lui ti chiami. Ti affiderà un servizio fotografico sulla Mostra che si terrà al Museo Nazionale il mese prossimo. Pare che sarà un avvenimento culturale di grande importanza e il direttore vuole preparare un numero speciale del magazine. Che dici?
– Claudia, sono senza parole. Ti ringrazio molto.
– Oh! no, non è tutto merito mio sai; ha visto le tue foto di stanotte e mi ha chiesto se conoscevo l’autore. Capirai, gli ho detto che lavoravi per noi ma che stavi passando ad un’Agenzia molto importante di Milano collegata con la stampa estera. Ho recitato bene, sai. Mi ha detto di non lasciarti andar via; fategli un contratto, in esclusiva se occorre. Vittorio, credimi, non ero nei panni dalla gioia. Sono contenta per te. E tu? Non dici niente?
– Aspetta Claudia, ora mi sveglio. Rido felice. Ho dimenticato i miei problemi. Grazie Claudia, sei sempre molto affettuosa; spero di non farti fare una pessima figura.
– Vittorio, lo sai che sei bravo, ma devi avere più fiducia in te stesso. Sei sempre così timido, diamine; mi ricordi quando ho cominciato io. Piuttosto ricordati, io non ti ho detto niente.
Mentre rientriamo
– A proposito, mi dice Claudia, ma non ti ho detto l’ultima. Pare che l’avvocato, sì quello del settimo piano, fosse un famoso falsario ricercato dalla polizia di mezzo mondo. Questa notte hanno arrestato un direttore di banca; sembra che fossero d’accordo e che, nella filiale, pulivano i soldi. Comunque non è stato ucciso. Stanno verificando il suo cellulare; se il direttore, prima di essere arrestato, ha fatto in tempo a chiamarlo, è possibile che l’avvocato sia stato stroncato da un infarto.
Ma i piatti sporchi, penso, dimostrano che ha avuto ospiti, forse complici implicati nel traffico i quali, semmai dopo la telefonata, avranno cercato di far sparire le banconote senza sapere, però, dove cercarle. Ecco, allora, spiegato il disordine. Tutto torna, ogni cosa è al suo posto; ora mi è chiaro come si sono svolti i fatti. Naturalmente non dico nulla; sono troppo contento.
– Che bella giornata, Claudia, vero?
– E questo che c’entra? Ma mi hai ascoltata Vittorio?
– Sì Claudia, ho capito; pensavo che, a volte, la gente si complica la vita; per che cosa poi? Per guadagnare sempre più soldi. Sento caldo, ma sono finalmente tranquillo; quando rientro, accenderò il camino e so già con che cosa alimenterò il fuoco.
(2.fine)
PRIMA PUNTATA
Ho come una sensazione di fame. Prima di andar via passerò da Claudia; lei ha sempre dei pasticcini sulla scrivania e quando entro, dopo avermi salutato, con discrezione si allontana con un qualsiasi pretesto. Sono sicuro che lei sappia delle mie intenzioni di sgraffignare qualche dolcino.
Del resto lei li tiene li, in bella vista, proprio per i visitatori, amici o meno. Nel percorrere il corridoio che porta alla sua stanza, mi ricordo che non mangio da ieri ed ormai sono quasi le otto di sera. Avevo da terminare un servizio fotografico che spero mi renda molto. In questi ultimi tempi il direttore del giornale ha cercato di contenere le spese ed una pagina scritta, si sa, costa meno di alcune fotografie.
Poiché lavoro ormai da qualche anno non sono più ritenuto un principiante ma un contratto vero, quello ancora non lo vedo all’orizzonte. In cambio il direttore non mi chiede l’esclusiva delle foto ma, in questo periodo, sistemarle presso altri quotidiani o settimanali è diventato difficile. La crisi ha colpito l’editoria in maniera feroce.
Incontro colleghi, più o meno cortesi, che mi salutano ma io so che cosa pensano. I soldi sono pochi e più collaboratori girano in redazione meno ce n’è per tutti.
Inoltre la chiusura di tutte le manifestazioni pubbliche ha ridotto anche le occasioni del nostro lavoro ed il quotidiano, come tutti quelli a tiratura limitata alla Regione, ha risentito la crisi più di quelli nazionali. Resistono le pagine di critica politica e quelle culturali; quest’ultime a stento sopportate per non compromettere il buon nome del quotidiano.
Anche gli sgarbi, allora, hanno una loro giustificazione. Colleghi anziani e con famiglia portano in volto i segni di una difficoltà ai limiti dell’indigenza.
Claudia è ritornata nella sua stanza; è scura in volto. Con me ha una certa confidenza per cui non devo insistere molto per sapere che cosa la preoccupi. Entrando nella stanza del direttore, mi dice, lo ha trovato che parlava con l’amministratore; le notizie non sono buone. Il giornale non riesce a coprire le spese con gli introiti della pubblicità. Gli inserzionisti, in questo periodo difficile, disdicono l’abbonamento. E le banche non concedono mutui. Non si vogliono esporre, dicono; e certo hanno ragione anche loro.
E il direttore che cosa pensa di fare, le ho chiesto.
– Quando sono entrata, riprende Claudia, hanno cambiato discorso ma io ho visto sulla scrivania la pianta dell’organico. Temo che fra qualche giorno, per qualcuno non ci saranno buone notizie. Ma forse sto esagerando, conclude. Siamo tutti molto stanchi.
– Claudia ti ringrazio ma io lo so, i primi a correre rischi siamo noi esterni. Del resto, non avendo nessun contratto, è facile non aver bisogno del nostro lavoro. Ieri ho saputo che anche i correttori sono stati ridotti di numero. Qualche refuso in più val bene i soldi risparmiati.
– Mi dispiace Vittorio; che cosa pensi di fare?
– Sinceramente non lo so. Claudia io faccio fotografie e pensa, dico ridendo, in questo periodo non si possono fare cerimonie o feste per cui non posso nemmeno fare il fotografo degli sposi.
Anche Claudia ride ma è una risata amara.
– Che fai Claudia? Ne hai ancora per molto?
– Sì Vittorio. Sto aspettando una telefonata importante. Resto ancora un po’. Ci vediamo domani.
La saluto e vado via. Che strano, non sono preoccupato. Vuol dire che, nei prossimi giorni, metterò ordine nelle mie cose. Volevo sempre rifare il mio book fotografico, aggiornare il curriculum; penso anche di fare qualche telefonata ad amici che ho sempre rimandato.
L’ascensore è occupato, come al solito. Dalla finestra si vedono le luci della sera.
Decido di scendere a piedi. I piani sono molti ma non mi dispiace muovermi. I pensieri sono tanti ma in un modo o nell’altro sono sicuro che ne uscirò. Penso che in fondo sono un fortunato. Non ho famiglia o impegni affettivi; almeno per un po’ di tempo potrò sopravvivere. Ora sorrido pensando alla mia storia d’amore naufragata qualche mese fa. Allora mi era sembrato un momento difficile da superare anche se in realtà la storia prima di concludersi si era già consumata.
Continuo a scendere le scale. Su un pianerottolo, non so a quale piano mi trovo, c’è una porta appena accostata. A pensarci dopo, non saprò dire per quale motivo mi sono fermato incuriosito. Quasi tutti gli appartamenti sono occupati da uffici che, in alcuni casi, si sviluppano su più piani dell’edificio come la nostra redazione che è distribuita sugli ultimi due. Non mi risulta che ci siano abitazioni private. La cosa più strana è che dalla porta l’appartamento appare completamente al buio.
Spingo la porta che si apre senza alcun rumore. Tutto è buio. Sarà un appartamento vuoto. Avanzo a tentoni cercando un interruttore. Inciampo in oggetti buttati per terra.
Alla luce del cellulare mi guardo intorno. Quello che deve essere l’ingresso appare in un notevole disordine, un disordine, però, alquanto strano nel senso che le cose sono sparpagliate sul pavimento, comprese alcune sedie rovesciate, come se fossero state buttate all’aria in una fuga precipitosa e non sistemate per essere portate via per un eventuale trasloco.
Ma tutto questo però l’ho pensato dopo. Ora sono preso da un morboso interesse; in maniera automatica prendo la digitale pronto a scattare qualche foto. La curiosità, in fondo, fa parte del mio mestiere. Ho sempre pensato che le abitazioni, anche quando sono svuotate, conservano l’anima dei suoi abitanti. Gli oggetti abbandonati, perché ritenuti ormai inutili, o anche le impronte sulle pareti, tutto, a saper guardare, racconta la vita trascorsa in una casa: giorni lieti o tristi dei suoi abitanti.
La mia immagine riflessa in uno specchio mi riporta alla realtà; forse sto invadendo uno spazio privato ma l’idea di scattare qualche foto non mi trattiene ed avanzo. Entro in una stanza, sulla destra; anche qui il pavimento è invaso da libri tirati giù, senza alcun ordine, dalle librerie che occupano tutte le pareti.
Chi ha fatto tutto questo cercava qualcosa di particolare; certo doveva avere anche molta fretta, perché? In seguito, mi sono chiesto come mai non ho immediatamente pensato ad un furto. Eppure tutto quel disordine non poteva non far pensare ad azioni disordinate e frettolose tipiche di chi cerca qualcosa ma non sa dove cercare. Scene come queste, in fondo, ne ho viste molte; in redazione c’è un archivio fotografico dal quale poter attingere quando, in una pagina di cronaca nera, c’è uno spazio da riempire.
L’oscurità delle altre stanze e l’assenza di ogni rumore mi convincono che nell’appartamento non c’è nessuno. Almeno l’imbarazzo di un incontro, senza saper giustificare la mia presenza in quelle stanze, mi è risparmiato.
In un corridoio, senza finestre, da alcuni armadi, aperti, hanno tirato fuori abiti e biancheria. Mi convinco sempre più che ci è stato un furto forse, penso terrorizzato, interrotto proprio dal mio arrivo; è possibile che il ladro stia ancora nell’appartamento.
Riuscire a fotografarlo sarebbe uno scoop niente male. In un attimo mi ritornano in mente le parole di Claudia e avanzo non senza timore. E se fossero più di uno? Come potrei affrontarli. Mi converrebbe, allora, telefonare ai carabinieri. Già ma non sarebbe la stessa cosa. E se poi fosse tutto un falso allarme? Ci farei la figura del cretino altro che scoop. Decido di proseguire la mia ispezione. Un suono costante, a intervallo regolare, come la goccia di un rubinetto, mi aiuta a trovare la cucina. Ora, volutamente non cerco interruttori.
Alla luce del cellulare mi avvicino alla fontana; quando mi rendo conto che è opportuno non lasciare traccia del mio passaggio ho già stretto, con un gesto istintivo, il rubinetto. Mi meraviglio di questi pensieri; non sono mica sulla scena di un, delitto, almeno credo. Intorno al tavolo sedie rovesciate forse segno di una colluttazione o di una fuga precipitosa. Non nascondo una certa apprensione.
Guardo diversi piatti sporchi, patti usati di recente. Anche se è difficile stabilire quanti fossero i commensali, chi ha mangiato, intorno a quel tavolo, non doveva essere un estraneo. Involontariamente mi accorgo di fare un ragionamento come se stessi ricostruendo i tempi e le modalità di un omicidio; ma tutto questo non ha senso. La spiegazione più probabile è che i facchini, stanchi, dopo aver mangiato qualcosa, hanno lasciato l’appartamento con l’intenzione di ritornare domani se non più tardi; la porta aperta, in fondo, sarebbe solo una semplice distrazione.
Il ragionamento è convincente ma allora perché sono agitato? In realtà quel disordine resta senza spiegazione. Entro in un’altra stanza completamente al buio. Dirigo la luce tutto intorno. Su una parete un letto disfatto; la biancheria, tirata quasi tutta fuori, invade la stanza. Dopo un attimo di esitazione giro intorno al letto e lo vedo.
Stranamente la scena che temevo di trovare ora mi lascia distaccato come una cosa in un certo senso logica; la conclusione di un avvenimento che non poteva avere altro epilogo. Resto un attimo fermo; poi mi avvicino cercando di non calpestare eventuali reperti importanti. Il corpo, riverso, è a faccia in giù con il capo avvolto in un lenzuolo che il morto avrà trascinato con sé cadendo. Non vedo tracce di sangue; potrebbe trattarsi di un malore che abbia colto il malcapitato; ma la scena del disordine continua ad infastidirmi come un pezzo di puzzle che non si riesce ad incastrare perfettamente.
Scatto qualche foto. Dovrei assicurarmi che sia veramente morto; semmai chiamare qualcuno. Un pensiero mi suggerisce di andar via; semmai chiamerò da fuori; mi risulterebbe difficile spiegare la mia presenza. Nel tornare indietro cerco di non toccare niente; in breve sono di nuovo nell’ingresso dove noto qualcosa che prima mi era sfuggito: sotto una sedia, una busta gialla di quelle a sacchetto. È aperta e, all’interno, alcune monete di carta non del tutto tirate fuori. La conferma di un delitto a scopo di furto? Nel calarmi vedo anche un portafoglio. Potrei prenderlo per vedere a chi appartiene; sarebbe un indizio preciso da consegnare alla polizia. In un tempo velocissimo mi rendo conto che sto perdendo il controllo. Toccare quel portamonete sarebbe un errore imperdonabile. Devo andar via al più presto. Nell’alzarmi prendo le monete lasciando la busta.
Fuori non sento alcun rumore. Riaccosto la porta facendo attenzione a non toccare i battenti. Poi, un lampo mi attraversa la mente; rientro, prendo la busta, rimetto i soldi dentro e la infilo in tasca. Perché? Ma ora è l’ultimo dei miei pensieri.
Scendo i sette piani con il cuore in gola. Nell’atrio anche la portineria è chiusa. Camminando veloce per la strada, mi chiedo perché ho preso quei soldi, è stato un gesto sconsiderato, e non so darmi una risposta. Dovrei ritornare indietro ma, per fortuna, riesco a considerare la follia di un gesto simile e le conseguenze che potrebbe comportare. Affannando proseguo verso casa.
Nella segreteria telefonica trovo un messaggio di Claudia la quale mi chiede di chiamarla urgentemente.
– Ma dove eri? Mi dice, corri subito qui; c’è stato un delitto nel palazzo; ma fai presto; il primo che arriva fa il servizio fotografico. Non aggiunge altro e mette giù.
Ripercorro la strada correndo, non riesco a trovare un taxi. Ho la testa che mi scoppia.
Salgo con l’ascensore fermandomi al settimo piano. Troppo tardi capisco di aver commesso un errore; ancora un altro. Come facevo a sapere a quale piano dovevo scendere? Per fortuna sul pianerottolo c’è molta gente e nessuno mi chiede niente nemmeno Claudia che dice ai poliziotti di lasciarmi passare.
(1.continua, 4 gennaio 2021)
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L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di numerosi saggi su riviste specializzate e di due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quello a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”.