Pubblichiamo di seguito la seconda e ultima puntata del nuovo racconto di Francesco Divenuto, “L’amicizia è un minestrone caldo”. Protagonista, la terza età.

SECONDA PUNTATA
Ridendo attraversano il corridoio e, ancora ridendo, si sprofondano nelle poltrone?
Giulio e Paolo sono due vecchi amici, molto legati fra di loro, si conoscono da una vita ed ora che sono rimasti vedovi si fanno compagnia. Non ci potrebbero essere due persone più diverse fra di loro ma l’amicizia, quando è vera, spesso è come un minestrone; puoi, ogni volta, cambiare i vari ingredienti o le porzioni di questi ultimi ma, alla fine, sempre un minestrone viene fuori.
– Piuttosto Giulio, ora che tutta questa sceneggiata è terminata, ritorniamo alle cose serie. Quando sono arrivato hai cominciato tutto un discorso sulla vecchiaia, mi sono preoccupato, che cosa c’è, sei stato dal medico? Ed ora perché ridi?
– Scusa Paolo, aspetta, ora smetto. Scusami, devo confessarti una cosa: sì è stata tutta una scena. Sapevo benissimo dove era il caffè.
– Cosa? Ma mi prendi per il culo?
– No, aspetta, fammi ridere ancora un po’, ora smetto e ti spiego. Quello che ti ho detto della cameriera è tutto vero ma io le ho detto: Concetta, sì, si chiama Concetta, le ho detto: se non la finisci con queste stronzate un giorno ti metto la soda nel sale e poi vediamo il tuo cervello che ragionamento fa. Sai, si è spaventata a morte ed ora, ogni mattina, io la spio quando sta in cucina e prima di iniziare a cucinare vedo che annusa tutti i barattoli, odora, assaggia ma non ha il coraggio di chiedermi; io me la rido ma non le do più confidenza; figurati se mi metto a fare il giro del palazzo per andare dal giornalaio o al bar che sta qui, sotto casa. Ma mi hai preso per deficiente?
– Scusa Giorgio ma mi hai veramente spaventato; te la faccio passare perché siamo amici; ma vaffanculo.
Ora ridono, guardandosi con simpatia.   
– Scusa Paolo, per favore non sederti su quella poltrona, spostati qui.
– Che cosa è questo, un altro esperimento del cazzo: prego, mai sedersi allo stesso posto; sono curioso di sapere quando ti siedi a tavola come fai, dai raccontami un’altra trovata; già tu hai il tavolo tondo che fai? Giri un po’, tutto intorno, ad ogni portata?
– No, che scemo, no Paolo, fra poco, si affaccia la ragazza di fronte; tutte le mattine viene sul balcone, vedessi che spettacolo.
– Cosa da pazzi, ma allora sei proprio irrecuperabile; ma tu sei da legare.
– Ma scusa, lasciami almeno questo piacere; ecco siamo ritornati al discorso che avevo cominciato quando sei arrivato. Dai, adesso facciamo i seri.
– Ah! io devo essere serio, cominciamo bene.
– Hai ragione, scusa ma devi ammettere che è stato divertente e, sai, alla nostra età occasioni per ridere ne sono veramente poche.
– Se lo dici tu.
– Dai, adesso non fare il musone anche perché quello che sto per dirti è una cosa estremamente seria.
– Mi devo preoccupare?
– No, no, sto bene, la mia salute non c’entra almeno quella fisica, va tutto bene.
-E allora, che cosa ti succede?
– Abbi la pazienza di ascoltarmi; dunque: caro Paolo, quando si diventa vecchi, e noi lo siamo, il fisico va a puttane: la prostata, la pressione alta, il diabete, insomma aggiungi tu quello che vuoi a piacere. Ma allora sorge in noi uno stato, come dire, di difesa; sì, certo nuovi accertamenti, le medicine, semmai prodotti sperimentali, ma quelli, al massimo, ritardano la decadenza finale di queste quattro ossa; ma, alla tua mente, non ci pensi? Quella come la difendi?
– Scusa Giorgio, forse non è la mia giornata giusta ma io continuo a non capirti.
– Non essere impaziente, seguimi, è molto semplice. Allora il fisico, più o meno, reagisce e, finché dura, tutto va bene ma la mente no, quella è esigente e per sentirsi viva ha bisogno di combattere; sì Paolo, il cervello, per continuare a funzionare, deve individuare un nemico contro cui combattere, altro che le stronzate di Concetta; e io il nemico l’ho individuato, anzi due che ho definito: un colpevole e un capro espiatorio.
– Aiuto, no Giorgio, fallo per la nostra vecchia amicizia, abbi pietà, non ricominciare con i tuoi scherzi; uno al giorno basta ed avanza.
– No, Paolo, non sono mai stato così serio. Ascolta: il colpevole, quasi sempre, lo riconosciamo nel medico: è un cretino, un incompetente, non ci sono più i medici di una volta etc. e se è uno specialista allora è un venale, vuole convincerti a fare esami inutili, ma costosi, meglio se ti ricoveri in una struttura convenzionata della quale, guarda caso, lui è un azionista di maggioranza. Bene, diciamo che questo nemico, una volta individuato, hai le armi per affrontarlo: respingi, con garbo, le sue richieste, lo lasci perdere per un certo periodo, poi lo richiami accusando un malessere inesistente, lui non capirà il tuo gioco e così vai avanti; e poi, alla fine, qualcosa succederà. Per il capro espiatorio considera che, quotidianamente, ognuno di noi ha bisogno di qualcuno sul quale versare tutto il suo scontento di vivere. E allora le cose sono più complicate. Sì perché, per ottenere un buon risultato, se vuoi che la cosa funzioni, fra te e la persona scelta per ricoprire questo ruolo, si deve instaurare un rapporto di fiducia senza però, attenzione, questo è molto importante, senza, dicevo, esagerare e senza provocare una rottura sì perché mettiamo che io, ogni giorno, quando arriva, tormento Concetta, quella, secondo te, quando tempo impiega per mandarmi a cagare e cambiare lavoro? Vedi che non è facile. Allora occorre che sia una persona a te vicina, una persona che ti vuole bene, una persona alla quale anche tu sei legato e della quale tu conosci i punti deboli. Mi stai seguendo?
– E, allora? Non capisco.
– L’ideale capro espiatorio è un congiunto o, in manca, un cafro amico. Ti sei mai chiesto perché certi matrimoni durano cinquant’anni e, a volte, anche di più? Facci caso. Ti ricordi quel vecchio film francese? Credo che si chiamasse “Le chat” con due stupendi attori: Jean Gabin e Simone Signoret. Questi due avevano trovato il modo per tormentarsi e andare avanti nella loro ormai grigia esistenza; pensa, lui porta a casa un gatto e ogni sera litigano per chi deve portarlo fuori. Sembra una sciocchezza, vero? Eppure, sarà stata la bravura dei due attori, due mostri sacri, il film ti trasmette un’inquietudine esistenziale; vorresti ammazzare il coniuge, prima che il gatto, cosa che pure lei, a un certo punto fa per poi accorgersi di aver commesso un grave errore, sì perché così i due hanno perso l’oggetto del loro livore, il pretesto, la spalla della recita quotidiana che consentiva di andare avanti senza perdere, definitivamente, l’equilibrio, quello che restava della loro sanità mentale.
Ora Giorgio tace mentre Paolo vorrebbe intervenire ma non sa cosa dire; il lungo racconto gli ha trasmesso un disagio, una pena per l’amico che sente seriamente angosciato.
– Ecco, Paolo, girati ma fa piano, non farti vedere, guarda, guarda. Dio che dono della natura; io credo che lei abbia capito che io l’aspetto, godrà a esibirsi per me; sai questa gioventù moderna è così disinibita.
– Scusa Giulio, non vorrei deluderti ma io credo, molto semplicemente, che la ragazza abbia capito sì che tu l’aspetti ma che avendo pena per un povero vecchio guardone ormai decrepito, semmai sordo e pure con la cataratta, si esibisca per darti l’illusione di un desiderio, per donarti, come dire, un guizzo di vita e, con la sua bella presenza, voglia soffiare un po’ di vita su quella fiammella che si spegne ogni giorno di più.
– Ecco, lo sapevo, tu sei il mio destino nero, niente ti va bene; sei triste, sei patetico, attribuisci agli altri il tuo pessimismo, ma io non mi faccio fregare, sai, eh no, non ti illudere, tu non riuscirai a spingermi alla disperazione, io vivrò, sì io vivrò e ti accompagnerò al camposanto e poi andrò a mangiare in pizzeria alla faccia tua.
– Non gridare Giorgio, non farti sentire, che figura facciamo, siamo sempre due persone serie, diamine, contieniti e poi, guarda come sei diventato rosso, così ti fai venire un accidente…
-Ti piacerebbe, brutto gufo, uccello del malaugurio, no, ho deciso: morirò dopo di te, il gusto di seguire il mio funerale non te lo do.
– Scusate, ho salutato, ma non mi avete sentita, che avete da strillare tanto; si sente la vostra voce anche fuori la porta; buon giorno signor Paolo; vi faccio un caffè?
I due amici si guardano un attimo, solo un attimo prima che una risata, una risata fragorosa di quelle con le lacrime agli occhi, di quelle che possono anche provocare un infarto, accoglie le parole di Concettina che, immobile, ferma sulla porta, guarda stupita senza capire questa buffa scena.
– Gesù, Gesù; guarda questi due vecchi rimbambiti, due professionisti seri; mamma mia e chi li capisce. Eh! che cosa diventiamo quando siamo vecchi!
(2.fine) 

  


PRIMA PUNTATA
26 ottobre 2020

– Paolo, ci siamo fatti vecchi.
– L’hai scoperto anche tu? E da quando?
– Lasciami finire, Paolo, non ridere.
– Bene, continua ma per favore risparmiami le solite lamentele perché per quelle le mie bastano e avanzano.
– Vedi, siamo diventati intrattabili; non sopportiamo niente e nessuno ma, aspetta un attimo, non interrompermi. In fondo quello che dico, hai ragione, non è una novità; come dire, risponde ad un repertorio ben noto. Sì hai voglia di dire tutti i vecchi si somigliano, questo è vero solo in parte. Il più della recita è comune a tutti ma poi ognuno di noi aggiunge la sua recita a soggetto.
-Dipende dal carattere ma, soprattutto, dallo stato di salute di ognuno, scusa, è normale; i malati, giustamente, si lamentano di più. 
– Ma tu stai pensando allo stato fisico, alle condizioni in cui questa carcassa si trasporta gli anni ma, vedi, la vecchiaia non è soltanto fisica; le possibili reazioni del cervello hanno il loro peso e, spesso, è lui, questo nostro mezzo chilo di neuroni i quali, sia pure ammaccati, sono loro a comandare anche senza la nostra volontà.
– Vedo che, questa mattina siamo sul difficile, dove vuoi arrivare, parla, non tenermi in ansia vecchio brontolone. No, scusa, sono stato troppo raffinato; vecchio scassapalle. Non bastano tutte le pillole, i medicinali che devo prendere ogni giorno e gli sforzi che devo fare per non confondermi; ora ti ci metti pure tu; abbi pazienza, a quest’ora di mattina; almeno offrimi prima un caffè, fammi svegliare bene altrimenti non riesco a seguirti.
– Sì, sì, ridi pure e, invece, la situazione è seria, maledettamente seria.
– Ora mi spaventi, Giulio ma che cosa è successo, dimmi, prometto che non ti interrompo.
– No, aspetta, hai ragione tu, Paolo, andiamo prima in cucina a fare un caffè.
– Ti vuoi appoggiare?
– Vecchia baldracca, con chi credi di avere a che fare? Vuoi sfidarmi a braccio di ferro?
Ora i due amici ridono mentre si avviano nel corridoio verso la cucina.
Ahi! porca miseria!
– Che cosa è successo?
-È successo che sei un maledetto tirchio; a chi aspetti a cambiare le lampadine; qui non si vede niente, mi stavo rompendo un piede.
-Ma come sei tragico e poi scusa, questa è casa mia, so bene dove mettere i piedi, potrei camminare con gli occhi chiusi. Mi posso mica preoccupare per gli ospiti?
– Giusto, bravo, come sempre; il tuo ragionamento non fa una piega e poi chi vuoi che ti venga a trovare in questa vecchia topaia puzzolente?
– Cammina, quante storie ecco siediti li e non rompere; aspetta che faccio il caffè. Ecco qua e ora?
– Che succede, non dirmi che non hai caffè.
– No, è che quella maledetta ha il gusto di cambiare i posti alle cose. Qualche giorno fa, sai cosa mi ha detto? Ha detto di aver letto che il miglior esercizio per i vecchi è cambiare le abitudini per costringere il cervello ad elaborare nuove strategie, capisci? La maledetta; no, io la devo cacciare. Vuole fare il dottore con me, maledetta.
– Scusa, in che senso, spiegati meglio, che significa cambiare abitudini.
– Sì, dice che mettiamo, ad esempio, che tu, ogni mattina, per andare dal giornalaio fai una certa strada, sempre la stessa. Ecco, no, dice che devi cambiare: un giorno giri a destra e il giorno dopo, semmai giri a sinistra. Tu capisci, la maledetta.
– Ma scusa. così se io, mettiamo, facessi una cosa del genere, il mio giornalaio non capirebbe perché avendo l’edicola a fianco al palazzo io faccio il giro di tutto l’isolato; penserebbe, allora sì che mi sono rincoglionito ed io che gli dico? Che devo cambiare abitudine? Ma quello, minimo, si gioca un terno secco.
– Ma non è finito, aspetta. Non so, per esempio, costringersi a mangiare con la sinistra, vestirsi o spogliarsi seguendo un ordine diverso nel mettere o togliere gli abiti. Al limite, dico al limite, mangiare prima il secondo, poi la frutta, il caffè e solo alla fine il piatto di pasta. Così, dice, il cervello deve fare uno sforzo per rimettere tutto in ordine; tu capisci la follia umana a che cosa può arrivare?
– Scusa ma tu per assumere questa donna a chi ti sei rivolto? Adesso i manicomi li hanno chiusi…
-Sì, tu ridi e io, adesso, il caffè, dove cazzo lo trovo.
-Aspettiamo che arrivi, scusa e così il caffè ce lo fa lei.
-Non viene tutti i giorni e quando viene mi caccia dalla cucina; dice che non devo vedere dove mette le cose altrimenti il cervello non fa nessuno sforzo. Ma tu vedi se questo è un modo di campare.
-Ma Giulio a chi aspetti a cacciarla a calci in culo, non capisco.
– E credi che sia facile, oggi, trovare una cameriera; sapessi le pretese! E, poi, cucina bene e devo confessarti, non ridere, è uno spettacolo quanto è bella.
– Vecchio sporcaccione e a che ti serve ormai guardare, ma non farmi ridere, mettiti l’animo in pace; ormai anche su quel lato, siamo vecchi amico mio, inutile illudersi.
-Sempre prosaico tu; almeno gli occhi si riempiono e poi, scusa, così il cervello elabora ricordi, emozioni e lo tengo in esercizio; sempre meglio che fare il giro dell’isolato come un deficiente, non ti pare?
– Sì, hai ragione ma adesso, dai, andiamo al bar a prendere questo maledetto caffè.
– Ti arrendi presto tu, ma io no. Dunque, vediamo: nel barattolo del sale c’è lo zucchero, in quello dello zucchero ha messo il pan grattato, in quello della farina c’è il sale, il pacco di farina è qui, sul ripiano dunque, è ovvio che il caffè deve stare, avanti su, fai uno sforzo, dove sta il caffè?
– Ma tu sei tutto scemo, tu e quella mentecatta della tua cameriera, sarà pure bona, che poi io i tuoi gusti li conosco, ma è tutta scema e tu che le dai pure retta. Ma tu vedi che giornata allegra; Giulio se fra due secondi non cacci sto’ cazzo di caffè, giuro che prima ti meno e poi chiamo il 118.
Ma scusa ti arrendi subito; ragiona per esclusione il caffè sta? Avanti su, sta?
-Non lo voglio sapere, cazzo; tira fuori il caffè.
– E come sei permaloso, ma tu così non migliorerai mai quel tuo cervellino di gallina.
-Lasciami il cervello di gallina e fai il caffè, Cristo santo.
– Va bene, ecco, vedi, il caffè sta nel barattolo del pangrattato; è solo questione di logica.
– Va bene, ora me lo segno.
– E no, sarebbe facile, ma quella domani, quando viene, cambia tutto, di nuovo.
-Gesù, Gesù, Giulio ma sei scemo? Ma fammi sapere e la mattina per vestirti, così, per curiosità, con che ordine lo fai. Metti le mutande sui pantaloni, per caso, non so, la camicia sul pullover. Ma cose da pazzi ed io che credevo di essere rincoglionito ma tu sei un fenomeno da baraccone, quanto è vero Gesù Cristo. Ma ti ci vuole un medico, ma uno bravo.
-Ma no, tutt’è farci l’abitudine.
-E no, e qui ti volevo, se ci fai l’abitudine il tuo cervello bacato, malato, da vecchio, fottuto sifilitico, come elabora strategie nuove? Ti ho fottuto.
– Non credere di essere furbo; con Concetta non potrebbe nemmeno Einstein. Quella, un certo giorno, rimette tutto in ordine per cui il cervello deve resettare tutti i comandi, capisci?
– Mi arrendo; almeno il caffè ti ricordi come si fa? o metti la polvere nel filtro senza mettere l’acqua? Così scoppia tutto e sai che risate per la scienziata Carmela.
— Si chiama Concetta. Lo vedi? Non riesci nemmeno a ricordare una cosa appena sentita.
-Ma sta sicuro che per mandarti a fanculo, quello mi ricordo come si fa. Guarda, sta uscendo. Dove hai detto che ha messo lo zucchero?
– Non mi ricordo ma non ha importanza, io lo prendo amaro.
-Ma almeno, ti prego, dimmi che sai dove stanno le tazzine, altrimenti giuro che ti ammazzo quanto è vero che mi chiamo Giulio.
– No scusa, Giulio sono io, tu ti chiami Paolo.
– No, basta, dimmi che è tutto uno scherzo, questo è un incubo.
-Ma bevi, quante storie; capita a tutti di sbagliare, e poi, si sa, ti sei agitato, il tuo stato mentale ne ha risentito.
-Cazzo, io sto benissimo, almeno stavo benissimo prima di venirti a trovare, ma tu vedi che giornata. Scusa ma allora hai deciso che il caffè lo devo prendere anch’io amaro e poi che cosa è questa scafarea; non dirmi che non sai dove stanno le tazzine?
-Fra gli altri esercizi Concetta dice che non devo collegare le cose fra di loro secondo una logica fissa; per esempio, il caffè lo posso bere in una tazzina ma anche in una tazza da latte o in una coppa da gelato o, più semplicemente, in un bicchiere.
– Quando finisce questo strazio, mi sembra un incubo; proprio ieri ho finito di leggere “Il maratoneta” di uno scrittore americano, ora non mi ricordo… .
– Ah! il libro di Goldman, William Goldman; sì ci fecero anche un bel film ti ricordi? con Dustin  Hoffman e Laurence Olivier. 
– Giulio posso dirti una cosa? Vai a cagare.
– Ma dai, Paolo, non essere permaloso; sono stato fortunato perché proprio ieri sera il film è passato su una rete televisiva ed io sono andato a informarmi sul Morandini; non arrabbiarti, piuttosto dai, torniamo di la. Scusa ma dove stai andando?
– Ah! torniamo dritti di là, in sala? Non usciamo, andiamo giù e poi risaliamo? Sai non vorrei che facessimo le cose per ABITUDINE. – Che scemo, dai cammina.
(1.continua)
©Riproduzione riservata 
In foto, chiacchiere tra vecchi amici (scatto da Pixabay)
L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quello a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”.

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