Ecco la terza e ultima puntata del nuovo racconto “Assuntina” di Francesco Divenuto. Storia di Assuntina, 80 anni vissuti in un antico palazzo nella fede, da buona parrocchiana…
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Divenuto è autore, tra l’altro, di numerosi saggi su riviste specializzate e di due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, Variazioni Goldberg, Il bar di zio Peppe, Carmen e il professore, Il flacone verde (o Pietà per George), Lido d’Amore, Frinire, Primo novembre, Due di noi, Il trio, Quattro camere e servizi, Mai di domenica, Cirù e Ritù, Una notte in corsia, Gennaro cerca lavoro (il peccato originale), Fine stagione, Assemblea straordinaria al College, Quando le chiacchiere diventano troppe, La deriva della ragione, Si vendono poesie, Lei e lui (dialogo semiserio fra due ex coniugi), Il tramonto, Il gabbiano, Perché: oratorio laico.
TERZA PUNTATA
Anche se non più impegnata come prima Assunta, dopo vari tentativi di proporre i suoi servizi come faceva prima, ha capito che il giovane parroco ha una sua vita organizzata in maniera differente e anche per mangiare preferisce prepararsi da solo pasti semplici o, come avviene qualche volta, andare con i ragazzi in pizzeria semmai dopo aver partecipato ad una partita di pallone.
Le iniziative religiose sono ridotte a quelle essenziali tranne quando si tratta di organizzare grandi cerimonie che lui riesce a teatralizzare, con l’aiuto dell’orchestra che ha formato, attirando molto pubblico; ogni giorno preferisce stare in mezzo alla strada, a contatto con gli abitanti anche se non tutti sono assidui nelle attività religiose.
Insomma è un prete che preferisce ascoltare i problemi della gente piuttosto che predicare. E tutto questo per Assuntina, come per molti anziani, è diventato motivo di disappunto sia pure non espresso perché è evidente che, ormai, la maggioranza degli abitanti ha accettato ed anche gradito questo suo nuovo fervore. La televisione, quella nazionale, è venuta a riprendere una cerimonia durante la quale i ragazzi dell’orchestra sono stati i veri protagonisti. Per un quartiere nel quale l’unica realtà, purtroppo, è data dalla cronaca nera, la parrocchia è diventato un momento di rinascita. I più scettici si sono riavvicinati se non alla religione alle attività ed i ragazzi più grandi ora hanno attivato anche un doposcuola.
Ciò nonostante Assunta, con altre anziane donne, continua ad andare in chiesa rispettando quelle cerimonie che appartengono al suo repertorio religioso; è un rito che fa parte della sua vita ed è anche un modo per conservare una sua serenità. E il giovane parroco ha compreso che quelle donne hanno una tradizione ed un cerimoniale che fa parte della loro esistenza e lascia che frequentino la chiesa secondo un preciso calendario anche se poche volte si unisce alle loro preghiere: il venerdì è dedicato al Cuore di Gesù, il sabato alla Madonna del Carmine, il mese di maggio alla Madonna e, oltre alle messe cantate, cerimonia dominicale che è diventato un appuntamento anche per abitanti di altri quartieri, ogni sera alle sette, recita del rosario, cerimonia, per la verità, seguita soltanto da quelle poche persone, per lo più donne sole, che non hanno impegni di famiglia.
Ogni sera alla stessa ora Assunta inizia a pregare; una prima voce solitaria, la sua, alla quale rispondono i fedeli con mormorii e voci non sempre tutte allo stesso tempo. Il risultato è una nenia non priva di fascino. Assunta recita giaculatorie in italiano ma anche in latino; una lingua, questa, che tante volte ha ripetuto con sua madre quando era piccola e che ora ricorda con tutte le modulazioni e le incertezze di una litania della quale ha solo intuito il significato pur rispettando i tempi.
Quando la cerimonia è finita il giovane parroco, anche se non sempre, passa a salutare. E Assunta resta ancora un po’ di tempo: rimette a posto i libri con le preghiere che ha distribuito, controlla che in tutte le cappelle le candele siano spente, poi passa per la sagrestia a salutare e torna a casa. L’unica luce accesa, per motivi liturgici, resta quella sull’altare, poco più di una fioca illuminazione rossa, ed una lampadina sul portone d’ingresso che, più tardi, il parroco chiuderà.
Questa sera, forse perché è cominciato il primo freddo che suggerisce di rientrare presto, tutti sono già andati via. Assunta è ancora seduta al suo posto, appoggiata al confessionale, e aspetta il parroco per salutarlo ma anche perché vuole chiedere informazioni su un ragazzino che, da giorni, non viene al catechismo. Si stringe nella sua sciarpa e, senza rendersi conto, lentamente si appisola; quando si sveglia si accorge del tempo trascorso e decide di rientrare passando prima dalla sagrestia.
La porta è accostata e, dallo spiraglio, vede che il parroco si è svestito degli abiti liturgici e non solo di quelli. Perplessa resta in silenzio; non è il caso di entrare, ritornerà domani. Quasi nel buio cammina piano ma giunta all’ingresso si accorge che questo è stato già chiuso. Evidentemente il parroco, nella penombra della chiesa, non si è accorto della sua presenza. Che cosa può fare, non sa decidere; è preoccupata: che cosa penserà il parroco nel trovarla ancora in chiesa. Ora nella sacrestia la luce è spenta.
Si siede in un angolo; l’unica cosa sarebbe aspettare il mattino. Anche se non ha l’orologio si rende conto che la notte è ancora lunga ma non trova soluzione. Il freddo non l’aiuta; si stringe negli abiti e appoggia il capo al banco davanti. Recita qualche preghiera e china il capo sospesa in un dormiveglia che l’aiuta a restare tranquilla. In realtà non ha paura; aspetterà; poi, piano, cade in un torpore nel quale rivede la sua vita gran parte della quale è trascorsa in quella chiesa.
Dopo un tempo che non saprebbe quantificare, nel silenzio totale un rumore s’insinua leggero nel suo dormiveglia accompagnato da voci che non riesce a capire. Stenta a risvegliarsi completamente ma quando alza il capo la scena che vede la lascia incredula. Armati di torcia, due ombre avanzano fino alla statua di Santa Rita.
Forse, pensa, sono operai che devono fare lavori; allora la chiesa è già aperta e potrà uscire. Ma l’atteggiamento circospetto dei due non la insospettisce; hanno sistemato due sedie, una sull’altra. Si alza avvicinandosi:
– Che dovete fare? chiede.
– E questa da dove è uscita? Che ci fai tu qui a quest’ora, ancora in chiesa?
Allora Assunta capisce e un moto di rabbia la scuote.
– State rubando, non è vero? Ma questi sono i gioielli di mamma mia, non vi permettete.
– Ma che dici? Ma che sei asciuta pazza? E stai zitta.
Uno dei ragazzi le si avvicina tappandole la bocca mentre l’altro ha già strappato le collane della statua. Un tintinnio di pietre che si spandono al suolo risuona nel silenzio della chiesa.
– Madonna mia, la collana e mammà? Che state facendo; Ma è peccato; tu sei ‘nu buono guaglione; io ho capito tu chi sei; tu si o’ figli del ragioniere del terzo piano.
Assunta si dimena continuando a urlare non rendendosi conto dell’errore che, con le sue parole, ha appena commesso.
– Statte zitta, statt’ zitta, le urla il ragazzo riconosciuto mentre l’altro l’afferra per le spalle spingendola e strattonandola fino a farle perdere l’equilibrio. Cadendo Assunta batte la testa restando immobile.
– Che cazzo hai fatto? Questa è morta, e mo’ che facciamo.
– Ma non hai sentito che ti ha riconosciuto, andiamo via, dai vieni, andiamo.
I due, atterriti, scappano uscendo nella notte ancora buia.
Dopo un po’ di tempo, Assunta rinviene; dalla porta, lasciata aperta, entra un’aria fredda. La povera donna, lentamente si alza; non ricorda tutto con precisione.
Esce dalla chiesa trascinandosi verso casa. Ora la scena del furto le ritorna in mente; ne ricorda i particolari e si chiede che cosa può fare: deve parlare con il parroco certo ma prima vorrebbe ritrovare i due ragazzi; sono giovani, potrebbe convincerli a restituire i gioielli. Tutto si può aggiustare, continua a pensare mentre l’affanno le scuote il petto rallentando i suoi passi. Nel cortile del palazzo, ancora deserto a quell’ora, si ferma un momento per riprendere fiato. Si appoggia al muro; ma il suo cuore non regge. Piano scivola per terra.
Dopo qualche ora, il ragioniere, l’inquilino del terzo piano, che è il primo ad uscire la mattina, la trova ancora distesa, immobile nella stessa posizione che il suo corpo ha assunto in un ultimo pensiero di vita quasi a voler nascondere i gioielli che i ragazzi, rientrando dopo aver girovagato, forse più spaventati che pentiti, le hanno restituito. Gli inquilini del palazzo l’hanno riportata in casa stendendola sul letto. Tutti, anche il giovane parroco, pensano che la povera donna, in un momento di follia, pentita della sua generosità, abbia voluto riprendersi l’eredità della madre mentre il medico chiamato non può aggiungere al suo referto, nel quale parla di infarto, che, per la povera Assunta, la vera causa di morte potrebbe essere stata la consapevolezza dell’assordante cattiveria dalla quale la sua vita è ormai circondata.
Il giorno dopo, nella parrocchia, al funerale di Assunta segue, subito dopo, una messa solenne durante la quale la statua della santa viene rivestita dei suoi monili.
(3.fine)
80 anni di vita trascorsi in un antico palazzo
PRIMA PUNTATA
Fin dalla nascita, ormai più di 80 anni fa, Assunta è vissuta sempre nello stesso luogo: lo stesso quartiere popolare della città, la stessa casa, nell’ampio cortile del palazzo il quale, benché ormai in uno stato di avanzato degrado, conserva ancora tracce della sua antica importanza architettonica: il grande scalone, con i gradini di grigio piperno consumati dall’uso, e gli ampi ballatoi sui quali si aprono le massicce porte degli appartamenti.
Il marmoreo stemma nobiliare che decorava il portale d’ingresso, caduto durante il terremoto del 1980 e mai più rimontato ora giace, riverso nel cortile ed è diventato un oggetto preferito dai ragazzini del palazzo i quali lo utilizzano nei loro giochi attribuendogli, ogni volta, un ruolo diverso: un cavallo da cavalcare, un trono da espugnare, una trincea da difendere dall’assalto del nemico o, semplicemente, un sedile sul quale sostare nelle calde serate estive.
Insomma un oggetto-feticcio, molto amato dagli inquilini i quali sono orgogliosi di vivere nell’antico edificio, quasi il segno di un raggiunto stato sociale, anche se non economico, un distinguersi che permette di rispondere, a chi lo chiede, di abitare nel palazzo del marchese nel quale, però, quasi tutti gli appartamenti sono stati suddivisi in case sempre più piccole e ormai prive delle antiche decorazioni.
Sia pure piccola, due stanze soltanto, la casa di Assunta, ricavata dai locali di servizio della famiglia nobiliare, conserva gli antichi spazi, con le ampie volte, e soprattutto le comodità di cui l’aveva dotata il padre, operaio specializzato che, per molti anni, aveva lavorato all’Italsider di Bagnoli.
Don Vincenzo era stato un operaio attivo nel sindacato e per questo motivo, nel quartiere, lo chiamavano ‘o comunist. Ma era anche un uomo gentile e disponibile; non c’era inquilino che non si fosse servito delle sue capacità; alla fine, come spesso accade nel ceto popolare, il soprannome era rimasto un affettuoso appellativo che aveva conservato per tutta la vita e che, ma lui questo non poté vederlo, si ritrovò anche stampato sugli avvisi funebri con i quali furono tappezzate le strade del quartiere:
Oggi, 24 aprile 1972, dopo una esistenza spesa nell’onesto impegno lavorativo e tutta dedita alla famiglia ed agli amici, è mancato Vincenzo Guardiano, detto “o comunist”. Il funerale si svolgerà domani alle 11 nella chiesa del Rosario. Lo piangono la moglie e l’amata figlia Assunta.
In realtà Vincenzo e la moglie, Rosa, avevano avuto tre figli ma il più grande, Alfonso, era morto durante l’ultima guerra mentre del secondo, Luigi, da anni si erano perse le tracce. I genitori dicevano che viveva in Germania ma non pochi mormoravano che, rimasto invischiato in qualche malaffare, era detenuto in un paese dell’Est. La dignità e l’onestà di don Vincenzo in qualche modo avevano fatto da parafulmine e nessuno, nel quartiere, aveva mai osato mancargli di rispetto.
Assuntina, come tutti la chiamano, è la terza figlia nata dopo molti anni rispetto ai due fratelli. Una ragazza timida, poco attraente, insomma scialba; i genitori si erano presto rassegnati al suo destino di zitella ruolo che la ragazza ha assunto fin da quando, abbandonata la scuola per scarso interesse più che per mancato rendimento, si è costruito un proprio mondo tutto legato alla vicina parrocchia nella quale svolge compiti di perpetua per l’anziano sacerdote ma anche di maestra per il catechismo dei bambini del quartiere.
Non ha mai avuto ambizioni, desideri o sogni e, come spesso accade nelle famiglie, i genitori hanno riversato in lei quelle aspettative di assistenza che, raggiunta una certa età, si rende necessaria. La madre, Rosa, è morta parecchi anni dopo il marito periodo durante il quale aveva ripreso il suo antico mestiere di camiciaia un lavoro che aveva imparato, in gioventù, in una famosa sartoria di Chiaia.
Una discreta clientela e la pensione del marito, avevano permesso alle due donne di vivere una vita tranquilla dal punto di vista economico e quando l’ultimo discendente dell’antico casato, uno scapestrato dedito al gioco, aveva messo in vendita le ultime proprietà rimaste, erano riuscite a comprare quelle due stanze e servizi nelle quali avevano continuato a vivere con dignità.
Quando poi la madre, ormai anziana, aveva avuto bisogno di maggiori cure Assunta l’aveva assistita con dolcezza e con affetto dedicandole molto tempo e, per questo motivo, trascurando un po’ i suoi servizi nella parrocchia. Ora che la madre è morta Assunta, sempre più spesso, passa le sue giornate nella chiesa dove c’è sempre qualcosa da fare. Ha anche preso l’abitudine di cucinare per il parroco con il quale poi mangia; cosa che l’aiuta nel suo bilancio anche se, come abbiamo detto, ha una sua discreta possibilità economica.
A questo proposito, un giorno le amiche le hanno riferito che un vedovo, anche lui abitante nel quartiere, avrebbe manifestato l’ intenzione di sposarla cosa che, dicevano le amiche, l’avrebbe certo aiutata nella sua solitudine ora che gli anni cominciavano a presentare il loro conto.
Anche il vecchio parroco, più di una volta, con delicatezza le ha riferito di qualche uomo, non più giovane, con serie intenzioni matrimoniali; ma anche il religioso aveva ricevuto decisi rifiuti. Senza offendere nessuno, aveva detto Assunta, ringraziava ma, in verità, non se la sentiva di lasciare la casa e, d’altra parte, fare entrare qualcuno in quella abitazione, dove era sempre vissuta, le sembrava quasi di profanare uno spazio sacro.
(1.continua)
In un deserto di sogni e aspirazioni. Pregando Santa Rita
SECONDA PUNTATA
Naturalmente la povera donna non si espresse in questi termini ma il senso era questo e i ringraziamenti furono cortesi ma decisi; le amiche non avevano insistito. In realtà Assunta, ma questo non lo capiva del tutto, non riusciva a vedersi come donna o, più semplicemente, come persona con una sua necessità di attenzioni se non anche di affetto. Quest’ultimo sentimento per lei aveva avuto sempre e solo una declinazione filiale; si potrebbe dire che in lei l’ingenuità rasentava l’incapacità di organizzare anche solo mentalmente un sentimento che la vedesse protagonista. E così, in questo deserto di sogni edaspirazioni, era trascorsa gran parte della sua vita, certo grigia, vuota ma non triste perché la tristezza è un sentimento che ha bisogno di rimpianti e Assunta non ne aveva mai avuti.
Per alcuni mesi, le attenzioni nei confronti di Assunta non erano diminuite. I risultati , però, erano stati deludenti. All’amica che l’aveva accompagnata da un parrucchiere per un taglio più moderno, il giorno dopo Assunta, scusandosi aveva detto che, guardandosi, non si era riconosciuta per cui aveva, con decisi colpi di spazzola, disfatto il lavoro del coiffeur come lo aveva chiamato l’amica.
Un’altra l’aveva invitata nella Sala Bingo ma anche quell’esperienza era stata poco apprezzata. Dopo un paio di pomeriggi, trascorsi nell’affollata e rumorosa sala dove tutto, luci e suoni volevano creare un’atmosfera di svago, Assunta un pomeriggio disse che aveva mal di testa ma all’amica fu tutto chiaro e non la invitò più. Questo, però, non incrinò i suoi rapporti con gli abitanti del palazzo e con il vicinato. Spesso qualcuno passava a salutarla anche perché dalla madre aveva imparato a cucire e un suo intervento, non poche volte, salvava vecchi indumenti insieme all’economia delle povere famiglie.
Intanto, dopo un periodo di lutto stretto, come diceva lei, durante il quale si era recata ogni domenica al cimitero, aveva iniziato una sia pure modesta trasformazione della casa. Aveva smontato il suo piccolo letto trasferendosi in quello, più grande, dei genitori. Aveva risistemato la cucina con nuove apparecchiature ma, in fondo, si trattava solo di necessità in quanto i vecchi elettrodomestici, ormai, andavano sostituiti.
Sul comò alla foto del padre aveva aggiunto quella della madre mentre nessuna immagine ritraeva i due fratelli che, del resto, ricordava poco.
Intanto gli anni sono passati e, sia pure in maniera inconscia, ora Assunta sente un disagio che non sa nemmeno esprimere; sarà il vuoto di quella casa, che è diventato insopportabile; sarà il silenzio che l’attende al risveglio e l’accompagna per tutto il giorno, ora le sembra di aver perso quella serenità che l’ha sempre aiutata a vivere evitandole grandi dispiaceri. Anche il lavoro in parrocchia non le basta più; tutto le sembra inutile. Il vecchio parroco è morto e il giovane che lo ha sostituito non sembra apprezzare il suo lavoro mentre i ragazzini del catechismo, spesso, la prendono in giro.
Ogni intesa con il giovane religioso sembra fallire. Occorrono trovare nuove attrazioni, le ha detto; il catechismo, certo, ma poi ha messo su una band musicale, una squadra di palla a volo ed ora sta cercando uno spazio nel quartiere da trasformare in palestra.
Tutte iniziative dalle quali Assuntina si sente esclusa mentre invece molte famiglie apprezzano queste attività che tengono i ragazzi lontani dalla strada.
Alcuni giovani si sono offerti edaiutano per le cerimonie religiose. Sono state riprese le fastose processioni rito che attira non solo gli abitanti del quartiere. Le donne hanno rammendato gli antichi stendardi e gli uomini hanno ricostruiti i trabiccoli necessari per portare i sacri simulacri in giro per le strade.
Tutto questo nuovo fermento ha restituito attenzione per la chiesa e procurato offerte che hanno permesso il restauro delle statue di santi molto amati nel quartiere come quella di Santa Rita da Cascia alla quale anche la mamma di Assuntina era molto devota. Una volta restaurata questa è stata sistemata in una nuova posizione, di lato all’altare maggiore, ricevendo maggiore attenzione da parte dei fedeli i quali, ogni mese, a questa Santa, dedicano rosari e funzioni speciali.
Assuntina, ricordando l’adorazione della madre per la santa, ora che è rimasta sola ha continuato a preferirla nelle sue preghiere. Ha anche voluto che i gioielli materni adornassero la statua ed una domenica, durante una cerimonia solenne, con messa cantata, il nuovo parroco in persona ha rivestito la santa con i gioielli portati da Assuntina: un bracciale, un filo di perle, orecchini, quest’ultimi più antichi che preziosi, alcune spille e molte catene d’oro alle quali Assuntina ha appeso anche gli anelli della madre. Per lei ha conservato solo una catenina, ricordo della sua prima comunione, con la medaglietta del Cuore di Gesù.
(2.continua)
In altro, scatto di Nicholas Tolosa