Ecco la quinta e ultima puntata del nuovo racconto di Francesco Divenuto, Primo novembre. E’ il raduno dei santi, presieduto da Gennaro. Che prende subito la parola… E dà il via allo sfogo dei partecipanti, addolorati dall’utilizzazione dei loro nomi… Ciascuno a modo suo…
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Divenuto è autore, tra l’altro, di numerosi saggi su riviste specializzate e di un romanzo “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” (edizioni scientifiche italiane). Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, Variazioni Goldberg, Il bar di zio Peppe, Carmen e il professore, Il flacone verde (o Pietà per George), Lido d’Amore, Frinire.
Quinta puntata
Gennaro, approfitta dell’attimo di sconcerto per continuare.
– Bene; se siamo d’accordo,- dice, -propongo di passare ora a esaminare le domande avanzate dalle coppie ossia dai santi uniti per la festività nello stesso giorno. Da loro, infatti, è giunto il maggior numero di lamentele. Per favore, voi qui nelle prime file, lasciate il posto a quelli che ora chiamo.- E Gennaro inizia a leggere da un foglio i nomi di molti i quali, una volta nominati, si avvicinano al banco restando in silenzio.
–Aurelia e Neomisia; Aquila e Priscilla; Casto e Secondino; Cirillo e Metodio; Cornelio e Cipriano; Cosma e Damiano; Crispino e Crispiniano, Demetrio e Bonifacio; Marcellino e Festo; Nereo e Achilleo; Perpetua e Felicita; Ponziano e Ippolito; Rufina e Seconda; Proto e Giacinto; Severino e Sossio; Simone e Giuda Taddeo.- Qui si ferma un momento per riprendere fiato…..
– L’elenco, come potete immaginare, è lungo e a voler chiamare tutti gli interessati corriamo il rischio di perdere molto tempo stancando chi ci ascolta senza riuscire ad affrontare il vero problema. Se siete d’accordo passerei ad esaminare le ragioni che queste coppie hanno avanzato per giustificare il loro scontento.
– Quelli che ho chiamato,– riprende Gennaro, -ed anche quelli che non ho nominato, in somma tutti quelli che, nei calendari, vengono ricordati insieme, pretendono ognuno una festa tutta per sé.
La richiesta è stata avanzata con molto garbo e aggiungo anche che le motivazioni non mi sembrano prive di fondamento. Ora, però, taccio; non voglio in alcun modo influenzare la commissione che dovrà decidere l’ammissibilità di tali richieste. Ricordo, per correttezza, che nessuna delle coppie ha prospettato una qualche soluzione dichiarando che si atterrà alle decisioni dei giudici chiamati a dirimere la questione.-
– Per favore adesso lasciate passare Francesco di Sales il quale è stato scelto per perorare la causa dei questuanti.-
Gennaro ora tace mentre Francesco, giunto in prima fila, dopo un rispettoso inchino alla commissione si volge verso il folto pubblico.
Uomo di lettere, occorre ricordare che il santo era solito diffondere il suo credo religioso scrivendo dei foglietti, oggi si direbbero “pizzini”, che poi distribuiva alla povera gente È evidente che motivi per essere quantomeno dubbiosi sul ruolo al quale ora è stato chiamato, non mancano ma, con un po’ d’imperio, si è deciso di proseguire i lavori.
Per onestà occorre anche ricordare che la scelta del candidato per questo delicato ruolo non era stata facile perchè, in assenza di un santo protettore degli scontenti, che in questo caso sarebbe stata la persona giusta, era stata anche valutata l’ipotesi di molti altri che pure aspiravano al ruolo come quella di sant’Amleto, venerato nei paesi nordici ma, poi scartato in quanto non contemplato nell’elenco ufficiale della chiesa; così come era stata rifiutata la candidatura di San Valentino, suggerita da qualcuno sperando, così, in una possibile pacificazione dei contendenti. Questo nome, avevano fatto notare in molti, era troppo legato agli innamorati, cosa che avrebbe creato non poco imbarazzo negli stessi protagonisti che formano le coppie e che, semmai, chiedono di separarsi e non già di rimanere congiunti.
Ma è tempo di iniziare e Francesco di Sales viene invitato a prendere la parola.
Salito sulla pedana, per essere visto oltre che ascoltato da tutti i presenti, il santo, forse anche per dimostrare che la sua nomina a protettore degli scrittori e dei giornalisti è meritata, e non già usurpata come qualcuno sussurra, (ma questa naturalmente è una supposizione maliziosa soltanto umana), inizia ricordando le ragioni storiche in base alle quali queste coppie si sono formate nel corso dei secoli: o perché parenti, oppure uniti in vita dallo stesso mestiere o, più spesso, perché insieme avevano subito il martirio che, in alcuni casi, Francesco ricorda in tutta la sua cruenta realtà nel tentativo di commuovere gli ascoltatori.
In realtà è possibile anche pensare ad un sottile stratagemma, messo in atto dal santo, per tentare di riconciliare i due della coppia proprio in nome delle loro comuni sofferenze.
L’esegesi storica, pur risultando molto efficace, non sembra però ottenere l’effetto sperato e non suggerisce nessuna soluzione.
Allora lo stesso Francesco, si rivolge all’assemblea invitando, chi abbia qualche suggerimento, di farsi avanti e parlare.
Com’è avvenuto precedentemente, molti intervengono, senza alcun ordine e sovrapponendo le proprie voci. Pochi riescono, quindi, a fare arrivare alla commissione la propria idea.
La soluzione non sembra facile anche se le proposte non mancano. Qui vogliamo ricordare solo le più stravaganti Qualcuno, infatti, suggerisce di raddoppiare l’anno nel senso di conteggiarne uno ogni 730 giorni. Ma a tutti appare evidente l’impraticabilità della proposta perché nessuna società civile avrebbe accettata una simile decisione. Ed oggettivamente sarebbe stato difficile suddividere le quattro stagioni in questo tempo così dilatato senza considerare la difficoltà dell’anno bisestile
I santi del Nord, sembrano i meno scandalizzati ricordando che, nelle loro terre, da sempre vi sono sei mesi di luce e sei mesi di buio. Ma alla fine la proposta non trova proseliti.
Un altro avanza una soluzione non certo meno stravagante: poiché la giornata è di 24 ore, dice, si possono riservare 12 ore ad uno dei due santi e le restanti all’altro. Inutile dire che, a questo punto, si accende la discussione sul criterio della suddivisione ossia come stabilire quale parte della giornata affidare ad uno e quale all’altro dei due santi.
Ogni proposta viene accolta con qualche applauso e, più spesso, da risate di scherno. Insomma il tempo sta passando ma di soluzioni convincenti non se ne sentono.
– Guagliù,- alza la voce Gennaro, -menamm e’ mane, sinnò ca’ facimme notte.- Poi, sorridendo, riprende l’autorevolezza che il suo ruolo richiede.
– Vi prego, fermiamoci a riflettere un momento. Abbiamo esposto i problemi che quest’anno, come avete visto, non sono pochi. Direi che possiamo aggiornare l’assemblea a domani, e non importa che è la ricorrenza dei morti, possiamo pure fare uno strappo e lavorare anche un altro giorno. Intanto abbiamo la notte per riflettere, che dite?-
In realtà tutti pensano che il giorno dopo le cose non saranno per niente più semplici ma non hanno il coraggio di parlare anche perché la stanchezza comincia a farsi sentire specialmente per i più anziani per i quali l’età pretende un giusto riposo.
– Sì, andiamo via, andiamo a riposare,- dicono salutandosi. E senza aspettare una risposta lentamente cominciano ad uscire dall’aula. Ora si allontanano a piccoli gruppi commentando la fatica della giornata che per qualcuno non è stata indifferente.
Almeno, osservano in molti, domani già sappiamo di che cosa dovremo occuparci. E mentre tutti tacciono una voce femminile, con un forte accento americano, aggiunge- sì, andiamo, andiamo “domani è un altro giorno”.
Che strano, pensano in molti senza, però, esternare il proprio dubbio poiché nessuno ricordava che fra loro fosse giunta anche Rossella O’Hara.
E su questo interrogativo tutti si disperdono per i viali del giardino in penombra perché, nonostante l’ora tarda, ancora non sono state accese le luci.
(5.fine)
PRIMA PUNTATA
La riunione è prevista per il primo novembre, come ogni anno del resto. In quel giorno, infatti, si svolge un’assemblea generale durante la quale vengono affrontati i problemi emersi nel corso dell’anno. Tutti i santi, poiché è il giorno della loro festa, sono tenuti a partecipare, nessuno escluso nemmeno quelli in missione in terre lontane poiché non sono previste eccezioni.
Anche oggi, quindi, da ogni luogo per quanto distante, sono giunti tutti; e come sempre, incontrandosi è una festa ed un chiedere notizie. Vecchi amici che si rivedono dopo un anno, ne hanno cose da raccontarsi. È un allegro ritrovarsi, dunque, con abbracci e qualche risata che, in alcuni momenti, sovrasta il mormorio generale fino a quando, dal banco della commissione, un campanello avverte che i giudici hanno preso posto.
Tutti guardano il presidente e gli altri componenti. Il criterio con il quale avvengono queste nomine appartiene ad una politica di ordine superiore il che vuol dire che le disposizioni provengono direttamente dall’alto e, a questo punto, credo che non sia necessario specificare meglio.
Paludato, con i suoi più belli abiti vescovili, quest’anno, al centro dei giudici, appare Gennaro accolto dai presenti con un mormorio di simpatia. Tutti, infatti, ricordano l’affronto da lui subito qualche tempo prima quando, senza una motivazione convincente, era stato declassato. E tutti, sorridendo, ricordano anche che in quei giorni, sui muri della sua città, si poteva leggere “Gennà futtetenne” che poi tradotto in italiano significa appunto “Gennà futtetenne”.
Ai suoi lati siedono Filomena, Procopio, Stanislao, Tarcisio, Argia ed altri santi. Appare evidente, allora, il criterio con il quale è stata formata l’attuale commissione: come Gennaro, infatti, anche gli altri, per motivi diversi, hanno subito un torto poiché, ormai da tempo, sono stati fatti oggetto di silenzio, se non di un vero e proprio ostracismo, da parte delle autorità ecclesiastiche.
Averli nominati in commissione è un modo per ripagarli dell’ingiustizia subita ma forse anche per marcare la distanza fra le decisioni, per quanto autorevoli, di santa romana chiesa e la verità degli avvenimenti così come realmente sono accettati.
Come ogni anno anche oggi, prima di iniziare l’udienza, il presidente, in questo caso Gennaro, legge gli argomenti in cui sono state raggruppate le richieste pervenute e l’ordine deciso per proseguire i lavori.
Con il suo accento, così simpaticamente dialettale, Gennaro comincia a leggere: – Quest’anno, cari sorelle e fratelli, le domande pervenute sono veramente molte. Tralascio quelle delle quali ci siamo già interessati negli anni passati e che pure, solo come promemoria, vi ricordo: è il caso di quelli che si lamentano perché dicono che il loro nome è scomparso dai calendari o di quelli che pretendono di entrarci, nel calendari, in nome delle loro azioni. Vi risparmio le motivazioni con le quali abbiamo già respinto queste domande; e, del resto, se qualcuno vuole, può sempre consultare il verbale delle sedute degli altri anni. A questo proposito sono sicuro, ad esempio, che ricordate il vescovo e poeta francese Marbodo di Rennes il quale ogni anno ripresenta la sua richiesta. Per l’affetto e la stima che mi legano al caro vescovo francese, ricordo, ancora una volta, che nel calendario si può entrare solo se Beati. Comprendo le ragioni di tutti ma sappiamo bene che questo è un principio assoluto sul quale non possiamo fare nulla.- Parola, quest’ultima, sulla quale alza il tono di voce per far tacere ogni possibile protesta.
Passo ora alla lettura dei diversi argomenti proposti quest’anno, per poi dare inizio ai lavori. Dunque vi prego un attimo di attenzione. Un primo gruppo di domande riguarda la richiesta di cambiare il proprio nome. È inutile che io vi annoi leggendovi tali richieste; certo tutti sappiamo che, come da regolamento, il nome può essere cambiato una sola volta. Mi riferisco, in particolare, a tutte le Kimberly, Samantha, Deborah, Marilyn o anche Andy e Bred: le loro richieste non possono essere accolte poiché, come ricorderete, già una volta hanno scelto di cambiare per seguire la moda. Tuttavia -dice alzando la voce per zittire il mormorio di dissenso che già si sente nell’aria- poiché ogni anno queste domande aumentano, è stato deciso di istituire una commissione che esaminerà, caso per caso, le richieste pervenute. Vorrei soltanto ricordare che parecchi anni fa sono già state accettate, per opportuni motivi che certo comprendete bene, le richieste avanzate da Erode, Attila e, più recentemente, da Benito e Adolfo. Quindi vi prego di avere pazienza ed aspettare.
– Un secondo gruppo di domande, per la verità non molte, riguarda la richiesta di quanti si lamentano perché hanno riscontrato che spesso il loro nome non è riportato in tutti i calendari. Premesso che, da anni, abbiamo chiesto di poter controllare la compilazione dei calendari prima del “si stampi”, in questo caso occorre distinguere una semplice dimenticanza rispetto ad una precisa volontà di lasciar cadere il nome forse perché da molto tempo non più scelto da nessuno. Certo non tutti, bisogna riconoscerlo, hanno la pazienza e la forza morale del nostro fratello Pacomio il cui nome è da tempo scomparso non soltanto da quasi tutti i calendari ma anche dalla memoria di molti esclusi, forse, gli abitanti di Portovenere di cui è protettore; benché anche in quella località i giovani hanno lasciato solo a qualche anziano il peso di un nome così impegnativo.
– Vi è poi, continua Gennaro, la richiesta di quelli che chiedono di poter essere ricordati, nello stesso giorno, insieme ad un altro. Sarebbe un modo, dicono, per dare una mano agli amici più sfortunati. Immaginate, ad esempio, se il 4 ottobre, insieme a Francesco d’Assisi, venissero ricordati anche, mettiamo, Prosdocimo o Pascasio. In questo modo si aiuterebbero questi poverini a essere conosciuti in una cerchia ben più ampia del solo paese dove sono festeggiati come santi patroni.
(1.continua)
Seconda Puntata
Come vedete, il tema è delicato; la soluzione non appare immediata e c’è il pericolo reale di urtare la suscettibilità di qualcuno, per cui se siete d’accordo, riprenderei l’argomento alla fine di questa seduta in modo da lasciare ad ognuno il tempo di riflettere e semmai avanzare una possibile soluzione.-
Poi Gennaro si ferma e alzando gli occhi dal foglio guarda nella sala se c’è qualcuno che intende intervenire. Ma non vede mani alzate per cui, ritorna di nuovo alle sue carte e riprende a parlare.
– Propongo, allora, di riprendere i lavori iniziando dai casi più difficili. Esaminerei, continua, i problemi accusati da molte coppie….
– Un momento, un momento, per favore lasciatemi passare. Chiedo scusa a Gennaro, alla commissione tutta ed agli altri; ero in fondo alla sala, sono vecchio e non avevo sentito bene; vi prego di ascoltarmi.
– Non ci sono problemi,– dice Gennaro sorridendo, -su Guidolino, siamo qui per sentire che cosa hai da dire.-
Il nuovo arrivato si ferma sorpreso e poi, sorridendo, guarda Gennaro.
-Oh!, dice, sono felice nel sentirmi ricordato con l’affettuoso diminutivo con il quale i domenicani del convento di Fiesole si rivolgevano al loro confratello Guido di Pietro che, poi, tutti preferiscono ricordare come Beato Angelico; senza far torto a Guido Monaco, meglio conosciuto come Guido d’Arezzo al quale, come certo saprete, dobbiamo l’invenzione del tetragramma con la moderna trascrizione delle note musicali. E potrei continuare ricordando altri illustri personaggi ai quali pure ho dato il mio nome, Ora però, per favore, ascoltatemi. Non mi piace fare, come si dice, bastian contrario, continua, ma io credo che una certa differenza sia necessaria. Non possiamo essere trattati tutti allo stesso modo. Io, ad esempio, che ho dato il nome ai già ricordati grandi personaggi non posso essere paragonato, mettiamo, non me ne voglia il buon fratello, a Cono.
– Ha ragione Guidolino, ma che cosa devo dire io, allora,- subentra un piccoletto vestito da frate cappuccino,- forse non tutti si ricordano di me ma io sono fra Galdino e di me ha parlato nientemeno che Alessandro Manzoni. Ammetterete che essere stati immortalati in testi letterati, certo fa la differenza.- Al suo fianco Zeno asserisce scuotendo la testa.
Incoraggiati dalle parole di Galdino, avanzano Buffalmacco e Calandrino seguiti da Abelardo ed Eloisa i quali, tenendosi per mano, si fermano in prima fila. Non parlano; il ricordo del travagliato amore attanaglia loro la gola. Tutti restano in silenzio guardandosi increduli. Il disagio blocca ogni iniziativa ma non pochi tirano su col naso ricordando la triste storia dei due sventurati amanti. Che cosa, pensano in molti, se non la pietà divina può giustificare la loro inaspettata presenza in questo luogo?
– Per favore ascoltatemi, vi prego.
All’improvviso una voce, rotta dal pianto, si fa largo fra la folla. È quella di una giovane donna che avanza torcendosi le mani.
– Lo so, ogni anno ripeto la stessa richiesta ma vi scongiuro, voi dovete ascoltarmi. Io voglio essere esonerata dal mio incarico. Sono secoli che assisto impotente alle tragedie che si consumano sui campi di battaglia spesso agitando vessilli con la mia immagine. Sono stanca di restare impassibile mentre migliaia di giovani, senza colpa alcuna, sono massacrati in nome di ideologie che, quasi sempre, non hanno alcun fondamento. Non posso più vedere tanto sangue.
– Ma Barbara, sorella cara, non possiamo abbandonarli; così tu lasci morire questi poveri giovani senza il conforto di una preghiera e di uno sguardo amico; capisco il tuo dolore ma pensaci bene: soli, abbandonati, poveri figli, così si dannerebbero.
(2.continua)
Terza puntata
– Anch’io sai,- continua Giuseppe da Copertino che l’ha raggiunta e ora le prende la mano, -non poche volte, scoraggiato, ho pensato di lasciare ma poi non ne ho avuto il coraggio e sono contento perché ogni volta che un aviere si alza in volo con il suo aereo, sa che io gli sono vicino.-
– Hai ragione Giuseppe,- ora Barbara parla quasi sottovoce, -vi prego perdonatemi, non tenete conto di quello che ho detto, ma sono oppressa da tanto dolore; come faccio a considerare nemico un povero giovane il quale ha il solo torto di stare dall’altra parte di una trincea? Come faccio a sopportare l’infinita disperazione di tante madri che hanno sperato di continuare la propria vita in quella dei figli? Che cosa posso dire per dare loro coraggio? Di quelle atrocità voi vedete immagini censurate ma che cosa sapete dei campi di battaglia dove corpi dilaniati non hanno nemmeno il conforto di un pianto? Ed ora poi, anche con queste cosiddette bombe intelligenti! Come posso aiutare una povera donna che piange il proprio figlio morto sotto le macerie di una casa sussurrandole che è stato un errore perché la sua abitazione non doveva essere colpita! Non riesco a non pensare che la guerra sia una barbarie che andrebbe evitata. Gli uomini mi rappresentano con la torre nella quale mi richiuse mio padre Dioscoro. Se sapeste quante volte ho avuto la tentazione di restare fra quelle mura, sorda ad ogni implorazione. E poi, ogni volta che mi sento invocata, corro e quasi sempre non posso fare altro che benedire quei poveri giovani disperati e soli.-
– Su Barbara, ora basta; così ti fai solo del male.-
Giuseppe la conforta sottovoce anche se, anche lui, non riesce a trattenere le lacrime. Insieme, lentamente si girano per andar via; poi Barbara si ferma ancora un momento.
– Perdonatemi ancora, ma a volte il dolore è insopportabile, e io sento il bisogno di gridare la mia angoscia.-
Poi avanza lentamente e, guardandosi intorno, riprende.
– E, vi prego, quando leggete delle continue sciagure che, ogni giorno, vedono barconi affondare insieme alla vita e alle speranze di tanta povera gente, abbiate un pensiero anche per me che, in quei frangenti, ancora una volta, accorro sia pure non da sola e, senza più lacrime ormai, inutilmente urlo il mio dolore per tante vite perdute. E nessuno mi ascolta.-
Con un ultimo singhiozzo nella voce Barbara, sorretta da Giuseppe, si allontana chiusa nel suo composto dolore. Tutti si scostano per lasciarli passare; molti piangono e Rosa, Rosa da Viterbo, quando Barbara le passa accanto, le porge un fiore, una rosa presa dalla corona che porta sul capo mentre non pochi alzano una mano in un timido gesto di solidarietà.
Gennaro sente crescere l’emozione nei presenti e si rende conto che la situazione gli sta sfuggendo di mano ma non sa come intervenire per fermare quel senso di solidarietà e di dolore che si è impadronito di tutti.
In fondo non sarebbe nemmeno giusto interrompere il racconto di quanti, per un anno intero, aspettano questo giorno per ottenere almeno un po’ di attenzione. Ogni anno, infatti, questa riunione diventa un teatro in cui tutti hanno diritto a ricoprire il proprio ruolo ed essere ascoltati.
Gennaro agita il campanello. Ora i lavori devono riprendere anche per allontanare quel senso di disagio e di tristezza che ristagna nell’aria.
È il turno di Lazzaro e Rocco i quali si lamentano per l’eccessiva crudeltà con la quale gli artisti rappresentano le loro piaghe mentre anche Bartolomeo avanza, piano, mostrando la sua pelle sanguinolenta che gli pende sul braccio teso.
Tutti gli artisti hanno scelto di rappresentare questi santi nella maniera più cruenta certo per commuovere i fedeli. E non vi è dubbio che lo spettacolo del loro martirio, benché non certo nuovo, risulti sempre raccapricciante e, per molti, difficile da sopportare; per questi martiri essere ricordati, da secoli e in ogni calendario, non è per nulla un conforto.
Nel silenzio generale anche questi ultimi intervenuti sono ritornati al loro posto. In fondo sanno che la distribuzione dei diversi ruoli non dipende dalla commissione ma almeno, una volta all’anno, possono sentire la solidarietà degli altri.
Davanti alla cattedra, ora che tutti si sono allontanati, è rimasto solo un giovane uomo, avvenente nella sua quasi totale nudità.
– Vi prego, ascoltatemi; non lasciatevi influenzare da tutto quanto si è raccontato sulla mia vita e, soprattutto dal mio aspetto che, ammetto, è alquanto gradevole. Lo capisco ma, vedete, è proprio da questo corpo che cominciano i miei guai. Ho sentito le lamentele di Lazzaro e di Rocco e vi assicuro che l’orrenda visione di Bartolomeo non mi lascia indifferente. Eppure, vi prego di credermi, io li invidio. Anche se questo sentimento non dovrebbe trovare albergo nei nostri cuori, ebbene sì, lo ripeto, io li invidio. Sono stanco di essere invocato da fedeli dei quali non sempre sono convinto della sincerità delle loro preghiere. Lazzaro, Rocco e Bartolomeo, per ricordare i nostri sventurati fratelli, sono fatti oggetto di un sincero culto. Le loro immagini sono adorate, curate e sono sempre addobbate con fiori e candele. Pietose mani cercano di lenire le loro piaghe che, con tanta veridicità, gli artisti hanno rappresentato per ricordare, ai loro fedeli, le sofferenze del martirio. Ma io, quando sento le mani accarezzare il mio corpo, non posso non sospettare pensieri lascivi.
Non poche volte, fra gli uomini di chiesa, il mio simulacro è diventato oggetto di accese discussioni sulla sacralità della mia rappresentazione artistica. Sapeste l’umiliazione subita quando zelanti prelati mi hanno tirato giù dagli altari per nascondermi agli occhi di estasiate, giovani monachelle, di zitelle speranzose, vedove inconsolabili o di imberbi giovanetti ma anche, lo ammetto, di qualche religioso, triste nella sua solitudine. A nulla è servito ricordare a tutti che sì, certo ero amico di Severus, ma soltanto un amico fraterno. Io, sia ben chiaro, non ho nulla contro l’amore in tutte le sue espressioni ma troppe volte, senza poter intervenire, ho dovuto assistere alla traslazione delle mie effigi. Non so più quanti quadri e statue, con le mie sembianze, giacciono nei depositi polverosi, sottratti ai fedeli ed ai loro pietosi riti religiosi.
Che colpa ho io, vi chiedo, se, da sempre, sono stato raffigurato come un atleta che non ha disdegnato, nella sua vita, di frequentare palestre e fare ginnastica. Certo, lo capisco, la mia attività di militare ha forgiato il mio fisico ma perché tutti, dico tutti gli artisti, hanno insistito sulla fisicità del mio aspetto tanto che, nelle loro opere, le frecce che hanno straziato la mia carne sembrano quasi decorazioni e non già lo strumento di una sofferenza infinita. Vi prego, guardate le mie raffigurazioni.
Sono tante; con esse si potrebbe formare un intero Museo: il Sodoma, Mantegna, Antonello da Messina, Lorenzo Costa, Cima da Conigliano, Guido Reni, Ludovico Carracci, il quale pur legando il mio corpo ad una colonna lo torce come in una danza; per non parlare poi del realismo così sensuale del dipinto di Mattia Preti. Ma non solo pittori si sono occupati di me. Ricorderete gli scritti di Oscar Wilde e Yukio Mishima i quali hanno indugiato sull’ambiguità che non è mia, credetemi, ma solo del personaggio che tutti mi hanno costretto a recitare; un ruolo che anche Gabriele D’Annunzio, dopo aver fatto musicare la sua opera da Claude Debussy, affidò ad una famosa danzatrice russa.
L’elenco degli artisti che hanno preteso di interpretare il mio dolore sarebbe troppo lungo e rischierei di annoiarvi. Lasciate solo che vi ricordi la sofferta opera di El Greco il quale, forse unico, con una profonda pietas, ha rappresentato il mio corpo straziato, livido e gonfio. Per tutti io resto il Bello. Sono stanco di essere adorato per la mia anatomia e non per il martirio subito per la mia scelta di fede.-
Sebastiano ora tace; è avvilito anche perché si rende conto dell’inutilità della sua protesta. Sa bene che non potrà mai sperare di essere raffigurato vecchio, oscenamente grasso e semmai vestito. La sua immagine, la sua icona ormai è definitivamente stabilita.
(3.continua)
Quarta Puntata
Sebastiano ora tace; è avvilito anche perché si rende conto dell’inutilità della sua protesta. Sa bene che non potrà mai sperare di essere raffigurato vecchio, oscenamente grasso e semmai vestito. La sua immagine, la sua icona ormai è definitivamente stabilita.
Alle sue parole segue un imbarazzante silenzio carico di tensione; la sua storia e quella precedente di Barbara, hanno commosso tutti. Di solito il chiasso dei santi è allegro come quello dei bambini ma ora la tristezza che regna sui presenti spegne ogni entusiasmo.
Altri mormorii si sentono insieme a racconti personali e deboli proteste. Fra tutte le voci si riconosce quella robusta di Uberto il quale si lamenta della stampa sfavorevole che gli hanno scagliato contro gli animalisti. In realtà non si riesce a capire bene quello che dice perché alla sua si sovrappone la forte voce di Alfio il quale pretende rispetto ed urla le sue ragioni; sembra quasi che voglia dar voce ai suoi protetti i quali, com’è noto, a causa della loro menomazione, non possono fare udire le loro lamentele. Approfittando di un attimo di pausa ora parla Gualtiero il quale si rammarica per le confusioni che alcuni calendari fanno fra Gualtiero di Lodi, quello di Bruges e quello di Esterp.
Gennaro ascolta tutti lasciando che ognuno sfoghi il proprio rammarico; ora è la volta di Giuda Taddeo che chiede di marcare, in qualche modo, la differenza con Giuda Iscariota la cui nota vicenda ha riempito tomi e tomi di scritti da parte di giuristi e di religiosi i quali ancora non sono riusciti a trovare un punto d’intesa sul ruolo ricoperto dall’Iscariota nella vita di Cristo mentre molti si chiedono se il poverino non abbia subito un ingiusto massacro mediatico.
Insomma è evidente che i motivi per lamentarsi non mancano; nella confusione generale si ode la voce un po’ stridula, forse per lo sforzo di farsi sentire, di Eufrasia: scomparsa, lei dice, da quasi tutti i calendari, chiede maggior rispetto per il suo martirio. Alle sue parole, per solidarietà, fanno coro altre sante vergini che ricordano i loro terribili supplizi mostrandone i segni come fanno, ad esempio, Lucia e Agata mentre Caterina, quella indicata con l’appellativo d’Alessandria, per distinguerla dalla omonima santa senese, avanza spingendo a fatica la ruota dentata, strumento del suo martirio.
Quando ecco avanzare un vecchio che chiede di essere ascoltato. – Mi chiamo Beda e sono nato in Inghilterra nel 672; ho scritto di patristica e molto altro, diffondendo la sacra dottrina. Sono stato anche citato dal sommo poeta il quale, come ricorderete, nel decimo canto del Paradiso così mi ricorda:
Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.
Ebbene ciò nonostante solo nel 1889 sono stato dichiarato dottore della Chiesa dalle autorità ecclesiastiche. Ma tutto questo non ha importanza; la mia richiesta è molto semplice; poiché il mio nome non è molto noto vengo spesso scambiato per una santa. La santità non ha sesso, voi mi direte, ma dovete ammettere che un certo imbarazzo lo provo quando sento bambine chiamate con il mio nome. Non voglio tediarvi molto ma se si potesse cambiare la mia vocale finale, ve ne sarei grato.-
E in silenzio si allontana confondendosi nella folla mentre dal fondo della sala una voce grida- Bravo- ed Isidoro gli va incontro abbracciando il compagno di sventura.
Poi tutti riprendono a commentare formando piccoli gruppi. Nella sala è un accavallarsi di voci in realtà senza risultato. Ognuno ha qualcosa da dire ed avanza proposte credibili solo per sé stesso; come spesso succede nelle assemblee, nessuno ascolta gli altri. Invano Ezechiele chiede di fare silenzio sperando nel rispetto per la sua veneranda età.
Approfittando di un momento di calma si ode una voce, ora non ricordo più di chi, che propone un criterio per selezionare le molte domande pervenute: giudicare l’autorevolezza del richiedente valutando il suo curriculum ossia l’importanza dei miracoli compiuti.
La proposta ha qualcosa di sensato per cui tutti tacciono guardando la commissione i cui componenti, per qualche minuto, parlano sottovoce fra di loro.
– Scusate fratelli, per favore, un attimo di silenzio,– interviene Gennaro poco dopo, – Abbiamo ascoltato i vostri problemi, che facciamo nostri, ed anche i suggerimenti ma abbiamo constatato che molti di questi, come certo voi stessi avrete potuto notare, non sembrano attuabili. Consideriamo, ad esempio, continua, quest’ultimo suggerimento che vorrebbe tener conto dei miracoli. In teoria l’argomento sembra saggio e convincente ma io vi invito a riflettere anche sull’attualità dei miracoli. Sfido chiunque di voi a dirmi che importanza può avere oggi, ad esempio, il miracolo del crivello riparato o dei tre pomi d’oro; ma non per questo mi sentirei di rimettere in discussione la santità di Benedetto da Norcia o di Nicola di Myra.
Come vedete, dunque, non è facile giungere ad una soluzione che soddisfi almeno la maggioranza di noi. Parlando con gli amici -e con un largo gesto indica i componenti della commissione- per un momento abbiamo anche pensato di interpellare qualcuno dei sindacati, almeno di quello più rappresentativo. Però riflettendo -e di nuovo volge il capo verso gli altri santi seduti al suo fianco- ci siamo convinti che il suo segretario, ossia Giuseppe, no, no Giuseppe d’Arimatea ma il padre putativo, sì il falegname, proprio lui, ora senza voler offendere la sua autorità ci sembra, come dire, una persona non al passo con i tempi e quindi dubitiamo che possa darci un valido aiuto.
Suggeriamo dunque,- aggiunge subito per nascondere l’evidente imbarazzo che lui stesso prova nel pronunciare queste ultime parole,- di soprassedere fino a quando non avremo le idee più chiare sull’argomento. Capisco il vostro rammarico e non sottovaluto l’importanza di questa riunione. Anche se un po’ lento e faticoso sono convinto che questo sia il modo giusto di procedere nei nostri lavori. Almeno una volta all’anno, sentirsi circondati dall’affetto di tutti può essere un conforto se non un rimedio.
Ma vi prego di credermi, e sono sicuro di parlare anche a nome dell’intera commissione, a tutti esprimo la mia solidarietà; sapete bene che i nostri ruoli sono stati stabiliti una volta per sempre; ciò nonostante vi assicuro che le vostre richieste non resteranno inascoltate. Ogni vostra domanda farà parte di una pratica che, una volta istruita, sarà inoltrata- e con l’indice della mano destra indica in alto- e poi non ci resta che attendere fiduciosi. Ad altri di voi, invece, ricordo che noi non abbiamo competenza su tutto. Lo dico soprattutto a Siro, e a tutti quelli ai quali sono intitolati impianti sportivi. Faccio mio il vostro disappunto nel vedere il vostro nome legato ad avvenimenti che di sport non hanno più nulla; ma, come sapete, in questo caso, tutto dipende dalla volontà degli uomini, non sono pratiche di nostra competenza.
(4.continua)
In foto, una carrellata di santi