Nel cordoglio generale, ci ha lasciato Antonio Amoretti, ultimo partigiano delle Quattro Giornate di Napoli. Una folla commossa lo ha salutato intonando “Bella ciao”, il canto più celebre al mondo della Resistenza italiana.
Il Comune, come segno di riconoscenza e cordoglio, ha consentito l’allestimento di una camera ardente nella Sala dei Baroni del Maschio Angioino, che prende il nome dalla congiura orchestrata dai nobili nel 1487 per destituire l’allora re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona.

In copertina: un momento del cordoglio pubblico ai funerali di Antonio Amoretti. Riconoscibile al centro il presidente nazionale dell’ANPI, Gianfranco Pagliarulo
Sopra: il saluto al feretro del partigiano

Alla cerimonia, tenutasi nel giorno della vigilia di Natale, hanno partecipato circa duecento persone, a riprova del profondo affetto e dell’ammirazione che lega una parte consapevole di napoletani con questa gloriosa pagina di storia cittadina.
Amoretti era nato a Napoli nel 1927. A soli 16 anni, nel settembre 1943, partecipò all’insurrezione popolare che cacciò i nazifascisti, dando vigore a tutto il movimento resistenziale italiano. Com’è noto, infatti, dopo la città sovietica di Stalingrado, Napoli fu la prima città d’Europa a liberarsi da sola dall’occupazione delle orde di Hitler, che diede l’ordine al colonnello Walter Scholl di ridurla in «cenere e fango» per rallentare l’avanzata delle truppe Alleate sbarcate in Sicilia. 
Come ricorda lo storico Giuseppe Aragno (Il Manifesto, 24/12/2022)[1]: «Il padre di Antonio Amoretti è comunista, frequenta le riunioni clandestine dei “sovversivi” in casa del dentista Francesco Lanza, ex confinato passato dagli anarchici ai comunisti. Il padre sapeva in anticipo il giorno della rivolta infatti fu lui a consegnare al figlio la sua pistola di combattente della Grande Guerra alla vigilia dell’insurrezione, che non a caso esplose contemporaneamente in diversi quartieri della città. “A cosa mi serve?” gli domandò il figlio, “lo capirai domani” la risposta».
L’insurrezione popolare delle Quattro Giornate, tra il 28 settembre e l’1 ottobre del 1943, fu così un episodio cruciale, che servì da esempio a tutto il movimento antifascista in Italia.
Spesso, fra storiografi e detrattori, si è sostenuta la tesi che la sollevazione dei napoletani fosse scaturita da un moto spontaneo e apolitico dei cittadini, esasperati dalla Seconda Guerra mondiale (1939-45). Effettivamente, Napoli, tra il 1940 e il 1943, venne sottoposta a durissimi bombardamenti Alleati, che provocarono circa 25 mila vittime. In proposito, è utile ricordare che il 4 agosto 1943, la città subì il bombardamento di 400 “fortezze volanti” alleate, che misero a ferro e fuoco il capoluogo campano, provocando centinaia di morti. Disoccupazione e miseria dilagavano in città, i generi di consumo venivano razionati e proliferava la borsa nera.
Ma accanto a queste condizioni, che costituirono senz’altro un elemento importante, vi fu un lungo lavoro cospirativo portato avanti per circa vent’anni dalle organizzazioni antifasciste clandestine, che costituirono il vero lievito madre e l’amalgama della rivolta popolare.
Lo stesso Amoretti scriveva: «Insieme, con le nostre sole forze e la nostra disperazione, abbiamo eretto barricate nei vicoli della città, ostacolando il cammino di chi, ancora, voleva piegarci. E su quelle barricate abbiamo cominciato a costruire il nostro futuro»[2].

Motivazione della Medaglia d’oro al valor militare insignita alla città di Napoli. La lapide è affissa all’interno del Maschio Angioino

Il partigiano, che si è spento all’età di 95 anni, è stato per lungo tempo presidente della sezione napoletana dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, la storica organizzazione fondata dai combattenti della Guerra di Liberazione (1943-45) per preservare la memoria della Resistenza.
Amoretti ha sempre insistito molto sul trasmettere la consapevolezza dell’antifascismo alle nuove generazioni. Non si contano gli incontri che, nel corso di decenni, il partigiano delle Quattro Giornate ha tenuto nelle scuole di primo e secondo grado della Campania assieme ad altri superstiti di quella stagione, come Gennaro di Paola ed Ettore Bonavolta[3].
«Il nemico di oggi non si combatte più con la violenza e con le armi, ma con la mobilitazione e l’esercizio della critica politica e culturale. Memoria del passato e proiezione verso il futuro. Nel mezzo, un presente che deve essere capace di riannodare il filo rosso che tiene unite le generazioni e che forze potenti vogliono spezzare, rendendo opachi i valori della dignità, dell’eguaglianza e della libertà sanciti dalla nostra Costituzione»[4].
Parole che, ancora oggi, suonano come macigni scagliati contro una realtà in cui si riscrive quotidianamente la memoria collettiva, a colpi di revisionismo storico, disinformazione e qualunquismo. Amoretti ha sempre tenuto a ribadire ai giovani l’importanza dell’impegno civile e dello studio come strumenti decisivi per non farsi sottrarre le conquiste sancite dai partigiani e dal movimento operaio.
La sua infaticabile opera, portata avanti per una vita intera fino a pochi giorni prima della scomparsa, è stata mirabilmente ricostruita da Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale dell’ANPI, che ha presieduto i suoi funerali compiuti con rito civile. Alle sue parole, ha fatto seguito l’omaggio istituzionale del Sindaco Gaetano Manfredi.
Certo è che la generazione dei partigiani lascia un’eredità politica pesante che corre il rischio di disperdersi e di sgretolarsi, giorno dopo giorno, negli arretramenti e nelle titubanze di corpi politici e istituzionali. Il pericolo è che rimuovendo la memoria del fascismo, delle catastrofi cui ha condotto e la lotta di chi vi si è strenuamente opposto, al punto di immolare la propria vita, si disperdano i valori e le ragioni della lotta di liberazione e del tentativo di conquistare una democrazia progressiva sancita dai principi fondamentali della Carta Costituzionale.

Frontespizio del numero straordinario di Barricate, pubblicato in occasione del 70° anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, anno 2013. [Photo credit: Daniele Maffione]

La stessa Anpi sta attraversando un processo di trasformazione, data non solo dalla dipartita anagrafica della generazione dei partigiani. Spesso, come accade il 25 aprile, l’associazione si trova a presenziare di fronte a monumenti come quello a Salvo d’Acquisto in piazza Carità, che hanno sì la loro importanza, ma vengono avvolti da una narrazione che ossifica la memoria e la svuota dalle sue componenti attive, rimuovendo il contributo di sangue che principalmente diedero alla liberazione del Paese i partigiani inquadrati nelle formazioni comuniste, socialiste, azioniste, anarchiche.
Il rischio, dunque, è che alle nuove generazioni non giunga una consapevolezza vivida degli eventi passati, con una conseguente chiave di lettura del presente. Questo pericolo va quanto mai scongiurato in tempi cupi come i nostri, in cui riecheggiano le fanfare di morte delle guerre e dei nazionalismi. L’Anpi avrà, come sempre, un ruolo fondamentale e dovrà ravvivare un processo di rigenerazione interna quanto mai indispensabile per non essere superata dagli eventi. Il monito di Amoretti sta ancora lì a ricordarci l’impegno di chi ha combattuto per la pace, per la liberazione dal nazifascismo e l’emancipazione delle classi lavoratrici.
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LINK:

https://ilmanifesto.it/addio-ad-antonio-amoretti-lultimo-partigiano-delle-quattro-giornate-di-napoli


[1] https://ilmanifesto.it/addio-ad-antonio-amoretti-lultimo-partigiano-delle-quattro-giornate-di-napoli

[2] Barricate, numero straordinario per il 70° anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, a cura dell’ANPI Napoli, settembre 2013

[3] Consulta anche: https://www.ilmondodisuk.com/25-aprile-verso-il-traguardo-della-liberta-le-quattro-giornate-di-napoli-e-lantifascismo-popolare-sostenuto-dal-coraggio-dei-dissidenti/

[4] Barricate, Idem

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