Il teatro era la sua grande passione. Addio a Delia Morea, amica gentile, dai toni sempre garbati, dal sorriso dolce e malinconico: la salutiamo proponendo ai lettori una testimonianza della sua scrittura teatrale, forte. Ma mai sopra le righe. Com’era lei.
Ecco di seguito il testo “La moglie”, tratto dalla raccolta “La voce delle mani. 4 donne in scena” edito da ilmondodisuk. Ciao Delia, ci mancherà la tua profondità delle buone maniere che nascono dal cuore.
Introduzione
Elena, moglie di Francesco, attende la visita non gradita dei suoceri, per il solito pranzo domenicale. Questo incontro la destabilizza. Il suo rapporto con Francesco, con la famiglia di lui – soprattutto la suocera – si è consumato da tempo. Elena non è la moglie che tutti si aspettano. Durante l’attesa la donna racconta di ferite passate e mai chiuse, di quella che era e non è più. Il racconto, dai toni ironici, si trasforma, man mano, in un traumatico bilancio di sé che la conduce a un tragico epilogo.
Divano al centro di una stanza tutta bianca, un telefono è poggiato su una sottile colonna. Un donna è in camicia da notte corta con rouche e fiocchetti, è a piedi nudi vicino a una tenda di pesante velluto rosso.
ELENA: Tra poco saranno qui. Mi troveranno in camicia da notte e a piedi nudi! (Ride)
Non importa, gli sta bene! A ogni costo combatterò, non vinceranno.
(Si muove verso il proscenio) Francesco è stato chiaro, con quella voce saccente e fastidiosa mi ha annunciato la loro visita. Ho fatto finta di nulla. Non ho ascoltato, almeno ci ho provato.
(Si passa una mano tra i capelli arruffati) Sono stanca e arrabbiata, lui crede che possa sempre essere pronta, invece non è così! Non sono una padrona di casa perfetta, ecco tutto. Francesco mi critica, dice che nemmeno la cameriera sta bene qui, che la paga inutilmente.
“La poverina – dice – non sa che pesci pigliare, cosa può fare se tu non riesci a darle ordini? Se ti alzi a mezzogiorno dal letto? Mia madre è un’ottima padrona di casa, lei sa come si comanda la servitù.”
Ma che devo fare? Mi ha messo intorno una ucraina laureata, che al suo paese insegnava letteratura! La miseria l’ha portata qui. Posso mai dare ordini a un’insegnante? Non mi è mai piaciuto prendermela con le classi più deboli e voglio stare a letto fino a mezzogiorno, è bello rigirarsi tra le lenzuola senza fare nulla. Che poi, cosa dovrei fare? È lui che invita i suoi parenti, quella megera di sua madre col marito e quel cretino del fratello piccolo, io non c’entro.
Li odio. Avrei dovuto telefonare, inventare una scusa per non farli venire. Ma come? (Si avvicina al telefono, alza il microfono) Non c’è linea. In questa casa non funziona neanche il telefono. Mica per colpa mia! Sono mesi che non paga le bollette, dice che sto sempre al telefono… Nulla, non c’è linea, l’avranno staccata. Se non paga, è logico che non funziona.
(Si distende sul divano) E chi se ne frega! Tanto questa casa non è mia, lo ripete sempre. È il sacrario di Francesco. Io non ho un soldo, è lui il ricco… È tutta roba sua e se la può tenere… A me appartengono i sogni, a me appartiene la mia vita.
Vorrebbe dei bambini. Non ne ho voglia, troppo faticoso.
“Dovresti imparare a fare la mamma. Non sai fare la padrona di casa, non sai cucinare, almeno metti al mondo dei figli. Così t’impari un mestiere!” Stupido. (Si rigira a pancia in giù e cerca con le mani sotto al divano. Tira una scatola di cioccolatini, la apre e inizia a divorarli).
Che goduria! Stupendi! Li devo nascondere, accidenti. Lui non vuole vedere cioccolata per casa, s’incazza. Dice che ingrasso, che divento come una vacca. (Si passa il dorso della mano sulla bocca per pulirla, mima ancora la voce di Francesco).
“Non mangiare queste schifezze, ti fanno male. Ma guardati allo specchio, diventerai come una mongolfiera. Chi ti vuole, chi ti vorrebbe in queste condizioni?” (Pausa) Quante ovvie banalità.
Che ne sa del piacere della cioccolata? Del dolce sapore che scende nella lingua, si attacca ai denti e appaga il corpo e la mente… Lui non sa niente di me. Vorrei sapere perché mi ha sposata. Quale demone maligno lo portò verso di me? (Si alza di scatto, cadono per terra la carte dei cioccolatini, le raccoglie)
Ricordo il giorno che ci conoscemmo: aula di Medicina, lezione di Anatomia, rideva. Il professore spiegava il corpo umano e lui rideva. Nei corridoi gli chiesi perché quelle risate. Mi rispose che non gliene importava nulla delle chiacchiere del professore, lui il corpo umano lo conosceva benissimo. Presuntuoso, già allora mi dava ai nervi. (Butta le carte a terra intorno ai piedi)
Mi venne da pensare che era un pazzo furioso che si trovava per sbaglio nell’università. Invece si laureò con la lode. Adesso dicono che è un medico famoso. (Si stende di nuovo, questa volta a terra, rotola su se stessa).
Io non c’è l’ho fatta, non mi sono laureata, basta uno scienziato in famiglia. Ho altre risorse. Io vivo, lui vegeta tra i suoi libri.
Un mese fa ha portato a cena un collega, un certo Aldo. (Si alza va verso il proscenio) Alto, bruno, bello.
Quando fa così mi viene voglia di farlo sentire in imbarazzo. Sono stata zitta tutta la cena. Sono stata zitta (mette un dito sulle labbra, guarda il pubblico) ma ho fatto “piedino” ad Aldo sotto il tavolo (risata), mi sono divertita a vedergli cambiare colore del viso, a vederlo sobbalzare ogni poco. Ci stava, ci stava. Che bel dispetto al mio signor “so tutto”.
Aldo dopo cena mi ha chiesto se potevo fargli visitare il giardino, il nostro giardino di cui Francesco è tanto fiero.
Ho accettato, l’ho portato fuori mentre mio marito riempiva tre bicchieri di cognac. Aldo mi ha guardato, era scosso da un forte tremito. Mi ha detto: “Elena sei bellissima, lui non ti merita, ho capito subito che ci saremmo intesi…” Mi ha abbracciata, ha tentato di baciarmi, ci è quasi riuscito, ma Francesco si è affacciato per chiamarci. Si è staccato con un salto, io sono corsa via non prima di aver fatto una risata in faccia a tutti e due. La serata è finita in noia, una noia di discorsi cattedratici fra professori.
Aldo non è venuto più, e Francesco? Lui è come una mummia, non ha detto nemmeno una parola, non ha chiesto spiegazioni, nulla… L’ho detto: una mummia, una statua di sale.
Che ho fatto di male? Ho voluto solo divertirmi un po’, incrinare il suo egocentrismo, ma lui non parla, si crede un dio sceso in terra per noi umili mortali!
Eppure l’ho amato. L’ho amato perché stava sulle barricate, perché aveva degli ideali, era il portabandiera della contestazione anni ’80. Quel poco di rivoluzione di quegli anni sfigati l’abbiamo fatta noi… Sfido io, dovevamo combattere il sistema, la società era da buttare più di prima…
Vivevamo facendo l’amore e i cortei: (comincia a cantare) compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce impugnate il martello…
Chissà se fa così questa canzone? È un vecchio motivo ma noi lo cantavamo sempre… Ora non lo ricordo più, non lo ricordo… È stato capace di farmelo dimenticare! è diventato potente e bastardo, uno sporco bastardo. Me ne frego di lui io voglio ancora vivere, ridere, ballare…
Invece dovrò invecchiare spolverando l’altare dei suoi trionfi. Dovrò fare il tè alle amiche della canasta, andare tutti i venerdì dal parrucchiere, frequentare un corso d’inglese per essere presentabile ai suoi ospiti, preoccuparmi delle ricorrenze e dei funerali, controllare le scorte di cibo, pianificare le vacanze, dare istruzioni ai domestici, saper spendere le sue carte di credito…
(Pausa) E quando sarò proprio da buttare farò una operazione di lifting per tornare come nuova! Una moglie operosa, fertile come un vitigno, anche se la madre continuerà a dire che non sono la compagna adatta, che il figlio ha fatto male a sposarmi, che avrebbe dovuto prendersi Bice, la sua prima fidanzata, quella sì che andava bene, tutta casa e chiesa, mossette e inchini.
Bice: interessante come una bottiglia di latte scaduto, andata così a male che fa acido solo se la guardi! (Si abbassa sotto il divano e cerca freneticamente, tira fuori un lettore cd e dei cd sparpagliati alla rinfusa. Ne sceglie uno che inserisce nel lettore.)
Musica sudamericana, musica per ballare… (Inizia una danza travolgente, fa salti, piroette, fino a quando si lascia cadere stremata sul divano…)
Ah, che godimento. Lui sono anni che non mi fa godere così, quando siamo a letto monta su di me indifferente, come se fosse un dovere e non un piacere, poi si gira dall’altra parte e chi si è visto si è visto.
Da qualche mese non lo facciamo nemmeno più. Entra nel letto e si addormenta subito. Se glielo chiedo dice che è troppo stanco, che lavora molto, che deve lavorare per mantenermi, dato che non faccio nulla dalla mattina alla sera.(Ride in maniera squillante)
Vorrebbe dei figli, di questo passo diventeremo vecchi e figli non ne avremo, e poi non li voglio. L’ho detto e ripetuto, non voglio mocciosi tra i piedi. (Prende uno specchio buttato tra i cuscini e si guarda)
Ogni tanto devo guardarmi allo specchio, voglio capire in che stato è la mia faccia, spio le rughe, i segni del tempo…
Ero bella quando mi ha conosciuta, una delle più belle studentesse del primo anno di Medicina. Avevo tanti uomini intorno, lui si è presentato ed è diventato il mio padrone… Lo lasciavo fare, mi piaceva il suo modo di dirmi le cose che dovevo fare, mi sentivo protetta, sicura tra le sue braccia… Formavamo una bella coppia, c’invidiavano.
“Tu e Francesco avete proprio tutto, bellezza, intelligenza, non vi manca nulla…”. E invece ci mancava…
Sono rimasta incinta, dopo pochi mesi che stavamo insieme ero già incinta. Accidenti a me e a lui. Non sapevo cosa fare, così mi sono risolta e gli ho raccontato tutto. Sono andata da Francesco e gli ho detto: “Stai per diventare padre!” Gli si sono strabuzzati gli occhi, gli è andata di traverso la birra, eravamo in un pub pieno di gente.
“Ma sei sicura? Sei proprio sicura?”. Ha parlato dopo un silenzio che è durato un minuto, lo so perché l’ho contato, lui stava zitto e io contavo i secondi.
“Sicurissima”, ho risposto guardando spaventata la sua faccia arrabbiata. “Non ce lo possiamo permettere, non possiamo. Devo pensare a laurearmi, a lavorare, alla carriera”.
E i sogni di amore eterno? La giustizia, l’uguaglianza? Tutto a puttane…
Sono stata zitta anche io, forse nemmeno io lo volevo quel figlio. Quando mi ha portata ad abortire, quando mi hanno infilato nella vagina quell’arnese che sembra un cucchiaio storto che risucchia l’anima, non ho gridato per nulla, avevo gli occhi spalancati, stringevo i denti e pensavo. Era un mio diritto abortire, ecco, era un mio diritto se proprio non lo volevo e non lo potevo avere quel figlio!
Ne farò altri – pensavo – quando tutto si sarà sistemato ne avrò altri, una caterva se voglio. Intanto buttavo sangue dalle cosce come un vitello portato al mattatoio.
Ho abortito, ho eliminato la causa dei problemi come uno straccio vecchio da buttare via. Un piccolo grumo di sangue e carne che non serve… Ci siamo sposati dopo due anni ma di figli nemmeno l’ombra, non sono rimasta incinta e li potevo avere, mica ero malata, mica c’era in me qualcosa che non andava, li potevo avere ma non sono venuti.
Francesco ha detto che ho avuto un blocco psicologico che con una buona cura mi sarebbe passato tutto. Un blocco, già… Mi sono rifiutata, non l’ho voluta fare la cura, devono arrivare spontaneamente i figli. Abbiamo litigato come pazzi, e l’ho chiamato assassino, assassino di mio figlio.
(Si accovaccia su se stessa): Assassino, assassino! Io sono padrona del mio corpo, io dovevo scegliere il momento…
(Si alza in piedi) Non li voglio più i figli! Ora se mi pagassero non li vorrei, lui è un robot che mi disgusta, la sua famiglia mi disgusta… Sono tutti ipocriti e stanno venendo per la solita cerimonia domenicale del pranzo in famiglia.
Quale pranzo se in casa non c’è nulla? L’ho detto a Francesco: chiama la rosticceria all’angolo, quella è aperta anche la domenica, fatti portare un pranzo completo, così non fai brutta figura con tua madre. Io non voglio fare nulla, nemmeno un dito metterò in cucina.
(Si sposta in giro per la stanza) Non sento rumore, non viene alcun rumore da fuori. Avranno cambiato idea, non verranno più, lui li avrà dissuasi.
No, è difficile che l’abbia fatto, ci tiene così tanto alle riunioni familiari. Mi vuole bella e preparata come un trofeo da esibire mentre sua madre per tutto il pranzo non fa che rimproverarmi.
(Va verso il proscenio e imita la voce della suocera) “Elena cara, non ti sembra di esserti data troppo rossetto e fard sulle guance? In fondo siamo tra di noi, potevi anche non mettere trucco, è così bella la semplicità. Io non mi sono mai truccata e guarda alla mia età che pelle fresca ho ancora! Intendiamoci, sei libera, per carità, ci mancherebbe. Libera di truccarti e vestirti come ti pare, è solo il consiglio di una persona più grande di te.
Elena cara, non ti sembra che questi portatovaglioli siano troppo eccentrici? Rosa, a cuoricino per mantenere dei semplici tovaglioli! È eccessivo, non ti sembra? Quanto costeranno?
Elena cara, hai pensato al regalo per il figlio dei Giudici? Lo sai, ci tengono a noi, sono stati così felici d’invitare anche te e Francesco al matrimonio, mi hanno detto che sono arrivati tutti i regali tranne il vostro; capirai il ragazzo si sposa tra una settimana! Domani vai a vedere la lista dei regali che hanno scelto, io ci sono stata ieri proprio per controllare. L’ho fatto per voi, naturalmente, c’è ancora qualcosa di bello che puoi comprare, vai subito, mi raccomando!
Elena cara, mi dispiace, ma questo timballo di pasta è sciapo di sale, eppure ti ho ben insegnato come lo devi fare, te l’ho spiegato tante volte, ti ho detto che è il piatto preferito di Francesco. Ma che vuoi fare, come lo fa la mamma sua non lo fa nessuno, sono i sapori familiari quelli che contano. Vedrai che prima o poi ci riuscirai, con un piccolo sforzo lo farai. Domani ti telefono e ti spiego di nuovo la ricetta, basta poco per accontentare un marito, molto poco. So ben io cosa si deve fare. Elena cara…”
(Si mette le mani sulle orecchie) Basta, non la sopporto più, non voglio più sentire la sua voce, è come un incubo.
(Si sente in lontananza un rombo di motore, uno stridio di freni, una automobile che si ferma) Stanno arrivando, tra poco busseranno alla porta, si presenteranno col solito dolce fatto in casa, la torta con la crema chantilly, la preferita di Francesco. Fa schifo, sa di sapone, ma lui dice che è la cosa più buona del mondo.
(Cammina nervosamente lungo il proscenio) Non mi avranno, questa volta non farò la parte dell’agnello sacrificale, è un ruolo che non mi si adatta!
(Allarga di scatto la tenda di velluto rosso: appare una finestra con uno spazioso davanzale, la apre)
Aria, ci vuole aria, non è bello stare sempre chiusi dentro, fa male alla salute. Ci vuole aria e luce per stare bene, due cose semplici alle quali non avevo pensato.
(Si affaccia al davanzale, guarda giù) Come sono piccoli gli uomini da questa altezza, così piccoli che sembrano formiche da schiacciare. Ma le formiche non si schiacciano, che male hanno fatto?
Gli uomini sì: è bello pensare di pestarli uno a uno e vederli spiaccicati per terra, col sangue che schizza da tutte le parti. Così la finiscono, la finiranno di tormentare.
Qualcuno dovrà pur farlo! Lo farò io, sono l’unica che può farlo e lo farò!(Si ferma un attimo a pensare) Chissà se Francesco è sceso ad accogliere i suoi adorati parenti? Ma certo, starà giù in strada in pompa magna. Ora prendo bene la mira schiaccio lui e tutta la sua famiglia. Me ne libero in un colpo solo. Grande idea! Idea meravigliosa!
(Si guarda intorno) È la migliore delle idee: se guardo alle mie spalle vedo una gioventù sprecata e una vita inutile con un uomo che occupa le mie giornate con l’assenza di sé, che è pietra senza carne, che non vede, non sente, non parla… Vedo abortiti tutti i miei desideri, i miei intenti…
Strano, tutto questo non mi fa effetto, mi sento bene, sono felice. In fondo è solo un piccolo passo verso la libertà, verso l’aspirazione a non esistere, ad annullare la mia presenza, come non fossi mai nata. Cosa c’è di più accattivante, d’intrigante di una morte ragionevole?(Con uno scatto sale in piedi sul davanzale. Si lancia dalla finestra).
©Riproduzione riservata
Nelle foto: Delia Morea presenta alla Feltrinelli di piazza dei martiri “Romanzo in bianco e nero” e le copertine di alcuni dei suoi libri
L’AUTRICE
Scrittrice, giornalista, critica teatrale e letteraria, autrice di romanzi, racconti, saggi e pièce per il teatro. Nel 2002 ha vinto il premio letterario Annamaria Ortese, nel 2004 è stata finalista del premio teatrale Napoli Drammaturgia Festival. Ha pubblicato, tra l’altro, i saggi: Vittorio De Sica, l’uomo, l’attore, il regista, la raccolta di testi teatrali La Voce delle mani e i romanzi: Quelli che c’erano, Una terra imperfetta, Romanzo in bianco e nero candidato al Premio Strega 2019. Insieme a Luisa Basile ha pubblicato I Briganti napoletani, Storie pubbliche e private delle famiglie teatrali napoletane e Lazzari e scugnizzi di Napoli.
Si è spenta ieri mattina a Napoli: a darne la notizia su facebook, l’amata sorella attrice, Antonella Morea. Così il dolore e il ricordo di momenti lieti dedicati a un’autrice riservata, schiva, dall’animo nobile, si è diffuso sul web. In una grande ondata di affetto.