La cultura mondiale a Napoli l’ha portata lui, Gerardo Marotta, l’avvocato di viale Calascione che ha lavorato sempre sottotraccia, preferendo l’essere all’apparire. Tanto che spesso riceveva amici e giornalisti amici e giornalisti in pigiama, coperto solo dal cappotto. E non aveva perso l’abitudine di essere così, grazie alla consapevolezza della cultura, nemmeno quando il suo istituto, fondato da nel 1975, ha preso corpo nel magnifico Palazzo Serra di Cassano, dimora di Gennaro, il giovane e determinato difensore della Repubblica del 1799 cui donò la propria vita, decapitato il 20 agosto di quell’anno in piazza Mercato.
L’avvocato Gerardo era altrettanto battagliero, ha combattuto fino all’ultimo per salvare la sua bibloteca, un patrimonio di circa 300m mila volumi, senzatetto, disseminata in sedi diverse.
La sua eredità è una grande forza morale che ci ha lasciato da ieri sera, da quando se n’è andato dalla scena del mondo, nella clinica Hermitage di Capodimonte dove era stato ricoverato per una caduta. Il 26 aprile avrebbe compiuto 90 anni. A noi piace ricordarlo attraverso le parola del grande filosofo che lo aveva affiancato nella divulgazione del “pensiero fortissimo”, da Napoli nel mondo. Riproponiamo di seguito l’intervista rilasciata dal papà dell’Ermeneutica e allievo di Heideggere, Hans George Gadamer, a Donatella Gallone proprio a Palazzo Serra di Cassano, tratta da “Napoli verso il terzo millennio” (Proimez editore 1992). Dove il filosofo di Marburgo parla del “modello Marotta”.
Professore Gadamer, Napoli verso il terzo millennio. Quale sarà, secondo Lei, la funzione della cultura e dell’Istituto italiano per gli studi filosofici nei prossimi anni?
L’iniziativa dell’avvocato Gerardo Marotta costituisce una realtà di grande significato nello scenario internazionale. La vita nei paesi industrializzati è diventata anonima. In tutto il mondo. In Germania come in Italia.
Che cosa determinerebbe questo fenomeno?
L’estendersi degli studi nelle università. E’ cambiato lo stile dell’insegnamento. Gli studenti ora devono percorrere un itinerario prefissato. Non sono liberi delle loro decisioni. La laurea finisce per essere il documento del documento. Non c’è esame senza documento. A miei tempi era tutto diverso.
E come si colloca in questo contesto l’Istituto italiano per gli studi filosofici?
L’istituto interrompe questa anonimia. Il docente diventa realmente un partner. A Napoli anch’io ho molti appuntamenti con i borsisti. Molte conversazioni. Come nei congressi scientifici. Dove l’elemento rilevante non sono le conferenze, i discorsi pubblici, ma gli incontri nei corridoi.
Un modello da imitare?
Spero che vengano fondati istituti dello stesso tipo un po’ dovunque.. Con un rapporto di collaborazione con l’Università. A Napoli e altrove. Perché sono due attività che si completano a vicenda: una a più ampio raggio e l’altra delimitata a un uditorio selezionato.
Istituti di questo tipo, dunque, come punti di riferimento culturale?
Certo, perché l’Istituto fondato dall’avvocato Marotta non è solo un istituto filosofico. La fascia di interessi è ampia, come inesauribile è l’energia dell’avvocato che estende la sua attività in vari campo. Naturalmente non posso raccomandare di far nascere un secondo avvocato, ma sarebbe questa la formula più efficiente… Ironia a parte, questa istituzione è un paradigma per altre realtà.
C’è chi considera l’Istituto troppo elitario… Che rapporto può avere con la realtà urbana, per il suo progresso e sviluppo?
Elitario, senza dubbio. Ma la democrazia è una forma elitaria. Non può progredire senza élite… La vita moderna è in grande misura automatizzata. E’ difficile proiettare questo processo solo verso il bene. L’automatizzazione incapsula tutto in regole. Ecco perché i giovani di oggi sono pessimisti. Perciò è necessario dare vita a nuove élite… Per combattere il despota dei nostri giorni, la burocrazia, una gerarchia con un trono vuoto.
Il problema di Napoli, per alcuni intellettuali, è la costruzione di una nuova classe dirigente…
Uno dei fenomeni più interessante cui abbiamo assistito in questi ultimi tempi è la deregulation avviata dall’ex presidente Ronald Reagan. Non era un grande leader ma aveva la spontaneità dell’outsider. Un uomo di ieri con una grande apertura verso il futuro. Reagan ha verificato la forza trainante delle cose non prescritte, non prestabilite. E gli italiani hanno, in quest’ambito, un talento naturale.
E a Napoli… Qual è il rapporto tra cultura, creatività ed effetto stimolante?
C’è un collegamento molto stretto. La regola, al contrario, ha la forza di rendere superflue iniziative e immaginazione. Questa carenza è il dramma dell’est. Il sistema comunista era estremamente dogmatico. Tutti dovevano adeguarsi alle condizioni date, nessuno poteva cerarne nuove. La Repubblica democratica tedesca era uno stato burocratico fino in fondo. La ragione era imprigionata, paralizzata…