L’anima buona di Lucignolo (Nel ventre del pescecane) di Claudio B. Lauri, messo in scena per la prima volta alla XXIII edizione di “Benevento Citt Spettacolo” del 2012 e vincitore nello stesso anno dell’E45 Napoli Fringe Festival, anticipa gi dal titolo la sua valenza fortemente intertestuale più situazioni che alludono in forma immediata ad altri testi ed eventi conosciuti, dai quali si possono ricavare diversi significati che, per essere goduti appieno, rimandano ad altro.
“L’anima buona” allude all’opera brechtiana L’anima buona di Sezuan, capolavoro del teatro epico, ricco di intermezzi e di canzoni. (Nel ventre del pescane) rimanda al collodiano Le avventure di Pinocchio e alla balena, ma il ventre non appartiene al pacifico cetaceo, ma allo squalo aggressivo; l’ospite “d’onore” non è Pinocchio, ma Lucignolo, la sua anima altra, avventurosa e seduttiva; la realt è quella ingannevole del Paese dei Balocchi. Il rovesciamento non si ferma qui, è la caratteristica distintiva di tutto lo spettacolo.
Il tema magico della metamorfosi asinina, di antica memoria letteraria e religiosa, rivisitato da Collodi in senso morale (umano vs animale= punizione, animale vs umano= redenzione) diviene esaltazione dell’animalit l’amata rinnega Lucignolo una volta restituito alla forma umana. Giona e Pinocchio, inghiottiti e poi restituiti dall’utero protettivo di una materna balena. L’utero, simbolo di un fortunato viaggio di andata/ritorno nell’incoscio. Qui Lucignolo, il ventre di un pescecane, un viaggio senza ritorno, una storia di iniziazione alla vita adulta. Mancata.
L’anima buona di Lucignolo è un misto di generi. Come nei film di Fellini, trova nella dimensione onirica e visionaria del circo nutrimento per allegrie forzate e malinconie sottili, luccichio ormai opaco di vecchi lustrini e pailettes, pastrani clowneschi rattoppati. Come il testo drammatico, musica e canzoni attraversano anch’esse i generi, arieggiano temi da musical, propendono al dark, grazie alle composizioni originali, spesso vicine alle atmosfere satirico-espressioniste del binomio Weill- Brecht.
Tutto procede dalla parodia alla tragedia, il continuo succedersi di metafore si fa allegoria della vita come parabola tragica, dolore e sofferenza, incarnata in tre personaggi lo scalcagnato direttore del Circo (Luca Saccoia che firma anche la regia), l’antieroe Lucignolo (Mario Zinno), l’Omino di Burro, personificazione dell’ambiguit e del tradimento (Enzo Attanasio). Tre perdenti elevati a simbolo di una umanit degradata e tracotante, avara di riconoscimenti per il talento e il merito.
Uno spettacolo originalissimo di schietta marca “fringe”, sinonimo di novit e di giovani talenti, reso possibile dall’alto professionismo dei tre protagonisti cui si richiedevano, oltre alle doti interpretative, musicalit e sicurezza vocale. Impeccabile la formazione strumentale Luca Toller, compositore delle musiche originali e pianista, Carmine Brachi (batteria percussioni), Francesco Gallo (strumenti a fiato), Renzo Schina (contrabbasso).
Un particolare elogio alla vocalit di Mario Zinno una vocalit che passa disinvoltamente dal canto naturale al falsetto, cui unisce anche doti da percussionista. Assecondano le intenzioni della regia ritmica e impeccabile di Luca Saccoia, apprezzabile anche per le semplici ed efficaci soluzioni simboliche con le quali ha risolto situazioni di più difficile rappresentazione; i costumi di Gina Oliva; le maschere di Claudio Cuomo, gli elementi lignei di Giorgio Caterino; il disegno luci di Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo che abbina alla fioca illuminazione, traduzione visiva dello squallore attuale del circo, effetti sapienti e variegati che, sottolineando gesti e azioni, divengono scenografia luminosa che fa dimenticare la povert dell’allestimento.
Al San Ferdinando fino al 18 gennaio.
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www.teatrostabilenapoli.it/?p=content&id=25&t=teatro_san_ferdinando
In foto, i tre personaggi dello spettacolo