Sulle tracce di Hans Christian Andersen, una conversazione con Bruno Berni curatore del libro “Un mondo diverso. Diari di viaggio da Napoli” Langella edizioni.
Perché ha deciso di occuparsi dei diari di Andersen?
Mi occupo di Andersen da molto tempo, vent’anni fa ho lavorato alla riedizione completa delle fiabe e una dozzina di anni fa ai diari scritti durante i suoi soggiorni romani. Andersen fu un grande viaggiatore e in ogni suo soggiorno fermò idee, intuizioni e accadimenti in taccuini, ne ha lasciati tanti da riempire dieci volumi e sapevo che, di questi, la parte dedicata a Napoli era molto interessante e ricca poiché i periodi di permanenza più lunghi nel nostro Paese li trascorse a Napoli e Roma. Dedicare un approfondimento e una pubblicazione ai diari napoletani è un progetto che coltivavo da tempo perché il lettore italiano conosce l’autore danese esclusivamente per le sue fiabe ma non per le tante altre cose che ha scritto. Ho notato che il libro ha suscitato interesse proprio perché nei diari c’è molto di nuovo e diverso da scoprire e a cui appassionarsi, forse un giorno bisognerebbe pubblicare insieme tutti i diari italiani, sarebbe un altro bel progetto editoriale cui dedicarsi. Sono convinto che ci sono dei libri per i quali valga la pena spendere tutta la nostra tenacia e determinazione, libri che meritano di avere una chance, magari per riuscire a vederli pubblicati ci impiego vent’anni ma poi ci riesco e va bene così. Lavorare con un editore come Langella, un piccolo editore indipendente, è stato un piacere perché il risultato è un prodotto dalla fattura artigianale con i disegni a colori, delle introduzioni ragionate e una attenzione al particolare che fa la differenza.
Tra i tanti luoghi descritti da Andersen ce ne è qualcuno che preferisce?
A Napoli ci venivo da bambino, la Grotta Azzurra di Capri l’ho vista a 6 anni, è una città in cui torno spesso, ma mentre con il lavoro di studio e approfondimento per i diari romani ho giocato in casa, questa volta ho dovuto studiare le mappe, approfondire le fonti storiche e documentali, interrogare persone a conoscenza dell’evoluzione dei luoghi, la reminiscenza infantile è una cosa, studiare la Napoli degli anni in cui Andersen vi soggiornò un’altra. Sono andato alla ricerca degli alberghi che aveva scelto, dei ristoranti e le locande dove aveva mangiato, dei palazzi nobiliari dove era stato ospitato. Sono stato a Via Speranzella dove alloggiò nel 1834 e ho controllato i numeri civici che sono rimasti inalterati, aveva preso casa non lontano da Giacomo Leopardi, quella che Andersen vide e visse era una Napoli affascinante e interessante. L’attenta ricostruzione storica è stata fondamentale anche per la traduzione del testo perché, a volte, le notazioni sui diari sono sbagliate ed è necessario ricorrere alla consultazione di una mappa dell’epoca per identificare il sito esatto cui l’autore fa riferimento.
Seguire le sue tracce di Andersen nelle sue escursioni nei dintorni della città è stato più facile che farlo in ambito urbano?
Per certi versi sì perché alcuni luoghi dove si è recato, come la locanda Pagano di Capri (attuale Hotel La Palma ndr) e La Cocumella (l’albergo a cinque stelle più antico della penisola sorrentina ndr) storicamente frequentati da intellettuali, viaggiatori e artisti sono ancora esistenti e hanno mantenuto intatte alcune delle loro caratteristiche, in questi casi non è stato necessario ricorrere a mappe e pubblicazioni dell’epoca.
Quanto tempo le ha richiesto lo studio e l’approfondimento per poter giungere alla pubblicazione?
Il lavoro mi ha impegnato per qualche mese, la traduzione non è lunghissima ma risulta difficile perché il testo nasce come privato e non destinato al pubblico perciò necessita di una attenta interpretazione, ma il vero impegno è stato reperire le guide turistiche dell’epoca in tedesco, francese e inglese. Le guide sono strumenti preziosi ricchi di dettagli pratici come l’indicazione sulla velocità dei cavalli nel percorso tra Roma e Napoli, l’identificazione del tratto dove era necessario attaccare alla carrozza un cavallo supplementare per affrontare la salita e quello del tratto in discesa nel quale si staccava. Altrettanto prezioso è stato l’aiuto di Sergio Travi napoletano trapiantato in Inghilterra che mi ha fugato tanti dubbi.
Come è nato l’interesse per Andersen?
Ho studiato letteratura danese all’università e tradotto molti scrittori (oltre 100 testi tradotti ndr) ma nessun autore è come Andersen, lui giganteggia, è una miniera inesauribile, ci sono alcuni autori sui quali torno spesso e volentieri e lui è uno di questi.
Leggendo i diari le è venuta la curiosità di visitare qualche luogo citato che non conosceva?
Sì, non ero mai stato al ponte della Sanità, ci sono andato perché in una descrizione annotata nei diari Andersen scrive di trovarsi a Toledo (attuale Via Roma ndr) ma, in realtà, era molto più su, era al ponte della Sanità. Ho ripercorso strade che conoscevo e ne ho scoperte di nuove.
Che importanza hanno i disegni, gli schizzi a corredo dei diari presenti nel libro?
I disegni che accompagnano i diari sono eterogenei, alcuni sono stilizzati e altri dettagliati, ad esempio quello in cui ritrae la casa di Torquato Tasso a Sorrento -scelto per la copertina del libro – è più un quadro che uno schizzo, la casa di fronte a quella in cui soggiornò in Via Speranzella pure, è colmo di dettagli, Andersen non è un’artista figurativo ma riesce a rendere riconoscibili i luoghi e – soprattutto – molto di quello che appare nei disegni ritorna negli scritti. È il caso de “L’improvvisatore” dove il disegno è la base per la descrizione letteraria. I disegni sono dei promemoria e danno la misura del suo stile letterario, i suoi testi – spesso – sono un montaggio di scene, nei disegni non c’è colore ma nei diari sì, ricorre moltissimo al colore per descrivere e annotare, il cielo non è mai solo azzurro. Nel 1841 pubblica “Il bazar di un poeta” e la scelta del titolo non è casuale, un bazar è fatto di scene singole messe in sequenza secondo uno schema in cui compone i bozzetti, la scrittura è strutturata come un lavoro di montaggio di fotogrammi, le immagini che ha fermato sulla carta diventano parti di testo. Anche per i disegni è stato necessario un lavoro di studio e approfondimento e per alcuni ho potuto dare una attribuzione per la prima volta poiché, in passato, lo erano stati in maniera erronea, è il caso della chiesa di S. Antonio a Posillipo che il museo dedicatogli dalla sua città Natale, dove i disegni sono conservati – il Museo di Odense – aveva collocato ad Amalfi.
I diari ci introducono, quindi, alla metodologia di scrittura dell’autore?
Sì, i diari erano un canovaccio da cui Andersen attingeva gli elementi per la sua scrittura, i diari sono la base delle sue opere.
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Nelle foto, Bruno Berni ( bibliotecario, traduttore e saggista), due degli schizzi contenuti nel libro e la copertina dei diari da Napoli di Andersen