I Sedili (o Seggi) di Napoli furono un’antica istituzione cittadina. La loro datazione d’origine è incerta, ma per circa cinque secoli svolsero una funzione importante. Nati come espressione del potere delle famiglie nobiliari, furono una forma primitiva di autogoverno del popolo napoletano, che venne infine disciolta dall’assolutismo accentratore dei Borbone.
Fatte salve pochissime testimonianze, che sopravvivono in modo precario, la loro storia è stata completamente cancellata dalla stratificazione urbana e dalla caratterizzazione culturale di Napoli. Giuseppe Sgrò, studioso e conservatore dei beni culturali, laureatosi nel 2016 all’Università Suor Orsola Benincasa con una tesi dal titolo emblematico: “Immagine e storia dei Sedili della città di Napoli” ne racconta il percorso.
I Sedili furono un antico istituto cittadino. A quando risale la loro origine?
I Sedili (o Seggi) hanno una storia antichissima anche se ci sono diverse interpretazioni al riguardo. La loro origine – dal punto di vista architettonico e amministrativo- riporta alla città ducale e, secondo alcune interpretazioni, risalirebbe addirittura alla città greca. Napoli fu una città bilingue, unica città fuori dalla Grecia ad ospitare giochi olimpici. Pertanto, la datazione dei Sedili è abbastanza complessa, ma possiamo dire che vennero istituiti in età angioina. Tuttavia, tra le varie ipotesi, sussiste l’idea che questi Sedili si basassero su istituzioni pregresse, come i tocchi normanni e le platee di età ducale.
Che funzione ricoprivano?
Inizialmente, i Sedili erano delle platee o tocchi legati alle strutture familiari. Erano tantissimi, si parla addirittura di 29 Sedili in città. Nell’età più matura vennero poi ridotti a 5. La loro funzione mutò a seconda del periodo storico. Come accennavo, i Sedili ricoprirono un’importanza nella storia amministrativa cittadina a partire dal periodo angioino. Nelle età precedenti, si conosce ancora troppo poco circa le loro funzioni, ma fra queste pare vi fosse quella del dare in affido i figli dei nobili che avessero perduto i genitori, prerogativa in precedenza di esclusivo appannaggio del duca. Più avanti, i Sedili incominciarono a occuparsi delle funzioni tipiche della città: dalla riscossione delle gabelle all’organizzazione delle milizie, fino alla difesa delle torri e delle mura cittadine. Poi, in età angioina, entrò in gioco anche il cosiddetto Sedile del popolo, su cui c’è tuttora un gran dibattito. A ogni modo, i Sedili furono essenzialmente espressione delle famiglie nobiliari.
Per quale ragione è così difficile ricostruire la loro storia?
Il problema principale è che abbiamo perso tantissimi registri e documenti inerenti la storia della nostra città. A causa degli intensi bombardamenti, durante la seconda guerra mondiale, sono andate smarrite le tracce di interi secoli di storia. Per fortuna, qualcosa è parzialmente arrivato al presente grazie al lavoro di ricostruzione archivistica compiuto da Riccardo Filangieri. Oltre l’età angioina, ci mancano i documenti della Napoli di epoca ducale, andati smarriti nel tempo. Anche per questi fattori c’è una criticità nell’avere un parere univoco sulla storia cittadina. In più, si ha una difficoltà nell’indagine archeologica, perché c’è stata una sorta di damnatio memoriae di un’intera fetta della nostra storia. Nonostante i Sedili fossero un antichissimo istituto cittadino, vennero aboliti dai Borbone. Ciò che ne rimane nella memoria collettiva è nulla. Il che rappresenta un paradosso in una città che fa vanto delle sue tradizioni millenarie, ma vive nell’oblio di una parte molto importante della sua storia.
Possiamo dire che i Sedili ebbero una funzione di autogoverno cittadino?
Siamo abituati a conoscere Napoli come capitale del Regno delle Due Sicilie. Eppure, già se ci spostiamo nell’età vicereale, Napoli non era una vera e propria capitale e non aveva monarchi accentratori. Era una città abituata da tempo all’autogoverno dei nobili e della parte agiata della popolazione. La storia dei Sedili, tra le tante cose, racconta anche della guerra tra una vecchia e una nuova nobiltà. I seggi di Nido e Capuana, espressione della nobiltà antica, si contrapposero agli altri, emanazione delle nuove nobiltà. I Sedili più giovani furono oggetto di ingresso di nuove famiglie ricche, spesso sotto proposta di reggenti e sovrani che intendevano così controllare meglio la città e il potere di alcuni aristocratici di antico lignaggio. Lo stesso Seggio del popolo, in epoca vicereale, elesse quello che si chiamava il “Sindaco”, scelto da una rosa di nomi che era sì proposta dal popolo, ma dietro indicazione del re. Il che dimostra che i sovrani provarono a influenzare la politica di amministrazione cittadina. D’altronde, c’è sempre stata questa sovrapposizione di poteri. Il re non reggeva tutto ciò che era potere amministrativo, ma comunque mal tollerava troppa autonomia da parte dei Sedili. Una cosa sappiamo di sicuro: i tribunali erano appannaggio dei Seggi.
Hai concentrato il tuo studio sull’evoluzione urbanistica della città. Come mai hai scelto di dedicarti a questo aspetto?
Sono sempre stato affascinato dalla stratificazione di Napoli. Il periodo di cui mi sono occupato, che vediamo principalmente nei castelli e nei rimasugli di porte o chiese, è pressoché dimenticato. I Sedili si sono spostati nel tempo e hanno subito una modifica dal punto di vista architettonico. Spesso si trovavano in porticati adiacenti a case di nobili e prendevano i nomi dalle famiglie, dalle chiese o dalle zone in cui erano situati. Un reperto di quest’epoca è ancora visibile ad Aversa, in Campania, dove recentemente è stato ristrutturato un Sedile, quello di San Luigi, che ha una struttura a porticato simile a quella napoletana. Troviamo una testimonianza parziale della stessa struttura a Napoli, in piazzetta Nilo, a fianco alla chiesa dei Pignatelli, dove ora c’è una famosa pizzeria. Nella mia tesi, ho ipotizzato che lì sia stata ubicata la prima sede del Sedile del Nido.
Quindi, oltre Napoli, i Sedili erano diffusi anche in altre località?
Queste strutture erano diffuse in tutto il Sud Italia, ma non si riesce a comprendere se avessero la stessa funzione che svolgevano nella nostra città. A Potenza esiste una Piazza Sedile oppure a Lecce, dove c’è il Sedile di Sant’Oronzo. In un secondo momento, dopo la metà del 1400, molti di questi Sedili si ingrandirono, ricevettero delle sovvenzioni, si modificarono e si traslarono in altri luoghi. A Napoli, il Nido acquistò una parte del convento di Donna Romita e costruì una nuova struttura che architettonicamente consisteva in un palazzo con un grandissimo arco e una volta. L’arco nei Sedili spesso aveva anche un loggiato. Dietro c’era un luogo più piccolo in cui si tenevano le riunioni private. Rispetto al Sedile del Nido, quello di Montagna si è conservato meglio ed è ubicato su via Tribunali, all’altezza della trattoria “la Campagnola”. Anche se l’edificio ha subito diverse modifiche, è rimasto sostanzialmente intatto. Tuttavia, nonostante queste testimonianze, molti reperti sono andati perduti. Sono sopravvissute delle tracce nella toponomastica cittadina, come nella piazzetta Sedil Capuano o in via Sedile di Porto.
Parliamo del Sedile del Popolo. Prima accennavi a una sua peculiarità. Puoi dirci qualcosa in più?
Questo Sedile ha una storia diversa rispetto a quella degli altri e, in effetti, controversa. Sicuramente, possiamo affermare che non esisteva prima dell’età angioina, ma nella storia si parlava di un possibile Seggio del Popolo in quella che poi, divenne la Piazza (o Largo) della Sellaria – zona completamente smantellata dal Risanamento[1]– dove venivano svolte la maggior parte delle celebrazioni religiose, come quella di San Gennaro e del Corpus Domini. Questa piazza era ubicata all’altezza dell’attuale Piazza Grande archivio, ove è situata la fontana della Sellaria, a ridosso della Chiesa neogotica Stella Maris. È bene però chiarirci sul che cosa si intendesse per “popolo” all’epoca. Secoli or sono, questo termine veniva essenzialmente riferito alle arti, ai mestieri oppure alle ottine[2] militari. Probabilmente, a partire dal 1380 fu istituita la funzione di un Sedile del Popolo che, secondo alcuni, venne poi distrutto da Alfonso V d’Aragona, che lo fece demolire nel 1456 per allargare la strada ed edificare appunto la Piazza della Sellaria. Si dice che l’abbattimento del Seggio del Popolo fosse motivata dal fastidio che recava alla sua amante, Lucrezia d’Alagno, che chiedeva di avere uno spazio più ampio innanzi alla propria dimora. Pare che l’abbattimento del Sedile causò grandi tumulti, che portarono all’ingresso di alcune famiglie del popolo all’interno di altri Sedili, fra cui quello di Porta Nuova, che raccoglieva al suo interno la nobiltà emergente.
Alcuni studi sostengono che il Sedile del Popolo, oltre a raccogliere le classi mediane, fosse quello con una più spiccata vocazione religiosa. È un’ipotesi fondata?
In effetti, sì. La religione ha sempre svolto una funzione di controllo sociale molto importante nel Sud Italia e, in particolare, a Napoli. Dopo la sua demolizione, venne data la possibilità a questo Sedile di costruire una struttura che ricordasse il vecchio Seggio durante il Corpus Domini. Questa struttura era una macchina da festa – il cosiddetto catafalco– composto da archi a porticati enormi, un po’ come i gigli di Nola, che restavano lì per tanto tempo. Pare che gli altri Sedili fossero gelosi di questa prerogativa del Seggio del popolo. Fu così che si decise di concedere anche agli altri la possibilità di costruire macchine da festa simili. Questo aspetto, che rappresenta un tratto peculiare della nostra storia, si è andato smarrendo nel centro cittadino – eccezion fatta per la festa di Piedigrotta- ma è viva in periferia e in provincia. Basti ricordare l’importanza della festa dei gigli in quartieri come Barra e Ponticelli o nella città di Nola. Il Sedile del Popolo trovò infine albergo nel chiostro di Sant’Agostino alla Zecca.
Vi furono Sedili che ebbero altri privilegi?
Il Seggio di Forcella ebbe una peculiarità. Da un certo momento in poi, in epoca angioina, venne inglobato nel Sedile di Montagna. Quando i Seggi incominciarono a eleggere i loro rappresentanti, presero a riunirsi nella sala del capitolo di San Lorenzo Maggiore. In memoria del Sedile di Forcella, il Seggio di Montagna godette della prerogativa di eleggere due rappresentanti come lascito di questo storico Sedile.
Possiamo dire che i Sedili furono un tentativo di strutturazione comunale?
Bisogna distinguere fra l’accezione di “comune” nel Sud e ciò che questo termine, invece, rappresentò nell’evoluzione urbanistica e sociale del Centro e del Nord Italia. Sicuramente, nel Mezzogiorno i Sedili rappresentarono una prima struttura amministrativa. Le loro dimensioni mutarono rispetto all’espansione geografica del Regno. C’è da dire, poi, che nel corso del tempo, le loro funzioni entrarono in frizione coi poteri che gestivano la struttura dello Stato. È un argomento che meriterebbe di essere approfondito, perché interessa lo sviluppo storico-sociale di Napoli e del Mezzogiorno. A un certo punto, si accese una contesa molto forte sulla gestione del potere amministrativo e civile fra l’aristocrazia e la corona. Tuttavia, non mancarono le tensioni fra i nobili, a causa dell’ingresso di nuovi ricchi nella loro compagine, provenienti dalla sfera militare o dal popolo grasso[3]. Ci fu poi, uno scontro tra la possibilità di far entrare nei Seggi le famiglie nobili che provenivano da altre parti del regno. I Sedili che opposero più resistenza a questa ipotesi furono i più antichi, Capuana e Nido.
Che tracce ha lasciato nella città odierna la storia dei Sedili?
Prima accennavo alla toponomastica di alcuni luoghi, ma molta dell’iconografia della città prende ancora spunto dai Sedili. Ad esempio, il cavallo era il simbolo dei Sedili più antichi: il Nido esibiva un cavallo rampante poi divenuto simbolo della città metropolitana, Capuana invece sfoggiava un cavallo domo. Su questo c’è un aneddoto, secondo il quale Corradino di Svevia, giunto a Napoli, domò il popolo napoletano e gli mise le briglie. Ne troviamo tracce nell’attuale piazza Riario Sforza. Infine, anche il Seggio del popolo ha lasciato una sua orma indelebile, in quanto il simbolo della città di Napoli riprende il suo scudo rosso e dorato, che recava però al centro una P.
Perché i Sedili vennero aboliti?
Fu una vendetta di Ferdinando IV di Borbone, dopo la parentesi della Repubblica Napoletana. Li abolì nel 1800. Questo perché, a sua detta, i Seggi non fecero opposizione ai rivoluzionari giacobini e, anzi, tentarono un affiancamento al governo provvisorio al fine di instaurare una repubblica aristocratica. Il Borbone ordinò la demolizione o la riorganizzazione di questi antichi manufatti e così una tradizione pluricentenaria scomparve di schianto. A ogni modo, quello dei Sedili era un istituto in decadenza. I Borbone avevano una visione del regno più accentratrice e proprio per questo molte famiglie nobili, che sentivano messo in discussione il loro prestigio, vi opposero resistenza, fiancheggiando la Repubblica del 1799. Tuttavia, la restaurazione portò al massacro di una generazione di giovani nobili ispirati dalle idee rivoluzionarie, che andarono al patibolo indebolendo così il potere delle antiche famiglie aristocratiche. L’antico splendore dei Sedili decadde e, dopo la Repubblica Napoletana, non ebbe la capacità e la forza di contrastare l’accentramento borbonico. Nonostante questo, dopo l’Unità d’Italia, vi fu un tentativo di recuperare in parte quella memoria.
È possibile promuovere un recupero di questa storia?
In città abbiamo una forte caratterizzazione su due epoche: quella greco-romana e quella barocca. C’è stata una riscoperta delle cose di epoca medievale, ma è residuale rispetto ad altre città. Ci sono stati restauri di edifici ecclesiastici più antichi, tipo la chiesa di San Giovanni Maggiore o quella di San Giorgio maggiore. Purtroppo gli elementi più visibili dei periodi storici di cui abbiamo parlato, si trovano nascosti in zone della città che non hanno avuto la stessa fortuna del centro antico. Ci sono siti che stanno rovinando in pezzi. Questo anche perché, quando vi sono delle sovvenzioni -come nel caso del grande progetto centro storico UNESCO- l’Università o la Chiesa si fanno aggiustare ciò che gli è più comodo.
Pensi che il turismo possa essere una risorsa?
Certo che lo è. Anche se parliamo di un turismo legato ai cliché. Questo, essenzialmente a causa nostra, perché non abbiamo ancora maturato una capacità di visione e programmazione strategica del nostro immenso patrimonio storico-culturale. In assenza di massicci interventi pubblici, si demanda tutto all’iniziativa di privati e associazioni, che promuovo però una visione aneddotica e sensazionalistica della città senza avere conoscenze, capacità e il bagaglio necessario per portare avanti questo tipo di discorso. Il che comporta la penalizzazione di innumerevoli siti, ubicati anche in zone periferiche, che meriterebbero ben altra attenzione e conservazione.
Cosa potrebbe fare il pubblico in tutela del patrimonio storico-culturale?
Lo Stato abdica dalla funzione di pianificare e organizzare interventi, demandando tutto alla Curia, all’Università, alle associazioni, ai privati. Se il Ministero avesse un’idea della conservazione del patrimonio, una mappa dei siti e sapesse dove intervenire, permetterebbe uno sviluppo di conoscenza integrata. Occorrerebbe promuovere un’apertura alla partecipazione diretta della popolazione, garantendo un controllo maggiore sulle criticità. Il monumento che cade in pezzi non è solo storia che si perde, ma è anche degrado del quartiere o del paese. Dovrebbe esserci un ruolo sinergico fra Amministrazione comunale, Soprintendenza Beni Culturali e Università. Andrebbe avviato un censimento dei luoghi dei beni culturali in città, valutando il loro stato di conservazione. La sensazione, invece, è che il pubblico cali le braghe di fronte alla chiesa e ai privati, concentrando così investimenti e turismo nelle solite direzioni. Ciò di cui Napoli necessita è che bisognerebbe fare più rete.
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NOTE
[1] Il cosiddetto Risanamento di Napoli fu un grande intervento urbanistico che mutò radicalmente il volto della gran parte dei quartieri storici della città, sostituendo il preesistente con nuove strade, piazze, edifici. La sua attuazione venne portata avanti a partire dal 1885, a seguito dello scoppio di una grave epidemia di colera, per volere dell’allora Sindaco Nicola Amore.
[2] Le ottine erano ciascuna delle 29 contrade amministrative in cui era suddivisa anticamente la città di Napoli.
[3] A partire dal XIII secolo, in epoca comunale, per “popolo grasso” si intendeva la borghesia ricca ma non aristocratica.