Famoso in vita, Roberto Bracco, sfiorò il Nobel per la letteratura senza afferrarlo. Giornalista, scrittore, drammaturgo, conobbe il tramonto, pagando a caro prezzo l’opposizione al regime, siglata dalla firma in calce al manifesto redatto nel 1925 dal filosofo Benedetto Croce. E dopo la morte, l’oblio. Ogni tanto se ne riparla, sottolineando l’ingiusto vuoto in cui è caduto il suo nome. Ma sono episodi a scatto raro.
Adesso però la Fondazione Premio Napoli, rilanciata dal suo dinamico presidente, l’avvocato penalista Domenico Ciruzzi, propone venerdì 20 aprile, una tavola rotonda nella sede della fondazione, a Palazzo Reale, in una giornata di celebrazione dedicata al drammaturgo che include anche l’inaugurazione della mostra documentaria fotografica curata dall’Istituto campano per la storia della resistenza. l’evento è organizzato in collaborazione con il Comune di Napoli, la Regione Campania, la Camera di Commercio di Napoli, l’Università Federico II.
Si comincia dalle 10.30 per proseguire poi nel pomeriggio con la discussione moderata da Ermanno Corsi, alle 17,30 cui, insieme a Ciruzzi, partecipano Guido D’Agostino (presidente Istituto Campano per la Storia della Resistenza), Pasquale Iaccio dell’Università degli studi di Salerno (autore del libro edito da Guida, Un intellettuale intransigente: il fascismo e Roberto Bracco), Matteo Palumbo (Università Federico II di Napoli), Francesco Soverina (storico). Il momento clou della commemorazione sarà alle 13.30, quando via San Gregorio Armeno 41 accoglierà la targa in suo onore.
Nato a Napoli all’indomani dell’Unità d’Italia, fu sensibile al fascino femminile, irascibile e uomo tutto d’un pezzo. Amico di attrici come Sarah Bernard e Eleonora Duse, si mostrò coerente con il proprio pensiero sino all’ultimo. E a questo proposito raccontiamo un episodio citato proprio da Iaccio nel volume che ne ripercorre l’ itinerario di libertà.
Nel 1937, ormai anziano, malato e povero, Bracco suscitò la premura di Emma Gramatica (interprete delle sue commedie) che chiese per lui un aiuto finanziario al Ministro della Cultura Dino Alfieri: «… un modo pietoso per alleviare la vita che si spegne di quest’uomo di ingegno che ha avuto gravi torti ma non ha mai fatto nulla di male, e se non ha tentato nulla per superare i suoi errori non è stato per orgoglio ma per dignitoso silenzio temendo di essere mal giudicato».
Mussolini, che lo aveva sempre stimato come autore, gli concesse d’urgenza un assegno recapitato dal ministro all’attrice. Ma Bracco, che fino a quel momento era rimasto all’oscuro di tutto, costrinse l’amica a restituire il denaro accompagnando il rifiuto con una lettera destinata proprio ad Alfieri.
«Eccellenza, per una serie di circostanze che sarebbe qui inutile precisare, mi è pervenuto con molto ritardo lo chèque di Lire diecimila da Lei inviatomi. (…) Una profonda e benefica commozione ha prodotto in me l’atto generoso da Lei compiuto con eleganza di gran signore e con una squisita riservatezza, in cui ho ben sentito la bontà e la comprensione di chi amorosamente e validamente vigila le sorti della famiglia artistica italiana. Ma la commozione profonda e benefica non deve far tacere la mia coscienza di galantuomo la quale mi avverte che quel denaro non mi spetta».
Non scese mai a patti con nessuno, Bracco. E per questo, ricordarlo in un ‘epoca come la nostra, nutrita da corruzione e avidità, è una sfida quasi temeraria.
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