Sono tante le domande sul ‘femminile’ le cui risposte sono contenute nella lingua che tutti noi parliamo. Se la lingua è il riflesso della societ  in cui viviamo, il contenitore delle rappresentazioni del mondo che ci circonda, allora sono legittime le nostre domande sugli spazi che il ‘femminile’ ha occupato e occupa nella lingua. Cos possiamo interrogarci, ad esempio, sul modo di parlare delle donne, chiedendoci se ci sia una lingua parlata dalle donne che si differenzia per qualche aspetto da quella parlata dagli uomini. Oppure possiamo chiederci se la lingua rispecchia veramente il mondo della donna e, se lo rispecchia, come lo rappresenta. Nonostante la ricchezza dei dibattiti sul femminile e degli studi finora prodotti, la risposta a queste domande evidenzia purtroppo la persistenza nell’immaginario collettivo di visioni stereotipate della donna e dei suoi ruoli, cos come la ricorrenza, tenace nel nostro lessico, di denominazioni di ruoli, declinati al femminile, subalterni rispetto al maschile.
Se consideriamo, ad esempio, le rappresentazioni della donna prodotte nella nostra cultura occidentale nel corso del tempo e riflesse nel lessico, ci rendiamo conto di come le donne siano state spesso viste come creature bizzarre, che hanno in s qualcosa di magico, ma comunque di profondamente ‘altro’ rispetto all’uomo che, molto spesso, è colui che le nomina e le descrive. Gli esempi sono numerosi e affondano le loro radici sin dall’antichit  classica nella tragedia eschilea, ad esempio, la donna che porta in grembo un figlio maschio viene detta ‘straniera’ nei confronti dello ‘straniero’ a cui d  la vita; la voce della donna-sirena è una voce in-cantatrice e mortifera. Il lessico dell’antichit  ci trasmette rappresentazioni polari della donna da un lato la sposa saggia e amorosa come Penelope, che tesse piangendo lo sposo che crede perduto, o come Andromaca, esemplare fra tutte le mogli, che offre a Ettore ‘il silenzio della lingua’ e ‘lo sguardo calmo’; dall’altro tutte le altre, quelle che non tacciono, ma piuttosto cantano cantano infatti le Sirene come la Sibilla, canta Calipso e canta pure Pandora, bellissimo male inviato come punizione da Zeus agli uomini. Ma siamo certi che il lessico di oggi rifletta rappresentazioni radicalmente diverse da queste?
Nell’antichit  le donne spesso non hanno voce, cos come raccomandava Plutarco nei suoi “Precetti coniugali” che la donna virtuosa non facesse sfogo in pubblico nemmeno delle parole! Voce hanno invece le donne ‘altre’, quelle che affascinano e seducono, ma dalle quali bisogna guardarsi. Ancora oggi molte culture, vicine e lontane, impongono il silenzio alle donne possiamo pensare al burqa come a una metafora del silenzio; ma anche l’assenza di termini per designare le molteplici immagini del femminile, i suoi tanti ruoli, è un altro segno di quello spazio semantico negativo cos spesso assegnato alla donna e alla sua identit  sulla scena civile e politica.
Il nostro lessico mostra molto bene come le donne ancora oggi siano spesso rinchiuse in ruoli antichi o costrette a perdere il proprio genere assimilandosi al maschile. emblematico a questo proposito l’esempio, tante volte citato, delle voci segretaria e segretario l’una che designa l’impiegata che svolge funzioni di segreteria, l’altra che designa invece l’impiegato che svolge mansioni di fiducia di vario tipo. L’uso ci mostra come sia quest’ultimo il termine preferito dalle donne, quando ne raggiungono il ruolo, rinunciando cos al diritto di esprimere la propria identit  annullandosi nella forma maschile. Lo stesso avviene per molti altri nomi di professione, declinati preferibilmente al maschile anche quando denominano attivit  al femminile (come ad es. architetto, direttore, ministro, il presidente preferiti nell’uso ad architetta, direttrice, ministra, la presidente/presidentessa etc.). Ma sono molti anche i luoghi comuni e gli stereotipi che si sono cristallizzati nel nostro lessico, legati a una visione subalterna del ruolo e dei mestieri della donna come è evidente, ad esempio, dal significato della voce ostetrica, che identifica l’infermiera abilitata all’assistenza della partoriente e del neonato, rispetto alla corrispondente forma maschile ostetrico che designa piuttosto il chirurgo specialista nelle operazioni di parto.
La lettura, anche cursoria, dei nostri dizionari ci mette spesso a confronto con un modello femminile stereotipato, caratterizzato da emotivit , sensibilit  alle relazioni e bisogno di filiazione, e allo stesso tempo da passivit , remissivit  e dipendenza. Si tratta di un modello che si concentra riduttivamente intorno a pochi macro-ruoli ai quali è assicurato il consenso sociale (come quelli relativi alla sfera domestica, alla cura e alla riproduzione), piuttosto che rappresentare ciascuno dei volti delle donne mostrandone le poliedriche identit  e appartenenze politiche, etniche, culturali, di classe, religiose, professionali etc.
Sul versante invece delle connotazioni negative è sempre il dizionario che ci consente di notare co            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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 B  me ancora oggi il corpo e la sessualit  della donna costituiscano la fonte del cosiddetto linguaggio delle ingiurie e delle offese. Lo mostra, ad esempio, la ricchezza dei campi semantici su cui si struttura la metafora sessuale per la donna, cos come la ricchezza dei termini sinonimici che designano la donna dai facili costumi (donna da marciapiede, di strada, pubblica etc.), sensibilmente più numerosi rispetto alle corrispettive forme maschili, a volte addirittura connotate positivamente (uomo pubblico è l’uomo, spec. politico, le cui azioni e opinioni hanno risonanza pubblica). fin troppo facile verificare, nelle pieghe delle esemplificazioni che ritroviamo sui dizionari, come l’uomo possa essere detto allegro, serio, libero o compiacente senza che questo implichi valutazioni in merito alla sua privata o alla sua condotta sessuale, mentre allegra, libera o compiacente, detto di una donna, fa per lo più riferimento a una scarsa dirittura morale.
La lingua, quindi,non è neutra, come ha osservato Patrizia Violi (L’infinito singolare, 1986), ma molto spesso non è neutro ciò di cui costituisce, necessariamente, il riflesso. La complessa dinamicit  del sociale, viva e pulsante al di sotto della patina stereotipica che si è cristallizzata intorno ai ruoli tradizionalmente assegnati al maschile e al femminile, suggerisce l’urgenza di rifondare le nostre riflessioni a partire da una lettura che consegni al folclore le rappresentazioni della figura femminile che si sono sedimentate nel nostro lessico.
D’altra parte, giacch ‘nominare’ significa ‘esistere’, seppure all’interno delle forme condivise dell’esperienza, è anche opportuno considerare lucidamente le assenze del femminile nella lingua che, negando visibilit  alla donna, ne ostacolano la costruzione dell’identit . Le spinte propulsive che da più parti sollecitano oggi una rinnovata riflessione sullo spazio e sul ruolo delle donne pongono il punto di partenza per la (ri)costruzione dell’identit  femminile nella consapevolezza della inscindibilit  tra la mente e un corpo che non sia deprivato dei propri limiti, iscritti nel tempo in cui il corpo vive ed invecchia. In occasione del recente raduno a Siena (e sul sito di Senonoraquando) Francesca Comencini e Fabrizia Giuliani hanno giustamente sottolineato come l’immobilit  dei corpi, modello che la nostra attuale societ  spesso offre, e richiede, alle donne, non può che essere fuori dalla storia, al di qua del linguaggio e lontano pertanto dall’esercizio pieno della cittadinanza. Questa immobilit  rappresenta infatti l’adesione a un immaginario erotico e a un modello produttivo che priva il corpo del segno delle sue trasformazioni, tracce preziose di vita vissuta e allo stesso tempo cifra della libert  femminile, della nostra libert  di essere, anche perch, come ha scritto Nicole Loraux, la stirpe delle donne sembra destinata a ripetersi senza fine…

In foto, uno scatto di Flavio Frulio

*Docente dell’Universit  di Napoli Federico II.Gli interessi di ricerca di Francesca M Dovetto sono orientati lungo due linee principali quello della storia della linguistica, delle terminologie e delle metalingue tra Settecento e Ottocento e quello dell’indagine etimologica e storico-culturale

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