Un palazzo è un palazzo, un’opera d’arte è un’opera d’arte. Un fotografo è un fotografo, un architetto è un architetto. Mettere insieme questi quattro elementi (materiali ed umani) può risultare molto difficile se non impossibile. Il rischio di ottenere una maionese impazzita è altissimo.
No, se il fotografo è Nando Calabrese e l’architetto è Sergio Attanasio, storico dell’architettura e presidente dell’Associazione “Dimore storiche napoletane”. No, se i palazzi e gli artisti sono stati scelti da questi due amici, interpreti di una cultura tutta coniugata in napoletano, con grande sensibilità.
E se la scelta o il suggerimento dell’edificio in cui ospitare l’opera d’arte, appartiene all’architetto, l’inquadratura, il “taglio” dell’immagine è tutta affidata all’obiettivo del fotografo.
La mostra “L’arte e la città”, curata da Antonella Nigro e promossa dall’associazione Tempo Libero con l’assessorato comunale alla Cultura, allestita al Pan, (visitabile fino al 12 febbraio, tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 9.30 alle 19,30 e la domenica fino alle 14,30) è l’esempio riuscito della sinergia fra istituzioni e associazioni culturali; ed è, soprattutto, la bella esperienza dell’incontro di due personalità, Attanasio e Calabrese, capaci di collaborare integrando le proprie sensibilità nei confronti dell’architettura e dell’arte napoletane.
Il risultato è una splendida mostra, da non perdere, che ha un doppio oggetto: l’interno di edifici napoletani e l’opera scelta dagli artisti coinvolti in questo ambizioso progetto.
L’impatto emotivo, davanti alle grandi fotografie di Nando Calabrese è notevole e, almeno in un primo momento, spiazzante nel senso che bisogna lasciarsi trasportare dall’emozione per comprendere che fra il palazzo e l’opera dell’artista, sempre a colore, si instaura un ironico dialogo fra opere, lontane nel tempo ma vicine per sensibilità.
La carrellata delle foto, di grande formato, e ottimamente stampate da Vittorio Gargiulo, infatti, oltre a presentare uno sguardo critico sulle voci più significative dell’arte figurativa napoletana di questi ultimi anni, vuole anche essere una rappresentazione della storia dell’edilizia civile napoletana, senza la pretesa di selezionare soltanto la “monumentalità”.

Qui sopra, la foto dedicata all'opera di Gerardo Di Fiore. In alto, un momento del'inaugurazione
Qui sopra, la foto dedicata all’opera di Gerardo Di Fiore. In alto, un momento del’inaugurazione

Gli edifici fotografati, infatti -non tutti notissimi- diventano anche una lezione di storia dell’architettura napoletana attraverso i secoli. Una pianta della città, con indicati tutti gli edifici fotografati, aiuta, anche molti napoletani, ad individuare i siti consentendo, così, una lettura più attenta di quella civiltà artistica che la città ha saputo esprimere, nei secoli, attraverso l’opera di architetti noti ma anche di oscuri e sconosciuti protagonisti dell’arte del “fabbricare”.
Il set fotografico scelto, infatti, ricopre la stessa importanza sia che si tratti dello scalone dei più bei palazzi napoletani, sia che ci sveli il tranquillo cortile di Villa dell’Abete dove l’ombra di una folta palma invita ad una piacevole sosta.
E così, estraniandomi da tutto quanto mi circonda, avanzo, con gli occhi catturati dalle grandi foto. È una sorpresa continua, di palazzo in palazzo, fino a perdermi nel sottile gioco di riconoscere l’edificio e il suo rapporto con l’opera esposta. Si riscoprono luoghi dimenticati o mai visti ed è una lettura che può soltanto accrescere l’orgoglio dell’appartenenza ad una civiltà senza inutili e, diciamolo, anacronistiche rivendicazioni storiche.
Nelle foto di Nando Calabrese, passando dall’abbagliante bianco al nero attraverso tutte le sfumature di grigio, nasce un dialogo fra il luogo scelto e il colore dell’opera esposta. E la scelta di riprendere l’opera con il suo artista risulta quanto mai felice perché la sottrae all’astrattezza grafica umanizzandola e rendendo l’artista stesso oggetto dello scatto fotografico. Alla fine il rapporto che lega lo spazio, l’artista, la sua opera ed il fotografo è il risultato di una felice empatia innanzitutto con l’ambiente in cui si svolge l’azione, con la storia che quel luogo evoca ed anche con la più attenta cultura figurativa napoletana contemporanea.
È un gioco di rimandi fra spazi, vissuti dall’artista con la sua opera, e spazi fotografati con amore e con una sottile vena di malinconia da Nando Calabrese; una malinconia con la quale il suo obiettivo critico sottolinea le condizioni di degrado in cui versano molti degli edifici.
Ma, da parte del sensibile Nando Calabrese, a ben vedere, è una malinconia ironica, un accettare il tempo che passa. E l’ironia diventa anche la cifra con la quale quasi tutti gli artisti hanno giocato in questa operazione raffinata e colta.
Così l’incantato e ingenuo sguardo di Riccardo Dalisi fissa, con sfida, lo spettatore invitandolo ad osservare l’oggetto, posto ai suoi piedi, che fra poco si muoverà risalendo la lunga scalinata del Palazzo Calabritto. Lui, Riccardo, ci crede; mentre, con un sorriso sornione, Laura Cristinzio lancia il suo rosso filo d’Arianna solo apparentemente disordinato perché, in realtà, quel filo che si svolge lungo la ripida scala di Palazzo Sirignano, è anche la lenza lanciata verso lo spettatore per risucchiarlo nella magia della immagine.
Armando De Stefano gioca di nostalgia guardato dai personaggi di una sua opera ferma, da anni, nel soffitto del rettorato dell’Università, Vincenzo Aulitto stende, quasi secondo un antico rito popolare, la sua fantasmagorica tela al terrazzo dalla scala di Palazzo Marigliano-Di Capua e Lello Esposito sorride sotto l’enorme testa del suo San Gennaro il cui sguardo rimanda all’altra sua famosa opera, Pulcinella, l’eterna icona di un modo di essere napoletani, quasi un San Gennaro laico.

Pan| ilmondodisuk.com
Ancora uno scorcio dell’esposizione

Mi giro e sono catturato dalla fotografia nella quale Rosaria Matarese si lascia avvolgere nella vertigine della ellittica scala del Palazzo Mannajuolo. Mi guardo intorno; vorrei rivederle tutte, con più attenzione, ma le immagini sono tante, troppe per poterle ricordare tutte.
Per ora mi accontento di elencare tutti gli artisti presenti nella mostra: Riccardo Dalisi, Lello Esposito, Gianni Pisani, Mario Persico, Armando De Stefano, Rosaria Iazzetta, Ahmad Alaa Eddin, Vincenzo Aulitto, Anna, Luisa e Rosaria Corcione, Mathelda Balatresi, Celesta Bufano, Alessia Cattaneo Della Volta, Marisa Ciardiello, Laura Cristinzio, Gerardo Di Fiore, Francesca Di Martino, Nicca Iovinella, Pietro Loffredo, Rosaria Matarese, Rosa Panaro, Gloria Pastore, Aulo Pedicini, Giuseppe Pirozzi, Tommaso Pirretti, Rezzuti–Scolavino, Sergio Riccio, Mimma Russo, Tony Stefanucci, Ernesto Terlizzi e Marianna Troise.
Ritornerò più volte a visitarla e sono sicuro che, ogni volta, entrando in questi spazi, scoprirò qualcosa in più di quel sottile dialogo fra il colore del manufatto artistico e la luce, in bianco e nero, che invade queste foto.
Anche il catalogo, editore Paparo, redatto da Sergio Attanasio con gli scritti di Antonella Nigro, Clorinda Irace e Nino Daniele, per una volta, non è la solita brochure ma uno strumento di approfondimento. La musica di Mahler e Tchaikovsky commenta il bel filmato di presentazione della Mostra realizzato da Sergio Attanasio e Stefano Sovrani.
Fuori del Museo, esco nella chiassosa notte che si prepara al suo rito del sabato sera.

 

 

 

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