Ma quanto contribuisce il Mezzogiorno all’economia dell’intero paese? Per ben 277 principali categorie di attività economiche il Sud produce più valore aggiunto dello stesso Mezzogiorno.
Per 55 di esse produce più di un terzo del valore aggiunto nazionale e, per 9 di esse, addirittura il contributo risulta superiore alla metà dell’intero valore aggiunto nazionale. Dal trasporto marittimo e costiero di merci ai servizi di ambulanza e altri servizi di assistenza sanitaria, dalla gestione dei luoghi e monumenti storici alla produzione di olio d’oliva, dall’estrazione del sale ai cantieri di demolizione navali.
A sostenerlo è lo studio intitolato “Check-up Mezzogiorno”, a cura dell’Area politiche eegionali e per la coesione territoriale di Confindustria e da Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM).
Nel 2018 le esportazioni delle regioni meridionali valevano circa 50 miliardi di euro (+5,5%) e anche a fronte di un decremento nei primi mesi del 2019 del 3,2%, aumentano le esportazioni di mezzi di trasporto, di prodotti alimentari e del settore farmaceutico.
E i contributi pubblici per questa parte dell’Italia? Lo studio dei Conti pubblici territoriali ci dice che la spesa pubblica, nel 2017, nel Centro-Nord è superiore al Mezzogiorno di circa 500 euro pro capite. In termini assoluti al Sud nel 2009 si spendevano 21 miliardi all’anno, nel 2017 circa 10 miliardi. In meno di 10 anni la spesa pubblica nel Mezzogiorno diminuisce di circa il 50%.
Ma come, nel Nord ricco e produttivo si spendono più soldi pubblici e nonostante ciò il Sud straccione e spendaccione in molte attività principali rilascia, sul “campo Italia”, più valore aggiunto nazionale? A soffrirne, principalmente, sono le imprese meridionali che perdono incentivi dallo Stato (relazione MISE 2018).
Il primo elemento che dovrebbe sovvertire una crisi economica ciclica è rappresentato dalle politiche pubbliche, per combattere una condizione oggettiva non favorevole e riattivare virtuosamente un circuito economico. Insomma, l’intervento pubblico è esso stesso il principale presupposto anticiclico capace di recuperare innanzitutto qualità infrastrutturale e adeguati servizi pubblici.
Se questi viene meno, ovvero non è omogeneo, crea dis-equilibrio territoriale, dis-connette i destini di milioni di cittadini, dis-articola la coesione tra gli abitanti. E’ del tutto logico che l’autonomia differenziata, così come l’esigenza di ridurre la rappresentanza parlamentare, si dimostrano una necessità per il moderno capitalismo, ovvero di quella concezione economica che lavora per il consolidamento di luoghi ed imprese competitive, soddisfacendo principalmente l’UE che impernia il sistema dei fondi strutturali europei sulla competitività, tralasciando volutamente il tema della coesione territoriale, ovvero quel sistema di relazioni economiche orizzontali guidate dallo Stato, dove a prevalere non siano le merci ma il capitale umano.
E la “semplificazione” della democrazia ne corona questo andamento; l’esigenza è quella di ridurre il campo, espellere, escludere, lasciare indietro, assoggettare la massa ed assestare i privilegiati.
Ecco il punto: sovvertire questo paradigma. L’unità e la coesione territoriali avanzati dal “pubblico” come antidoto per contrastare la dis-unità e la dis-omogeneità tra Nord e Mezzogiorno. Una spinta capace di attrarre intelligenze, cervelli ed energie dall’esterno.
Purtroppo si affaccia con sempre più prepotenza sulla scena politica europea la malsana idea di un sovranismo che sta approfittando delle debolezze di un’Europa fragile, in mano a tecnocrati e rappresentanti della finanziarizzazione dell’economia, piuttosto che del destino socio-economico dei popoli.
Un sovranismo, come sostiene Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore, che vede come via d’uscita dalla crisi (da destra) il ritorno allo Stato nazionale, pensando in questo modo di risolvere la polarizzazione sociale che determina “avvantaggiati” e “svantaggiati”. Senza dire però che quella idea si oppone ai processi di democratizzazione politica e giuridica, disconoscendo esattamente quella sovranità largamente sbandierata, non dando riconoscibilità alla identità nazionale (populismo).
La contrapposizione tra europeismo e sovranismo in Italia ha polarizzato anche i rapporti tra Nord e Sud del paese, il Mezzogiorno rischia di essere schiacciato da entrambe i lati, tra chi vuole cioè ritornare al protezionismo e chi al liberismo economico.
In altri termini siamo in quella fase storica che il filosofo camerunense Achille Mbembe etichetta come “necropolitica”, ovvero la politica di oggi che decide “chi deve vivere e chi deve morire”. La politica italiana, questa politica, ha deciso di far vivere il Nord e far sparire il Sud.
Ma il Mezzogiorno deve metterci del suo. Non più e non solo analizzare e aspettare. Le imprese meridionali devono misurarsi con management all’altezza del compito, recuperare una internazionalizzazione, approfondire le infrastrutture immateriali, allargare la propria dimensione, aprirsi alle spinte innovative che creano valore aggiunto, aumentare la ricchezza pro-capite.
Così come adoperarsi per un largo processo di sburocratizzazione dei procedimenti amministrativi per rispondere ad una domanda privata che richiede certezza dei tempi e sostegno finanziario. L’ecosistema amministrativo e finanziario rappresentano il primo sostegno territoriale a cui è affidato il compito di far avanzare il rafforzamento qualitativo, prospettando il sentiero della crescita.
Tutto questo ragionamento non è estraneo a una sinistra politica. Lo smarrimento della rappresentatività di un campo culturale largo, plurale, che guardi ai movimenti ambientalisti, alla parità di genere, ai nuovi diritti, ai fenomeni di esclusione sociale, non ha eliminato quel campo, lo ha tramortito, indebolito, relegato ai margini del dibattito pubblico.
Una sinistra che sappia interpretare i numeri della sperequazione tra i territori, che proponga uguaglianza economica, che capisca l’effetto devastante delle zone economiche speciali, che combatta efficacemente la competizione tra aree geografiche, è più che una necessità.
Insomma, quelle “cose” di sinistra che permettano di creare quel mondo pieno, plurimo, che includa le sofferenze e combatta le esclusioni. Tutte aspirazioni contenute nell’atto costitutivo di quel campo politico.
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In alto, i sassi di Matera