L’amicizia può esser considerata un valore cardine, un principio civile e sociale in grado di sostenere il peso del mondo e delle sue vicissitudini. Spesso così non è, altrettanto spesso, però, esistono relazioni che valicano il tempo, le distanze, le esperienze, restando fedeli a sé stesse ed a quanto, nella gioia e nella serenità dell’infanzia, s’è condiviso. Ne sono esempio Giuseppe Leone e Eugenia Scarino, entrambi natii di Buonalbergo (in provincia di Benevento) e che, sin da piccini, hanno trascorso giornate intere a giocare e poi a crescere e confrontarsi, entrando appieno nella vita. Quest’ultima ha portato, in età adulta, il distacco dal piccolo paese, alla volta delle città dove poter studiare, formarsi e vivere.
Napoli e non solo, per Leone, artista e divenuto poi docente accademico, Roma per Eugenia Scarino, nota scrittrice ed editrice. Da questa straordinaria amicizia, nasce la lettera che abbiamo il piacere di riportarvi integralmente, scritta da Eugenia Scarino per l’amico Giuseppe Leone, in cui memorie e suggestioni rievocano tempi passati ma ancora vividi, ove il presente, invece, interviene a raccontare l’arte e la visione di Leone.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Operazione laboriosa raccontare di Giuseppe Leone. Le emozioni, le sensazioni, gli eventi si rincorrono, si accavallano fino ad allinearsi ordinatamente lungo il filo della memoria. Una memoria che ci ritrova bambini, figli della strada, di questa strada fatta di pietre antiche che sanno di sapori e profumi che mai morranno dentro di noi e che ritroviamo ogni volta che le calpestiamo.
Il Tempo, inesorabile e indifferente attore, lascia le sue impronte, a volte distruttive altre lievi, ma non riuscirà mai ad allentare quel filo invisibile che lega le anime ai luoghi.
E proprio questi luoghi sono stati, fin dalla giovanissima età, elemento ispiratore dell’Arte di Giuseppe Leone.
Da questi luoghi, Leone ha iniziato il suo viaggio verso un mondo fatto di simboli e allegorie che lo portano a fondere retaggi di antichi saperi e conoscenza con la sua-nostra quotidianità, volta al futuro, in una continua metamorfosi.
Ed ecco che una barchetta “naviga” verso il fuoco purificatore del vulcano che sa di casa, quel vulcano-fucina dove la realtà si trasforma, si modella, rinasce a nuova forza.
E tutto diviene sogno in un altalenante conflitto interiore che porta il pittore-poeta a staccarsi dal tangibile per librarsi in volo verso infiniti lidi che spesso emergono dal passato e, novello Ulisse, si avventura verso arcani orizzonti varcando i confini del conoscibile, per immergersi in volute magmatiche da cui nascerà riplasmata la storia della nostra conoscenza.
Parafrasando il pensiero del grande scrittore statunitense John Steimbeck, non saremmo noi senza il nostro passato, e Leone ce ne dà conferma, attingendo a piene mani alla sua ricchezza e trasformando i suoi personaggi secondo la propria percezione e la sua incessante voglia di sperimentare nuovi linguaggi pittorici.
Tempo e spazio si annullano nei suoi onirici voli e tutto diviene possibile, ogni cosa diviene “altra”, ogni palpito si dilata fino a riempire orizzonti insperati.
I suoi oggetti-non oggetti riescono ad assurgere a un misticismo che ci fa sentire essenza vitale di un gioco tormentato ma rigenerante. Come rigenerante e rigenerata è la sua arte tutta, quando ricrea ciò che ci circonda ammantandolo di nuova sostanza.
È questa la magia che Leone mette in essere ogni qualvolta tenta – e ci riesce pienamente – di “entrarci dentro”. Un’alchimia psichica che offre risposte certe ad innumerevoli quesiti che ci torturano, mentre squarci di azzurro si aprono davanti ai nostri occhi in un disvelamento liberatorio.
Poi i suoi grafemi che diventano parte integrante delle sue opere, fino a costituire una sorta di tessuto connettivo tra toni chiaroscurali e ombre di sapore antico che ci riportano alle nostre ancestrali paure.
È l’uomo moderno il fulcro della filosofia pittorica di Leone, tormentato dal peso di desideri inespressi e inesprimibili, oppresso dal “male di vivere” di montaliana memoria, mentre la “divina indifferenza” segna il nostro tempo.
Ma l’Artista trova, quasi presago di mondi da scoprire e da godere, una soluzione a tale angoscioso sentire, con le sue figure, simbolo di liberazione e di aspettative.
Ed ecco il gallo apportatore di speranza e di luce col suo canto inneggiante all’aurora o che becchetta il seno immacolato di una vergine, quasi ad imprimere il suo segno di rinascita.
Giuseppe Leone, figlio di questo nostro Sannio forte e bellicoso, ma anche di terra di streghe e di magia, è anche figlio di un mito lontano nel tempo e rende attuali racconti e figure che hanno accompagnato il nostro percorso verso la conoscenza.
E allora una Leda accarezzata dal cigno-Giove si contrappone ad un Prometeo incatenato che sembra voler simboleggiare il nostro desiderio di resurrezione.
Un Virgilio, cosciente protettore di Napoli, col suo uovo salvifico, domina un Vesuvio esplosivo, mentre l’immagine di Plinio che guarda una barchetta di carta solcare le onde testimonia la Storia.
Immagini mitologiche, sublimate dalle sapienti ed abili mani degli incisori di corallo creeranno cammei di ineguagliabili bellezza e raffinatezza, a ricordare come il connubio tra diversi tipi di arte sia estremamente prolifico.
Noi, ammirati e silenti, seguiamo con stupore le varie tappe del viaggio di Leone e ci soffermiamo increduli davanti ai risultati della sperimentazione dell’Artista, e così una sedia con una mano trafitta e sanguinante diventa l’emblema delle nostre dolorose attese di momenti felici, o un volto solcato da ferite purpuree ci rammenta antiche alchimie che promettono insperate salvazioni.
Questa full immersion del Nostro nella Natura e i suoi figli – vedi il vulcano, la chiave, il gallo, la pecora, la luna, la barca, i pesci, l’acqua, l’aria e il fuoco – ci riportano ad una sorta di panismo dannunziano, dove gli elementi esterni diventano parte di noi, in uno scambio perenne di energia positiva che si trasforma e che trasforma, verso un processo metamorfico di una incessante evoluzione eraclitea.
Dal “Ciclo di Ester”, suoi primi capitoli di questa narrazione evolutiva e “trasformista” fino all’inganno di Narciso che, come un’araba fenice, muore e rinasce in un tormentato dualismo, Leone gioca le sue carte, mettendo sul piatto i suoi sogni demiurgici e le sue disillusioni, senza mai fermare quell’empito creativo che lo eccita e lo incita verso nuovi esperimenti.
Eugenia Scarino