Alla Certosa e Museo di San Martino dal primo luglio di quest’anno è stata aperta la sezione espositiva dedicata alla Cona dei Lani. In un’ambiente appositamente allestito, si può ammirare un insieme monumentale di opere in terracotta (realizzato dal mastro cinquecentesco Domenico Napoletano) che facevano parte della ricca decorazione della distrutta cappella dei Lani nella chiesa di Sant’Eligio al Mercato bombardata nel 1943. Carmine Negro ne ripercorre la storia. Ecco la seconda parte del suo racconto. La prima la potete leggere cliccando su questo link La storia di Cona dei lani 1
SECONDA PARTE
“Alla bellezza come l’ha voluta un cervello umano, un’epoca, una particolare forma di società, aggiungono una bellezza involontaria, associata ai casi della Storia, dovuta agli effetti delle cause naturali e del tempo. Statue spezzate così bene che dal rudere nasce un’opera nuova, perfetta nella sua stessa segmentazione: un piede nudo che non si dimentica […] una mano purissima , un ginocchio piegato in cui si raccoglie tutta la velocità della corsa, […] un profilo ove la bellezza sopravvive in un’assenza assoluta di aneddoto umano o divino …”
È questo brano di Margherite Yourcenar tratto da Il Tempo grande scultore, riportato su una parete, ad accogliere i visitatori della Cona dei Lani situata nella Sala collocata tra il chiostro dei Procuratori e il “corridoio delle carrozze”, un androne che conduce all’incantevole panorama del belvedere sul golfo. Mentre mi avvicino alle tracce scomposte di questa grossa e complessa costruzione col pensiero vago su un altro brano dell’autrice presente nella stessa opera
Dal giorno in cui una statua è terminata, comincia, in un certo senso, la sua vita. È superata la prima fase, che, per l’opera dello scultore, l’ha condotta dal blocco alla forma umana; ora una seconda fase, nel corso dei secoli, attraverso un alternarsi di adorazione, di ammirazione, di amore, di spregio o di indifferenza, per gradi successivi di erosione e di usura, la ricondurrà a poco a poco allo stato di minerale informe a cui l’aveva sottratta lo scultore.
Queste figure dalle forme umane sono uscite dallo stato informe della materia quando sono state create e ora ritornano, per la seconda volta, in vita. Mi avvicino con emozione e rispetto a quanto avevo imparato ad apprezzare, attraverso le immagini della rete, prima in bianco e nero e poi a colori. Le sconnessioni, la mancanza di frammenti che mutilano le corporature, senza togliere loro la dignità di una provenienza colta, mi danno la sensazione di essere come la vita: tanti atomi che si ritrovano per un racconto e in futuro di nuovo liberi, pronti a prendere parte ad un’altra narrazione.
In quei volti, in quelle mani, in quei gesti si concentrano una grande debolezza ed una grande forza: la fragilità della materia che il tempo decompone e l’entusiasmo del sogno che è vita e colora il futuro di speranza. E il sogno, per l’uomo che cerca, è come l’anima che quando è unita al corpo è fonte di gioco e di allegria. E il gioco è sinonimo di vita[1]. Qualche volta invece di volti, busti e mani si trovano solo piccoli pezzi che all’occhio del profano potrebbero sembrare insignificanti. Questi frammenti invece hanno un grande valore conoscitivo, diventano un elemento prezioso per avere informazioni su un autore, uno stile, un periodo.[2]
La prima figura che si incontra in questa esposizione è quella del re David. Valoroso guerriero, musicista, poeta e per la tradizione autore di molti salmi, Davide nella Bibbia viene descritto come un personaggio dal carattere complesso, capace al contempo di grandi crudeltà e generosità, dotato di spregiudicatezza politica e umana ma al tempo stesso in grado di riconoscere i propri limiti ed errori. Nella Cona è raffigurato come profeta e musico con la corona e la lira da braccio. Nelle tre religioni che si riconoscono in Abramo la vita di Davide ha grande importanza.
Nell’ebraismo, Davide della tribù di Giuda è il re d’Israele e da lui discenderà il Messia, nell’Islam è considerato un profeta e nel cristianesimo da lui discende Giuseppe padre putativo di Gesù. Per questa sua storia si ipotizza che la figura doveva essere collocata in cima alla composizione, in posizione frontale nella rappresentazione della Cona, accanto a Cristo Redentore. Sulla veste e sul manto la superficie della terracotta porta ancora visibili alcuni preziosi residui di doratura. Le tracce di foglie d’oro hanno rivelato che tutte le figure dei profeti avevano vesti auree molto probabilmente completate con dipinti arabeschi.
Nella parete destra prima colonna subito dopo il re Davide incontriamo la prima delle sibille. Per Eraclito «La Sibilla con la bocca della follia dà suono a parole che non hanno sorriso né abbellimento né profumo, e giunge con la sua voce al di là di mille anni, per il nume che è in lei»[3].
Il mito della Sibilla, ha attraversato i millenni, conservando il fascino della superstizione primordiale dalla quale trae origine. Dai tempi pre-omerici, la Sibilla è giunta al Medioevo senza cambiamenti significativi. Ha dato voce alle istanze profetiche di quattro grandi religioni: il paganesimo greco, il monoteismo giudaico, la religione etnica romana e il Cristianesimo. Per i Padri della Chiesa la Sibilla è colei che illumina il cammino dell´umanità pagana verso il Cristianesimo. Le Sibille di Michelangelo nella Cappella Sistina sono cinque, come quelle dalla Cona, tutte corredate di nome, che ne permette l´immediato riconoscimento[4]. Le Sibille di S. Eligio, spesso prive di frammenti identitari, immobili e protese nel gesto, si presentano più misteriose, sembrano trasportarci in un’area indefinita. Sprovviste di quel pigmento protettivo che ne preserva l’anima più profonda, la materia primordiale si presenta ignuda e indifesa … interroga l’uomo contemporaneo sui misteri della vita.
La prima Sibilla che si incontra, designata nell’esposizione con la lettera E, potrebbe identificarsi con la Cumana. Sul fondo dei suoi occhi sono visibili tracce di colore nero che riproducono la pupilla. In altre sibille il bulbo in terracotta è dipinto mentre in altre le orbite si presentano cave.
Subito dopo c’è la Sibilla indicata come C. L’abbiamo già conosciuta per la capigliatura a treccia e la torsione del busto: presenta la testa e lo sguardo, rivolti ad un libro aperto sostenuto da un putto. Le ampie stesure cromatiche che ancora oggi sono ben visibili risalgono a una ridipintura settecentesca, eseguita anche su altre figure, evidentemente in una fase precedente alla scelta di rimuovere l’insieme.
La successiva figura è rappresentata dalla Sibilla D ritratta con il busto di tre quarti mentre protende il braccio verso un putto con un libro. Le ultime tesi sulla ricostruzione dell’opera ipotizzano che molte delle figure profetiche, tra cui questa sibilla, fossero collocate lungo le pareti laterali della cappella.
La Sibilla A come le altre figure profetiche sono spesso rappresentate con i libri che contenevano gli oracoli. In alcuni casi i vaticini erano scritti sulle pagine aperte; in questo caso il volume chiuso è di sostegno alla sibilla che vi si appoggia con il braccio.
La didascalia che accompagna questa figura sottolinea come siano ben evidenti i tagli che la dividono in più parti. Le sculture erano plasmate su ripiani di legno, sezionate con una lama o un filo metallico e svuotate dal retro per consentire una cottura omogenea nel forno. Le figure venivano successivamente riassemblate nel montaggio e rifinite con il colore.
A completare la successione di queste figure c’è la Sibilla B che, essendo stata rappresentata con un corno da caccia, potrebbe essere identificata come la Sibilla Delfica. Queste profetesse simboleggiano anche la vocazione universale dell’annuncio evangelico con la Cumana a rappresentare l’Italia e la delfica a evocare la Grecia. I capelli, raccolti in una coda, si dividono in varie ciocche prima di scendere morbidamente sulla schiena; questa indovina è caratterizzata da uno sguardo intenso.
Sulla stessa parete di destra modellato su un fondale a lunetta ritroviamo la figura del Profeta che potrebbe essere identificato con Isaia.
Si ipotizza che la figura del profeta fosse collocata in alto, lungo una parete laterale della cappella mentre, in cima al polittico c’è quella del Cristo Redentore, in atto benedicente e con il globo nella mano, appena proteso in avanti verso i fedeli.
Una struttura di sostegno in ferro, ancora presente sul retro, blocca i cinque elementi che compongono la scultura. Per questa configurazione strutturale la figura ci è pervenuta nella sua interezza.
La ricomposizione della maggior parte dei frammenti architettonici disponibili, cornici, architravi, lesene e capitelli, tutti riccamente ornati, ha consentito una parziale ricostruzione del Polittico di Fondo della cappella, una imponente struttura scandita, in verticale, da almeno due ordini di differente altezza.
Capitelli in stile composito[5] figurato e in stile ionico sormontano le lesene ornate, mentre elementi verticali sono intervallati da ricche trabeazioni con cornici e fregi. L’insieme, ritmato dall’alternanza di sporgenze e rientranze e di elementi angolari e curvilinei consentono alla composizione di avere un aspetto articolato e dinamico. Residui di bolo[6] rosso, oro e azzurro attestano la preziosa cromia che animava il polittico.
Un Grafico ipotizza la struttura dell’imponente organismo scultoreo. Punto di partenza dello schema sono le misure del portale d’ingresso della cappella, ancora presente nella Chiesa di S. Eligio; era sovrastato da un coro oggi non più esistente.
Per costruire il grafico si sono utilizzate le informazioni raccolte dall’osservazione dei frammenti[7] e un riferimento parziale al polittico in terracotta della chiesa di San Lorenzo Maggiore, opera attribuibile a Domenico Napoletano.
Alcune delle sibille e il profeta, che restano fuori da questa ipotesi, modellati secondo un punto di vista ortogonale, quindi osservabile da più punti, e in alcuni casi certamente inscritti entro forme a lunetta ha contribuito a far immaginare la loro collocazione lungo le pareti della cappella, conclusa da un soffitto a volta.
Il centro del primo ordine del polittico era occupato dalla scena della Natività che si articolava su diverse profondità, dallo stiacciato, una tecnica scultorea che permette di realizzare un rilievo con variazioni anche minime rispetto al fondo per fornire all’osservatore un’illusione di profondità, al basso e alto rilievo, fino al tutto tondo delle figure in primo piano. L’interesse per il movimento che percorre l’opera si coglie anche nella rotazione visibile nei frammenti dei pastori, a sinistra dei resti della Madonna e di quello che doveva essere San Giuseppe.
A destra, la scena è delimitata da una combinazione di specie vegetali dal significato allegorico. Tra le foglie e i frutti che compongono l’insieme si riconoscono la quercia, l’alloro e forse il melo, l’albero che simboleggia l’avvento dell’età dell’oro e profetizza la nascita del Cristo. Sotto il frammento del manto che funge da giaciglio, tra i pastori e la Madonna, la cui figura è andata dispersa, si legge la firma dell’autore con la data del 1517: (Do)minici/(opu)s/(MD)XVII.
La Madonna col Bambino che, come abbiamo visto, riprende un’incisione di Marcantonio Raimondi su un disegno di Raffaello era probabilmente inserita in un’edicola. La ridipintura integrale operata nel 1953 a seguito di un intervento di rifacimento oggi è stata rimossa per recuperare la cromia originale e le tracce di lamina d’oro.
La curvatura d’insieme delle formelle suggerisce che il Coro di angelimusicanti era posto a semicerchio e doveva sovrastare la Natività occupando la calotta dell’abside. Le figure appaiono sedute su un sottile tappeto di nuvole che doveva fungere da margine inferiore della scena. Ogni angelo ha un ruolo che si può desumere dall’oggetto che lo accompagna: un cartiglio, la lira, il flauto, il libretto per il canto, il liuto.
Nell’opera ricorre più volte Il tema della musica. La lavorazione nei dettagli degli angeli e delle altre figure della Natività si mostra particolarmente curata; minuzioso e raffinato il disegno delle piume.
La mancanza di attributi iconografici specifici rende di difficile identificazione la Figura di Santo, pervenuta solo dal mezzobusto in su, forse era inserita in una delle nicchie laterali della Cona.
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(2.continua)
NOTE
[1] L’anima unita al corpo ci ricorda Animula vagula blandula una brevissima poesia con cui Publio Elio Traiano Adriano si prepara a congedarsi dalla sua anima e si rivolge ad essa salutandola, quasi come fosse sulla soglia che separa la vita dalla morte e si apprestasse a separarsi da una cara compagna.
[2] Vittorio Fortunati Marguerite Yourcenar e il frammento: la scultura, la poesia, la memoria pag. 549- 560 da Lingua, cultura e testo (Miscellanea di studi francesi in onore di Sergio Cigada) di Giuseppe Bernardelli, Enrica Galazzi 2003 Edizioni V&P Università
[3] Eraclito Frammento . 119
[4] Michelangelo circonda la fascia centrale che riporta la Genesi, con i Profeti e le Sibille. Tra i Profeti sceglie Zaccaria, Giona, Isaia, Gioele, Geremia, Ezechiele e Daniele. Probabilmente l´artista ha fatto riferimento allo scritto del domenicano siciliano Filippo Barbieri che nel volume Discordantiae nonnullae inter sanctum Hieronymun et Augustum, pubblicato a Roma Il primo dicembre del 1481 riporta un importante passaggio sulle Sibille e sui Profeti. Da un´attenta lettura dell´opera del domenicano rinveniamo, infatti, che alla Sibilla Libica è dato l´oracolo sulla Creazione, alla Cumana sull´Unigenito, alla Delfica sulla Vergine Maria e alla Persica l´oracolo sulla Chiesa. Per il giudizio universale Michelangelo utilizzò l´oracolo attribuito alla Sibilla Eritrea che, secondo Eusebio di Cesarea, venne pronunziato da Costantino ad un´assemblea di Cristiani appositamente convocata.
[5] L’ordine composito è uno degli ordini architettonici dell’architettura romana ed è caratterizzato dalla sintesi dell’ordine ionico italico e corinzio.
[6] Etimologia: ← dal lat. tardo bōlu (m), dal gr. bôlos ‘zolla di terra’. Impasto rosso di argilla a base di ossido di ferro, usato per fare aderire una foglia d’oro su un supporto sottostante; bolarmenico da Garzanti Linguistica)
[7] Osservazione dei frammenti: dimensioni, conformazione dei retri, iconografia
Nella foto di copertina, Re David (ripresa frontale). Tutti gli scatti nella pagina sono di Carmine Negro