Alla Certosa e Museo di San Martino dal primo luglio di quest’anno è stata aperta la sezione espositiva dedicata alla Cona dei Lani. In un’ambiente appositamente allestito, si può ammirare un insieme monumentale di opere in terracotta (realizzato dal mastro cinquecentesco Domenico Napoletano) che facevano parte della ricca decorazione della distrutta cappella dei Lani nella chiesa di Sant’Eligio al Mercato bombardata nel 1943. Carmine Negro ne ripercorre la storia. Ecco la terza e ultima parte del suo racconto. La prima e la seconda le potrete leggere cliccando su questi link La storia di Cona dei lani 1 La storia di Cona dei Lani 2
Martedì 29 giugno alle18, nel Chiostro dei Procuratori della Certosa del Museo di San Martino, la direzione regionale Musei Campania ha presentato al pubblico, la nuova sezione espositiva dedicata alla Cona dei Lani, proveniente dalla chiesa di Sant’Eligio al Mercato.
Durante la conferenza inaugurale sono stati ricordati, attraverso un’analisi storica, critica, di cantiere e di allestimento, le vicende che si sono succedute intorno a questo ritrovamento incredibile: frammenti conservati in più depositi, restauro complicato per la penuria di fondi, ricomposizione difficile per la mancanza di fonti cui fare riferimento.
Il complesso di S. Martino, che ha ospitato la comunità dell’Ordine dei certosini ha una origine angioina così come la Chiesa di piazza Mercato. Quando mastro “Dominico Napolitano” componeva nel 1517 la sua monumentale struttura, l’area in cui ci troviamo, oltre a essere destinata a orto per dare quelle risorse sufficienti a rendere autonoma l’abbazia (economia di sussistenza[1]), era utilizzata per la coltivazione delle erbe mediche con le quali i monaci preparavano i rimedi per la cura del corpo. Tutti i lavori di ristrutturazione e di ampliamento che seguirono: rifacimento del chiostro esistente[2] e della chiesa, realizzazione di altri due chiostri, quello dei Procuratori e quello del quarto del priore, furono affidati a Giovanni Antonio Dosio.
La visita a questo splendido monumento offre la possibilità di poterlo osservare attraverso le stratificazioni che si sono sedimentate nei secoli. L’aspetto attuale della Certosa si deve al lavoro di tre architetti: Giovanni Antonio Dosio (1581), che ammorbidì la rigida immagine gotica conferendole un elegante stile rinascimentale, Cosimo Fanzago (1623), artefice della pregiata veste barocca e Nicola Tagliacozzi (1723) che riuscì a sintetizzare nel suo lavoro l’architettura, la pittura e la scultura distintiva del gusto roccocò[3].
Con il passare del tempo è sempre più difficile riconoscere le tracce più antiche specie se non ci si riferisce ad un singolo monumento ma si indaga su uno spazio ampio che comprende tutta una parte della città, quella orientale, dove gli interessi sono molteplici e le sovrapposizioni più articolate.
Per comprendere la Cona dei Lani bisogna investigare su dove è nata e come è nata. Il Mercato, luogo di traffici commerciali e privilegiato spazio sociale, teatro di storia e di “storie”, crocevia di narrazioni popolari, fu spostato da Carlo I d’Angiò, intorno al 1270, dall’“agorà” di piazza San Gaetano, nucleo antico di Neapolis, in una nuova e vasta area di sviluppo corrispondente alla linea di costa cittadina, determinando la creazione di un quartiere medievale[4] intorno al complesso di S. Eligio.
La murazione realizzata da Ferrante tra il 1484 e il 1494, che si agganciava alla torre dello Sperone e alla torre Spinella, costituiva la nuova cinta difensiva della città e sperimentava una serie di accorgimenti miranti ad adeguare le strutture difensive medievali alla nuova minaccia determinata dalla sistematica utilizzazione, nelle tecniche di assedio, delle artiglierie a polvere.[5]
A partire dal Cinquecento, il largo “del Mercato” è il luogo popolare per eccellenza, il sito che, nella rappresentazione cartografica, è riproposto sempre con la presenza di una fontana. In realtà se ne contano due, la prima contigua all’area di vendita delle verdure o delle “biade” e la seconda destinata alla zona degli animali e del bestiame.
È presente, poi, un patibolo utilizzato per le esecuzioni capitali, talvolta regale come quello di Corradino di Svevia che rimarca, anche nella rappresentazione grafica e pittorica, l’importanza ma anche il carattere popolare del sito[6].
Uno spazio che nella sua definizione informe e irregolare rimanda ad una edilizia “spontanea” e dinamica ma che è al contempo sede di straordinari complessi ecclesiastici, ricchi di pregevoli opere d’arte.
Basta pensare alla chiesa di Sant’Eligio con il Conservatorio e l’omonimo Banco[7], il primo complesso ecclesiastico costruito in relazione alla fondazione della piazza, al Santuario del Carmine, alla chiesa di San Giovanni a Mare, sede dei Cavalieri di Malta, con un ospedale di assistenza per i crociati che tornavano dall’impegno delle “guerre sante”.
A queste chiese e strutture conventuali bisogna aggiungere un patrimonio architettonico “minore” ma di notevole entità, costituito da cappelle e confraternite inserite in un territorio caratterizzato da un alto tasso demografico.
La zona, luogo di espansione della città, era contraddistinta dalla presenza di locali di ristoro e di “paranze” per la vendita del pesce, da botteghe di mastri e artigiani: tintori, fabbri, orafi, cuoiari.
In questo ambiente operoso e in forte crescita socio-economica e culturale nasce la committenza della Cona. Un atto notarile del 1532 commissionava a tal Domenico Impicciati alias della musica un articolato presepe in terracotta per Matteo Mastrogiudice[8].
L’ignoto scultore veniva poi identificato con Domenico Napoletano, l’autore della monumentale macchina in terracotta policroma, un tempo situata nella cappella dei Lani dedicata a San Ciriaco e situata nella chiesa di Sani’ Eligio a Napoli. La committenza era la corporazione dei Lani (buccieri o macellai). Le corporazioni delle arti e mestieri erano delle associazioni create a partire dal XII secolo in molte città europee per regolamentare e tutelare le attività degli appartenenti ad una stessa categoria professionale.
La prima corporazione a essere registrata a Napoli è quella degli aromatari o speziali manuali nel 1455. Nel settore più specificamente alimentare, il più antico gruppo corporativamente organizzato è quello dei buccieri (macellai)[9], ai quali, dopo pochi decenni, fanno seguito progressivamente i panettieri, i molinari, gli ortolani, i sosamellari, i bottegari.
Il ruolo sociale svolto dalle corporazioni nelle città italiane ed europee, insieme ad enti privati e religiosi, è inoltre fondamentale, soprattutto nel passaggio tra la beneficienza privata e l’assistenza che diventa politica dello Stato. Nell’apertura dello Statuto dei buccieri del 1525, che come abbiamo visto è uno dei più antichi, sono ben evidenti gli orientamenti e le finalità cultuali e assistenziali degli immatricolati: […] accioche si possano subvenire detti poveri della detta Arte delli buccieri, essequire li maritaggi delle figliole vergini delli huomini di detta Arte et provedersi alle cose spettantino e pertinentino al culto divino per quello occorrerà in l’infrascritta Arte e Cappella, ….
Nello Statuto dei buccieri dell’anno 1695, come per il precedente del 1525, in beneficio della Cappella era prevista una contribuzione in ragione di ogni animale macellato: grana 2 per ogni vacca o vitello, grana 3 per ciascun castrato e grana 4 per suino. Inoltre, alla stessa Cappella, andavano gli introiti dalla vendita delle trippe e dei «capezzali e codoli di bacche, ed annecchie»[10].
Rispettando un consueto tributo alla corporazione committente, il retablo di Sant’Eligio era impostato su una predella[11] con le storie di San Ciriaco scandite in riquadri che occupavano la parte inferiore del polittico, sul cui sfondo si combinavano elementi architettonici e naturalistici.
Il santo, nella figura con la barba, compare in più episodi: mentre trasporta un cesto di pietre, forse provenienti dallo scavo della Croce e, con le mani legate, probabilmente in riferimento al martirio. Tra i personaggi che animano le scene si riconosce l’imperatrice Elena con la corona sul capo. Secondo la leggenda Elena, madre dell’imperatore Costantino, giunse a Gerusalemme alla ricerca della croce su cui Gesù era stato crocifisso.
L’ebreo Giuda, che aveva ricevuto la profezia sul luogo del seppellimento della reliquia, per il suo rifiuto a parlare, fu sottoposto a diversi martirii finché non si convinse a recarsi sul Gòlgota. Qui, scavando, trovò la Vera Croce e decise così di convertirsi e cambiare il proprio nome in Ciriaco. Fu battezzato alla presenza di Elena, che impose poi l’espulsione degli ebrei da Gerusalemme. Negli elementi superstiti si può osservare che alcune figure portano tuniche e loriche[12] all’antica, mentre altre vesti di età rinascimentale.
Probabilmente l’insieme faceva parte di un episodio ambientato in Oriente e alla stessa scena doveva appartenere l’albero simile a una palma. Le tracce del colore originario, con i toni brillanti e le raffinate stesure, lasciano intendere l’elevata qualità e ricchezza cromatica dell’intero insieme.
L’intreccio tra la storia di Ciriaco e il tema del profetismo lega la commissione della decorazione della cappella all’insurrezione del 1510, contro l’arrivo dell’Inquisizione a Napoli.
La rivolta, in cui erano coinvolti alcuni committenti di Domenico Napoletano e durante la quale emersero istanze antigiudaiche, si concluse con la cacciata degli ebrei dal Regno di Napoli.
L’antiebraismo della leggenda, la scelta del santo come protettore e la dedica della cappella nel 1509 indicano dunque un esplicito schieramento da parte dei Lani. Sant’Ambrogio, fustigatore dei miti pagani, è un’altra figura intera presente in questa esposizione.
L’opera, firmata da Domenico Napoletano, ha avuto un destino diverso dalle altre figure, una vicenda conservativa più fortunata essendo sfuggita al dramma della sepoltura. I dettagli del volto e delle mani: rughe, pieghe, vene rivelano una forte volontà di realismo, una resa dei dettagli molto più incisiva di quella delle figure del polittico.
Commissionata nel 1507 per la cappella de Carnago in Sant’Eligio Maggiore, fu forse riutilizzata nel polittico dei Lani dopo la demolizione dell’ambiente di provenienza. In fotografie precedenti al bombardamento del 1943 appare sulla facciata della chiesa, in una nicchia accanto al portale.
La Cona è un’opera complessa che racchiude possibilità di letture plurime e il suo autore sembra avere tutte le caratteristiche di “sommo ingegno” dello scultore ideale[13]: fondere cultura e scultura, eccellere nelle lettere e l’”antiquaria”, esaltare in destrezza nell’abilità tecnica[14].
Le figure dell’opera testimoniano, con i rimandi tematici e stilistici, il clima culturale di quegli anni. Napolitano, con la sua arte compie una svolta dell’opera verso la maniera moderna e partecipa a introdurre a Napoli alcune importanti novità ispirate dalle opere di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
Mostra, infatti, interessi multipli, ispirati dai dettami del tardo Rinascimento: riporta echi di Bramante nel Cristo Redentore, di Raffaello nella Madonna col Bambino, senza considerare i richiami alle Sibille già ritratte da Michelangelo nella Cappella Sistina.
Nella rappresentazione della Cona di S. Eligio utilizza lo schiacciato, il bassorilievo, il mezzorilievo, l’altorilievo fino al tutto tondo, che dispone l’insieme su piani plasticamente differenziati per consentire possibilità multiple di evidenze dinamiche[15]. La direzione degli sguardi ed il muto colloquio dei gesti accrescono di significati il silenzioso discorso … ci raccontano di un artista poliedrico, profondo, colto e sensibile.
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Nello stesso giorno in cui si inaugura il nuovo spazio espositivo, su il Mattino un articolo racconta il luogo di provenienza dei preziosi reperti: “L’agonia di piazza Mercato tra teppisti e murales dei clan “a rischio i fondi del rilancio”. Sono passate da poco le ore 18,00 e nel chiostro si succedono gli interventi di quanti hanno lavorato negli anni per riportare in vita questo pezzo di Rinascimento Napoletano di uno spazio, la Chiesa di S. Eligio, che porta impressi, con le superstiti architetture medioevali[16], le stratificazioni del tempo.
Mi giro più volte per riconoscere tra i tanti volti che affollano il Chiostro la presenza di qualcuno a me familiare. Non ne trovo: il quartiere è completamente assente. A ricordarmi piazza Mercato, un luogo che mi appartiene e a cui appartengo, è don Donato, il parroco di S. Eligio, che al termine degli interventi mi accompagna nella visita all’esposizione.
Nella sala, tra la folla, una voce ribadisce che non si è inteso tentare alcuna ricomposizione ma solo presentare nella maniera più eloquente possibile i maestosi frammenti.
Abbozzo un sorriso e penso: anche la Cona, come il quartiere da cui proviene, per ora non ha un’idea di come era, di come è, di come sarà. Di ritorno a casa, nella funicolare, riprendo la lettura dell’articolo del Mattino[17]
“Mentre si attende il completamento del nuovo impianto di illuminazione … il Mercato è una terra di nessuno. Anzi è una terra dei microcriminali. Rodei di scooter tra le fontane delle Sfingi, a partire dalle 17.00. … campi di calcio … immondizia,catene dei dissuasori distrutte, buchi da pallottola nelle saracinesche dei pochi negozi rimasti aperti, e poi una recentissima scritta “Luigi Caiafa vive” con tanto di cuoricino dedicato al baby-rapinatore”.
Immagino questo rodeo in piazza, questo girare senza avere una meta. Su quelle moto ci siamo tutti grandi e piccoli, giriamo senza sapere da dove veniamo e dove andiamo: è come se non riuscissimo a dare un senso alle nostre azioni. Mi sento accanto ai viaggiatori di quei motorini che pure mi erano stati affidati. Quel correre senza senso nel perimetro e all’interno di una piazza mi coinvolge anche se ha radici più profonde.
È come se, con la morte dell’Aquila nel 1268, si fosse persa la capacità di guardare lontano. Ora come i piccioni si cerca di salvaguardare i piccoli interessi in uno spazio sempre più piccolo: quello del calpestio. Una piazza Mercato vuota dove non c’è mercato con i preziosi contenitori e contenuti dei padri, che la delimitano, sottratti, barattati o distrutti. Sono spazi che noi grandi, impegnati in rodei senza motorino, non vediamo.
“Qui non c’entrano i lavori– è scritto ancora nell’articolo – ma c’entrano il degrado sociale e l’assenza di un’idea istituzionale forte sul futuro della piazza … nei cassonetti intorno alle sfingi svettano rifiuti di tutti tipi compresa una tavoletta di water… la zona di S. Eligio è soffocato dall’abbandono … Il muro dell’antica chiesa angioina è da anni un palinsesto sempre più ricco di deprimenti scritte e pessimi disegni di incivili che si improvvisano street-artist. I locali comunali incendiati nell’ottobre del 2019 sono ancora chiusi vuoti e in attesa di un’idea e di una ricostruzione che stentano ad arrivare”… ”andava creato qualcosa per i bambini e per i ragazzi. Sono state date false speranze qui, in passato, e se lo Stato e le istituzioni non intervengono in tempi i lavori Unesco, una volta finiti, verranno consegnati all’illegalità.”
Mi domando se ci siamo … anzi se mi sono impegnato abbastanza, in particolare con i più giovani, a dare speranza che è soprattutto insegnare a ricercare uno scopo nella propria vita senza aspettarsi nulla dagli altri.
“Pochi luoghi a Napoli sono stati teatro di eventi storici tanto memorabili e tanto intensamente ritratti come le piazze del Mercato e del Carmine e, quasi per contrappasso, pochi luoghi sono oggi tanto estranei alla frequentazione dei napoletani[18] …” scrive il prof Leonardo Di Mauro da sempre appassionato studioso di questa parte della città.
La Cona dei Lani, come la Fenice, sembra ridestarsi dalle ceneri e rinascere a nuova vita: potrebbe essere uno stimolo per tutti a essere più partecipi di un territorio e meno estranei alla nostra vita. La Cona deve ricomporre i suoi pezzi e noi sistemare i nostri per dare loro un senso.
(3.fine)
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NOTE
[1]L’economia di sussistenza’ è una tipologia di sistema economico in cui vige un sistema di scambio non monetario, basato sull’utilizzo esclusivamente di risorse naturali in quanto fonte primaria e assoluta per garantire il sostentamento e la sopravvivenza degli esseri umani.
[2] Il Chiostro non essendo più l’unico divenne da quel momento Chiostro grande.
[3] Alfonso Canavacciuolo La Certosa di San Martino a Napoli https://www.10cose.it/napoli/certosa-san-martino-napoli
[4]Pasquale Rossi Architettura sacra e cartografia storica di piazza Mercato a Napoli pag. 28 -Istituto Italiano Castelli “Il Castello del Carmine” Collana curata da Luigi Maglio
[5]Luigi Maglio La murazione aragonese ed il Castello del Carmine trasformazione e Caratteri delle difese napoletane sul limite orientale nell’ “età della transizione” pag.17 e segg.Il Castello del Carmine … opera citata
[6]Pasquale Rossi Opera citata
[7]Nel 1592 l’antica opera pia di Sant’Eligio al Mercato, convinta dell’utilità che la gestione di un banco pubblico avrebbe apportato agli istituti di beneficenza da essa governati (la chiesa, l’ospedale, e il conservatorio), ne aprì gli sportelli in un quartiere di Napoli, dove più vivace era il movimento commerciale: il Mercato. La nuova istituzione favorì appunto l’attività dei mercanti che, grazie ad un più comodo uso della fede di credito, potevano meglio regolare i loro affari.Il Banco di S. Eligio fu utilizzato per il pagamento delle opere realizzate dal Caravaggio nel periodo napoletano.
[8]Nel 1532 Domenico Impicciati fu probabilmente il primo a realizzare delle statuine in terracotta ad uso privato. Uno dei personaggi prese le sembianze del committente, il nobile di Sorrento, Matteo Mastrogiudice, della corte aragonese. (http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=1170)
[9]L’attribuzione all’anno 1501 del primo Statuto dei buccieri è in F. Migliaccio, Indice delle Capitolazioni o Statuti di Artisti napoletani, in «Archivio Storico Campano», vol. II (1892-93), p. 375.
[10] Pubblicazione degli Archivi di Stato Giuseppe Rescigno Lo “Stato dell’Arte”. Le corporazioni nel Regno di Napoli dal XV al XVIII secoloLo “Stato dell’Arte”. Le corporazioni nel Regno di Napoli dal XV al XVIII secolo Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Direzione Generale degli Archivi 2016
[11] La predella è una fascia divisa in più riquadri che di solito faceva da corredo ad un polittico o ad una pala d’altare
[12]lorica s. f. [dal lat. lorica, der. di lorum «striscia di cuoio»].. Corazza degli antichi legionarî romani; nell’età più antica era di cuoio, poi rinforzata con scaglie metalliche, fino a divenire … metallica,. https://www.treccani.it/vocabolario/lorica
[13] Pomponio Gaurico nel trattato De Scultura 1504 riporta definizioni in un ampio statuto teorico.
[14] Maria Ida Catalano Percorsi di una ricerca opera citata pag.12
[15] Maria Ida Catalano Percorsi di una ricerca opera citata pag.14
[16]Le finestre esterne, i contrafforti dell’abside e il portale gotico strombato e decorato con motivi naturalistici
[17] Gennaro D Biase Mercato piazza in agonia Qui solo rifiuti e teppisti Il Mattino 29 giugno 2021 pag. 24
[18] Leonardo Di Mauro Presentazione pag. “Il Castello Del Carmine” Opera citata