Assimilava e rinnovava. La lezione classica di maestri come lo storico dell’arte Ferdinando Bologna e dello scultore Emilio Greco. Lo sguardo sempre affondato nel presente e proiettato verso in avanti. Dai tempi in cui frequentava l’Accademia di Belle arti di Napoli. Fino all’ultimo battito d’arte del 5 marzo di due anni fa, quando ha lasciato la sua bella casa del Paradisiello, a pochi passi dal magnifico orto botanico partenopeo, per riabbracciare, nell’infinito, l’amato figlio Alfredo.
Prima che il suo respiro si spegnesse, di sera, reinventava disegnando su vaschette di polistirolo (per contenere i cibi), dove domina la figura femminile, gli avvenimenti di cronaca che attentamente percepiva ascoltando le notizie dai tg.
Anche su quella affidata come lascito d’affetto (a una delle sue amiche) racchiuso in una potente immagine, una figura quasi primitiva, dal doppio volto, accompagnata da una frase : Li creò maschio e femmina.
E adesso 14 di quelle vaschette possono essere ammirate nello spazio espositivo Lacatena Fine Arts appena inaugurato con la mostra Rosa Panaro. I sogni dell’Uroboros, protette nella loro fragilità da cornici dell’artista statunitense Nicolas Xedro, concepite insieme alla scultrice di Casal di Principe (era molto orgogliosa delle proprie origine casertane) nel periodo in cui le produceva, dal 2019 a 2022.
Questi delicati supporti dalle tinte lievi sono costruiti in cartapesta, lo stesso materiale riciclato cui la scultrice approdò negli anni sessanta, dopo aver sperimentato con Antonio Venditti, antico prof del liceo artistico, un impasto di cemento con amianto che bucava le mani, malgrado i guanti, e dopo aver attraversato l’audace assemblaggio di nylon, stracci, plastica e tubetti di vetro che usavano i dentisti.
E in cemento è la piccola guerriera del 1963 che accoglie il pubblico dell’allestimento (firmato dall’architetta Silvia Lacatena) nelle due sale di via Toledo 292 dove è proposto un gruppo di sette storiche sculture in terracotta e ceramica colorate che, riemergendo dal suo archivio personale, rievocano le metamorfosi di Lilith: affiancano il mito del drago Uroboros che si morde la coda, chiudendo la forma di un cerchio di cui si fa pioniera la suggestiva opera del 1984, la pelle del serpente.
Lilith è angelo/demone nelle religioni della Mesopotamia, si ribella a Dio e a Abramo. Rappresenta l’anima indomita dell’artista che mai accettò il maschilismo dominante sin da quando era una studentessa, nel secondo dopoguerra del secolo scorso, e sempre lottò contro gli stereotipi di una cultura patriarcale. Attraverso visioni oniriche che ha lasciato in eredità alle generazioni future. Lei, una guerriera senza tempo.
Per saperne di più
mail@lacatenafinearts.com
Fino al 19 aprile su appuntamento
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