>A distanza di quattro anni dalla sua ultima fatica editoriale, “Le vie nascoste”, viaggio tra i borghi scomparsi d’Italia, tra le ghost town del’900, Antonio Mocciola torna con “Latte di iena”, pubblicato con La Quercia Editore (pagg.104, 13 euro). Con un linguaggio asciutto ed elegante, l’autore ci accompagna, ci prende per mano in queste ventuno passeggiate nei boschi narrativi (parafrasando Eco), boschi dove i sentieri tracciati da personaggi, sentimenti (negativi ma non per questo meno rilevanti e/o vitali), solitudini, sofferenze, attraversano paesaggi assolutamente in simbiosi con i protagonisti. Il lettore diventa cos spettatore di panorami cupi e desolati, anche laddove questi sembrerebbero improbabili, per cui un “pallido sole” o “erba profumata di menta” non sono mai elementi di una natura benigna, ma, anzi, sintomatici dell’indifferenza, dell’assenza di qualsiasi ruolo consolatorio della Natura di fronte alla Miseria umana.
Potremmo dire che come il Male sembra essere rappresentato nelle sue più diverse forme presenti nei rapporti umani di varia natura con occhio distaccato, cos la Natura partecipa alle vicende descritte con lo stesso distacco, senza offrire ai protagonisti spiragli di bucolica speranza e senza offrire ai lettori possibilit di riconoscimento. I luoghi, come i personaggi, non hanno nomi, non vi sono segni distintivi che non siano quelli a-spaziali e a-temporali dei rapporti, dei legami e delle dinamiche molto spesso crudeli ma umane che i rapporti, proprio perch assolutamente Umani, possono determinare. La scrittura è, come dicevamo, asciutta ed elegante. Mai superflua, neanche quando indugia nel momento descrittivo, che non risulta mai morboso.
Willy Vaira, nell’interessante prefazione a “Latte di Iena”, ha giustamente citato Marziale dei cui scritti i latini dicevano “in cauda venenum”. I racconti di Antonio Mocciola sono, in effetti, colpi di scudiscio, dolorosi certo all’impatto, ma il segno vero e profondo è proprio quello finale, sono i finali, infatti, quelli che ci lasciano disarmati di fronte a noi stessi, alla Verit , la Verit narrata ma, soprattutto, quella lasciata all’immaginazione del Lettore, inerte, impotente eppure inesorabilmente partecipe.
Con grande abilit l’autore utilizza il detto e il non detto, ottenendo l’effetto sorpresa con delle pregevoli ellissi finali che chiudono il suo mondo di narrazione per lasciare posto ad un mondo di immagini in cui il Lettore viene lasciato solo. Ed è bello perdersi nei boschi. Narrativi.
MOCCIOLA HO COSTRUITO UN TEATRINO DARK
Il libro è stata presentato anche all’associazione lucana “Giustino Fortunato”, in via Raffaele Tarantino 4, alla presenza dell’autore, moderatore Maurizio Vitiello, con interventi di Gianmarco Cesario e letture di Annalisa Renzulli.
Incuriosisce non poco questo filo di perle nere che si vanno via via sgranando davanti ai nostri occhi grazie alle parole di introduzione di Maurizio Vitiello, il quale in maniera efficace, rifacendosi a una definizione di Bonito Oliva, sottolinea la “vitalit ” del “Negativo”.
Gianmarco Cesario, con la consueta precisione, suggerisce alla nostra curiosit di fronte a “Latte di Iena”, ulteriori suggestioni. Strindberg, per cominciare. E la dimensione teatrale trova infatti la giusta espressione nelle letture di Annalisa Renzulli. In questa occasione, ne parliamo con l’autore.
Mocciola, da dove nasce il desiderio di dare vita a queste che hai definito “ventuno bomboniere nere”?
Volevo fare un romanzetto Harmony al negativo. L’amore rovesciato non è l’odio, è l’indifferenza. E questi personaggi agiscono e feriscono quasi senza accorgersene. E’ questa la loro malattia. Non c’è davvero coscienza, odiano sovrappensiero. Desideravo costruire un piccolo teatrino degli orrori, e difatti è un libro profondamente dark.
Latte di Iena ha qualche modello letterario o teatrale?
C’è un po’ di Manlio Sgalambro, recentemente scomparso, e un po’ di Fleur Jaeggy, una scrittrice svizzera che pubblica pochissimo, in media un libro ogni otto anni, ma ogni volta è un colpo al cuore. Sono autori molto diversi tra loro, ma accomunati da un pensiero lucidissimo e uno stile asciutto, quasi scarnificato. Una severit che ammiro.
Parlando di Latte di Iena, hai affermato che all’interno degli scritti non vi è consolazione. In effetti sembra sottrarsi ad un ruolo consolatorio anche il paesaggio, quasi in assonanza a quanto di solitudine, di dolore e di immobilismo dell’anima viene descritto. E’ cos ?
S, il fondale in cui si muovono i miei personaggi è composto da una natura maligna, aggressiva, che si mangia le citt , le case, le pietre. Paludi, cimiteri abbandonati, paesi in rovina o inghiottiti dall’acqua. Ma anche le pareti di una casa borghese qualsiasi possono risultare altrettanto sinistre. Anzi, è più interessante.
Di fronte alla Banalit del Male qual è la speranza?
Non è detto che debba esserci per forza una speranza, un lieto fine, uno spi 6 raglio d’ottimismo. Questo nella finzione letteraria, evidentemente. La vita è un’altra cosa. Per fortuna.
In foto, la copertina e l’autore