«Matte siete voi – sbottò – Neanche v’immaginate quanto sia bello fare una cosa per la propria soddisfazione e non per obbligo». Alfonsina Strada poteva accettare la miseria, lo squallore e la tristezza ma non la rassegnazione, non voleva vivere rinunciando solo perché era nata donna.
La bicicletta fu per lei passione e sofferenza in una società, quella della prima metà del Novecento, nella quale alle donne lo sport, come molte altre cose, era precluso.
Osteggiata e respinta dalla sua stessa famiglia pedalò per il gusto della libertà e per andare oltre il limite, gareggiava con se stessa prima che con gli altri, era concentrata sul traguardo da superare: il superamento dell’orizzonte. Ogni giorno si misurava e si metteva alla prova, pedalando, per andare un po’ più in là.
Quando uno sportivo, uno scienziato o un artista dedicava la sua vita a coltivare il talento la società lo lodava riconoscendogli tenacia e passione ma, se a perseguire gli stessi obiettivi era una donna allora no, era una matta che dava scandalo, un fenomeno da baraccone da far esibire in un circo e Alfonsina, per vivere, si esibì anche al circo.
Fin dall’infanzia, da quando conosciuta la bicicletta era nata la suo passione per lo sport, le avevano instillato la convinzione di essere sbagliata, di essere fatta di materiale di scarto, quando propose al direttore della Gazzetta dello Sport di partecipare al Giro d’Italia le rispose: «La gente ha voglia di pace, regole, mentre le cicliste portano un’aria di indisciplina e disordine. Una volgare disobbedienza da dimenticare».
E se questo era quel che pensavano gli uomini c’era, magari, da sperare che le donne la pensassero diversamente, ma no, non era così: «Il ciclismo per la donna non può essere accolto che nella forma turistica, e anche in questa converrà non passare limiti molto modesti e soprattutto non lanciarsi mai a prove di lunga resistenza», scriveva la direttrice de L’Almanacco della donna italiana.
Ma Alfonsina non si dette per vinta e con impegno, fatica, sudore, sacrificio e determinazione arrivò a partecipare al Giro d’Italia nel 1924 conquistandosi il rispetto e la stima di campioni come Girardengo e Coppi.
Viaggiò, le tributarono riconoscimenti e vinse premi aprendo la strada alle tante donne che avrebbero scelto lo sport dopo di lei, il prezzo da pagare fu quello imposto a tutte coloro che si ribellano alle regole sociali dominanti: l’accusa di essere sbagliate, inadeguate, fuori posto e meritevoli di biasimo quando non, peggio, prostitute o incarnazione del diavolo.
Il solo fatto di sfidare un modello sociale in cui le donne siano escluse da ambiti, prerogative, professioni, mestieri e funzioni si configura come un pericoloso attentato all’ status quo da stroncare sul nascere.
Simona Baldelli ci restituisce la memoria di una persona, una donna, attraverso un viaggio interiore profondo e delicato, soffermandosi sugli interrogativi che molte donne si pongono nel corso della loro vita quando compiono scelte considerate contro corrente e sulla difficoltà del rapporto con la propria madre.
Alfonsina con la sua ebbe modo di comprendersi e il loro ritrovarsi è testimonianza del dualismo vissuto in molti rapporti madre-figlia in cui la seconda sceglie di essere diversa dalla prima rigettandone il modello di vita e soffrendo, rammaricandosi, della mancata comprensione ricevuta.
La storia di Alfonsina Strada andrebbe raccontata agli alunni delle scuole per far comprendere che ognuna/o può diventare chi vuole coltivando talento e passione con impegno, dedizione e fatica. Se vogliamo destrutturare gli stereotipi di genere offrendo modelli positivi di ispirazione Alfonsina Strada è un ottimo esempio per tutte/i noi.
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IL LIBRO
Simona Baldelli,
Alfonsina e la strada
Sellerio
pagine 307
euro 17
L’AUTRICE
Simona Baldelli è nata a Pesaro e vive a Roma. Il suo primo romanzo, Evelina e le fate (2013), è stato finalista al Premio Italo Calvino e vincitore del Premio Letterario John Fante 2013. Il tempo bambino (2014) è stato finalista al Premio Letterario Città di Gubbio. Nel 2016 ha pubblicato La vita a rovescio (Premio Caffè Corretto-Città di Cave 2017), ispirato alla storia vera di Caterina Vizzani (1735) – una donna che per otto anni vestì abiti da uomo – e nel 2018 L’ultimo spartito di Rossini. Con Sellerio ha pubblicato Vicolo dell’Immaginario (2019) e Fiaba di Natale. Il sorprendente viaggio dell’Uomo dell’aria (2020)
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