Le disobbedienti/“All’ombra di nessuno”: Tahmima Anam racconta la storia di Asha. Nel mondo degli affari dove le donne partono svantaggiate

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Capita di trovare tra le pagine di un libro frammenti del proprio vissuto e considerazioni su un futuro che è già qui. Il romanzo di Tahmima Anam “All’ombra di nessuno” – appena arrivato in libreria per Garzanti – ha una scrittura fluida, fresca, giovanile e immediata che restituisce la fotografia di una società, quella americana, da cui provengono molte delle innovazioni che raggiungono la nostra quotidianità con uno sfasamento temporale compreso in un intervallo dai tre ai venti anni.
Per quanto noi si viva in un mondo globalizzato alcune cose impiegano ancora tempo a prendere piede dalla parte opposta del pianeta, se ciò sia una fortuna o meno è opinione del tutto personale.
Ambientata nella realtà economica delle start up digitali la storia racconta della vita e della morte al tempo dei social. Asha è una ragazza originaria del Bangladesh con un talento per il coding che re-incontra il suo primo amore ai tempi della scuola e insieme, con lui e il suo amico fraterno, fonda una start up per il lancio di una piattaforma che riguarda il crescente bisogno di spiritualità.
Della trama non svelerò altro, il piacere di scoprire l’intreccio va lasciato intatto. Sugli scenari che la lettura suggerisce e sulle considerazioni che si possono fare, invece, scriverò tutto.
Intanto, la prima cosa che viene da pensare è: qual è il nostro rapporto con la morte? Perché di questo tratta il progetto digitale rivolto a chi cerca risposte per appagare un crescente bisogno di spiritualità, il nostro modello cultuale è diverso da quello americano, molto più impregnato di cattolicesimo e meno di religioni altre, la composizione sociale al di qua e al di là dell’oceano è differente, la multiculturalità è per noi un fenomeno recente, stiamo ancora muovendo i primi passi, perciò se a primo acchito quel che leggiamo può apparire impossibile – a pensarci un poco – comincia a sembrare non così improbabile.
Il secondo quesito che si affaccia alla mente avanzando nella lettura è: come funziona il sesso al tempo dei social? Uno dei personaggi del romanzo crea una app per aiutare le donne a superare la paura dell’abuso, niente chiamate telefoniche a numeri di emergenza quando la violenza è minacciata o già in atto ma qualcosa di completamente diverso, qualcosa che interviene a modificare il comportamento tra individui stabilendo un accordo preventivo.
Prima si stabilisce cosa si può fare e cosa no e poi ci si dedica, lo si fa in un modo che non può che rispecchiare il linguaggio contemporaneo: intuitivo, immediato ed efficace.
Utopia è il nome del luogo in cui la storia si dipana, un incubatore d’imprese che si concentra su una dimensione specifica: l’Apocalisse. Argomento diventato di scottante attualità in questi ultimi tempi. Lo scenario che si prospetta è di quelli con una caratura da novanta, chi legge si trova a riflettere sull’annoso dilemma che contrappone progresso ed etica.
Dove si fissa il limite oltre il quale spingersi/non spingersi in nome dell’avanzata del progresso? Tecnologia e progresso sono da intendersi come sinonimi? Il progresso è il fine o lo strumento per l’evoluzione dell’Umanità? Che cosa una determinata società in un definito momento storico è disposta a sacrificare per andare oltre nella conoscenza? Ritorna prepotentemente sul tavolo il tema della spiritualità: il progresso la sta distruggendo? Quanto la nostra esistenza si è staccata dalla realtà migrando verso un mondo digitale?
Tanti sono gli interrogativi che il romanzo suscita poiché i temi che tratta sono attuali, coinvolgenti e interessanti. «[…]Sì migliorando le macchine, rendendole non più intelligenti ma più gentili, cioè. Più sensibili al dolore degli altri.
Questo è il desiderio di Asha, lavorare sull’intelligenza artificiale per insegnarle l’empatia, l’umana pietas che al di qua dell’oceano impariamo fin da bambini studiando Omero e le gesta delle figure che popolano i suoi poemi.
Ma i desideri di Asha si scontrano con la realtà il cui primo aspetto è la differenza di trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Man mano che l’avventura procede e l’idea originaria prende forma in un’impresa che genera profitto la protagonista comprende una verità: le donne partono da una posizione svantaggiata.
Il doppiopesismo è in agguato, il motore che muove il mondo degli affari, l’ambizione, da valore positivo portante nella sfera maschile assume – quando trasposto in quella femminile – valenza di segno opposto. Cercando delle strategie che possano aiutarla a superare l’handicap matura la consapevolezza che siano le donne stesse a consolidare lo stato di cose che le vede penalizzate: «[…] come ho potuto relegare me stessa al margine? Impossibile per me trovare una risposta, perlomeno non senza mettere in discussione l’ossatura stessa delle nostre vite, dunque evito, lascio che la presenza di Cyrus mi travolga, e questo, come sempre, mi basta».
Asha e Cyrus non sono solo soci ma anche moglie e marito. La dimensione lavorativa e quella personale si sovrappongono e mixano per finire in un frullatore emotivo. Aisha teme di perdere l’uomo che ama, evita tensioni lavorative che possano avere ripercussioni nella sfera privata, fa un passo indietro, in verità più d’uno, per non mettere a repentaglio la felicità di coppia. Per salvaguardare il matrimonio compie delle rinunce che attengono al ruolo lavorativo. Si sminuisce fino a diventare trasparente: «[…] credo in lui più di quanto non credo in me stessa».
Eppure l’idea e il coding sono frutto del suo lavoro… ma poi succedono cose e la protagonista fa degli incontri. Asha viene invitata a una serata di networking tra donne in cui si presentano alcuni role model positivi e questa esperienza la induce a pensare che quando le donne raccontano di quello che hanno realizzato nel proprio lavoro, delle difficoltà che hanno incontrato e superato e fanno squadra tra loro allora le cose possono migliorare e di molto. Asha scopre il girl power.
Ho iniziato scrivendo di frammenti di vissuto, nella vita ho scelto di fare la consulente strategica per le imprese, seguo diverse start up, da oltre trent’anni mi occupo di imprenditoria femminile e otto anni fa ho creato un network femminile, ho avuto un’impresa con un socio in affari e nella vita e – last but not least – mia madre era americana. Perciò sì, posso testimoniare che questo romanzo contiene diverse verità condivisibili.
Prima fra tutte la difficoltà di non incasinare tutto quando si lavora con la stessa persona con cui si è scelto di vivere. Mantenere distinte le due cose è arduo senza sviluppare una preoccupante tendenza alla schizofrenia, le tensioni tracimano da un ambito all’altro e il rischio è quello di non smettere mai di lavorare. Difficile ma non impossibile, impegnandosi si può fare.
L’ambiente economico in cui nascono e crescono le start up digitali, quelle high tech e quelle a basso contenuto tecnologico ma ad alta innovazione di processo americane è del tutto diverso dal nostro, in Italia – per quanto si siano fatti passi da gigante –  facciamo ancora una fatica bestia e il tasso di mortalità delle neonate aziende è alto.
Che il networking fosse, insieme con il dialogo tra le reti, il futuro mi fu chiaro molto tempo fa, ci lavoro da dieci anni ben consapevole che ce ne vorranno altrettanti perché penetri, come abitudine, nella nostra cultura.
Asha scopre, frequentando gli incontri di networking, quel che ho imparato sul campo negli anni: ciò che differenzia le donne dagli uomini non è il talento/l’intelligenza o l’intraprendenza ma l’approccio al lavoro. Le donne sono interessate non soltanto a creare delle imprese e fare business ma anche al modo in cui questo si realizza.
L’empatia che Asha vuole insegnare alle macchine e che la spinge ad amare Cyrus è quella che pratica nel suo modo di lavorare. La storia della giovane protagonista dimostra la validità di un comportamento sociale che ha enormi vantaggi, del resto è una lezione che avremmo dovuto imparare da Darwin: a sopravvivere non sono i migliori ma quelli che hanno maggior spirito adattivo.
Asha, come ognuna/o di noi stabilisce dei paletti al grado di adattività che vuole perseguire. Il romanzo si conclude con la sua matura consapevolezza: «Di una cosa sono più che sicura, però: comunque sia, ho permesso io che si arrivasse a questo punto, mi sono messa io dalla parte sbagliata di quella parete di vetro. Chissà se riuscirò mai a perdonarmelo».
Vorrei poter dire ad Asha di perdonarsi perché nessuno di noi è perfetto, perché alle bambine viene insegnato che devono avere un comportamento educato, rispettoso e modesto senza mai mettere in mostra il proprio talento e la propria intelligenza e infine perché ognuna/o commette errori ma la cosa importante è imparare da questi.
Asha sei brava, ora che lo sai dillo ad alta voce e aiuta le altre a realizzare il proprio percorso lavorativo spezzando quell’asfissiante dose di quotidiana condiscendenza che ci viene riservata, giovani o meno, da una cricca di uomini  e di donne per nulla inclini a far rete.
©Riproduzione riservata


IL LIBRO
Tahmima Anam
All’ombra di nessuno
Garzanti
pagine 280
euro 19
L’AUTRICE
Tahmima Anam è nata nel 1975 a Dacca, in Bangladesh, e vive a Londra. Ha pubblicato articoli e racconti su «The New Statesman» e «Granta» e dal 2013 è opinionista del «New York Times». I suoi romanzi I giorni dell’amore e della guerra (Commonwealth Writers’ Prize per la migliore opera prima) e Il suono del respiro e della preghiera (Selezione Man Asian Literary Prize), e La testimone del tempo (che conclude la trilogia) sono tradotti in tutto il mondo in 23 lingue.

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