Le disobbedienti/ Clelia Romano Pellicano, pioniera del femminismo. Fu giornalista e scrittrice impegnata nel movimento per il diritto di voto alle donne

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In occasione dei cent’anni della morte di Clelia Romano Pellicano (1873 -1923) arriva in libreria “Nuovo e vecchio mondo. Vita e parole di una pioniera del femminismo” un testo nel quale la curatrice presenta la figura di una giornalista e scrittrice impegnata nel movimento per il diritto di voto alle donne: «Inoltre scrive con rammarico di aver ricordato “la parte avuta dalle nostre donne nella gloriosa impresa del risorgimento nazionale” alla quale seguì “L’ingratitudine degli uomini che si erano affrettati a toglier loro il voto amministrativo di cui godevano, in Piemonte e in Toscana, prima che l’Italia assurgesse a dignità di nazione».
Clara Stella, fondatrice della casa editrice Le plurali dedicata esclusivamente ad autrici, vuol restituire alla memoria collettiva una figura di primo piano nella battaglia per il suffragio femminile in Italia.
Nipote di un generale garibaldino e figlia di un barone deputato del Parlamento italiano nel 1870 Clelia Romano crebbe in un ambiente di stampo mazziniano colto, cosmopolita e politicamente impegnato, studiò l’inglese e il francese e nel suo salotto incontrò uomini e donne di pensiero, si sposò a sedici anni vivendo tra Gioiosa Ionica, Napoli, Roma e Castellammare di Stabia in provincia di Napoli.
Fu delegata a partecipare al quinto congresso internazionale delle donne del 1909 come rappresentante italiana e di quella esperienza scrisse per la rivista torinese “La Donna”: «Io narrai, per l’Italia, le nostre lotte, le nostre speranze, non potendo ahimé, parlare di conquiste e vittorie».
Per votare le donne italiane dovranno attendere il 1945 quando, ancora una volta, il doppiopesismo sociale chiederà loro di ritornare tra le mura domestiche lasciate per andar a lavorare durante il periodo bellico. La storia si ripete, quando c’è bisogno delle donne si “concede” loro di accollarsi fatica e impegno salvo poi, una volta passata l’emergenza, imporre il ripristino dello status quo ante, un rientrar nei ranghi. Romano è consapevole che la battaglia per l’ottenimento del voto rientra nel più ampio processo di cambiamento culturale volto al raggiungimento di una sostanziale parità tra gli uomini e le donne che passa per diversi aspetti: economico, sociale, politico.
Scrive Stella:«[…] sostiene la necessità di una rivoluzione educativa e culturale che sradichi del tutto la sessualizzazione del cervello delle donne italiane, liberandole dalla spada di Damocle del peccato originale cristiano. Dopo Londra Pellicano combatte per il voto e alza la posta in gioco: le donne devono ottenere non solo la rappresentanza politica, ma anche l’abbattimento degli stereotipi che legano la loro figura e il loro essere alla peccaminosità. Insomma, Pellicano vuole proprio andare al nocciolo fondativo della misoginia».
Il congresso fu occasione di incontro tra rappresentanze di molti Paesi, fu un modo per confrontare i percorsi avviati nelle diverse realtà e scambiare opinioni, idee propie di culture differenti: «Ricordatevi voi donne d’ogni razza, d’ogni paese – da quelli dove splende il sole di mezzanotte a quelli in cui brilla la Croce del Sud – qui convenute nella comune aspirazione alla libertà, all’uguaglianza, strette da un nodo di cui il voto è il simbolo, ricordatevi che il nostro compito non avrà termine se non quando tutte le donne del mondo civilizzato saranno sempre monde dalla taccia di incapacità, d’inferiorità di cui leggi e costumi l’hanno bollate finora!».
Nel 1914, al summit femminile mondiale, si riprenderanno i temi indicati da Clelia Romano: diritto al lavoro, giusta retribuzione, tutela del lavoro e diritto di voto. Nel 1909, rimasta vedova, guidò le imprese agricole di famiglia dove si allevavano i bachi per la produzione della seta e ne creò una ad hoc per rendere redditivo il patrimonio boschivo.
Ebbe una visione marxista e internazionalista, osservò la condizione delle donne in Calabria nell’ambiente rurale e in quello operaio, si adoperò per un cambiamento sociale che fosse sostanziale e mal tollerò la mancanza di solidarietà delle donne che, arrivate all’apice, non si prodigavano – e tuttora assai raramente accade lo facciano – nei confronti di chi fatica a trovare uno spazio di affermazione e una vita dignitosa.
Oltre che giornalista, Clelia Romano Pellicano fu anche scrittrice, attività per la quale scelse lo pseudonimo di Jane Grey, la sfortunata regina d’Inghilterra del XVI secolo vittima della brama di potere della famiglia che le consentì di regnare per soli nove giorni prima di essere decapitata per volere della sorella Maria.
Con questo pseudonimo firmò la prefazione de “La donna e la legge” di Carlo Gallini (1872) in cui formula la tesi circa la sessualizzazione del cervello delle donne e riprende un concetto espresso, ottant’anni prima, da Mary Wollstonecraft in un testo dalla portata rivoluzionaria non solo perché scaturito dai fatti di Parigi “A Vindication of the Rights of Woman” (1792): «Le mie simili vorranno scusarmi se le considererò alla stregua di creature razionali piuttosto che adularne le grazie seducenti e trattarle come se fossero in uno stato di perpetua fanciullezza, incapaci finanche di sostenersi sulle proprie gambe. Desidero ardentemente mostrare in che cosa consistano la vera dignità e la felicità umana. Desidero esortare le donne a impegnarsi ad acquisire forza, sia fisica che mentale […]».
Dell’appello di Wollstonecraft trovo eco e consonanza nelle parole di Romano che fanno da introduzione alla trattazione su donna e legge: «Quando penso che sulla donna è stata compiuta la più mostruosa violazione che tirannide collettiva abbia mai consumato nel campo del pensiero, quella di “sessualizzarne” anche il cervello, negandogli il vital nutrimento e i liberi orizzonti necessari al suo normale sviluppo, che in lei si sono andati soffocando gusti, aspirazioni, tendenze e di un intero sesso si è fatta una specie di casta sacerdotale anchilosata nei sempiterni gesti del domestico rito […]».
Lo spessore culturale, unito all’osservazione sociologica e un piglio ironico, conferiscono godibilità ai racconti in cui Romano si sofferma sui rapporti tra moglie e marito, scelti come soggetto e ambientazione per rappresentare la società del proprio tempo che si muove sullo sfondo del paesaggio napoletano, di quello della penisola sorrentina e della provincia salernitana, tutti luoghi descritti con lirico trasporto per la bellezza del paesaggio naturale.
Nel testo curato da Stella leggiamo racconti, raccolti e presentati, con l’intento di far emergere la poliedricità della protagonista: preparata conferenziera, acuta giornalista, innovatrice sociale e arguta e ironica scrittrice. Una donna che visse in un’epoca di transizione tra l’Ottocento e il Novecento quando il cambiamento sociale si imponeva perché dettato da un’evoluzione economica e politica.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Clelia Romano Pellicano, Nuovo e vecchio mondo. Vita e parole di una pioniera del femminismo, a cura di Clara Stella,
Le Plurali
Pagine 173
euro 14
L’AUTRICE
Clara Stella ha scoperto la figura poliedrica di Clelia Romano Pellicano e se ne è innamorata, studiandola a fondo e impreziosendo il volume con un’accurata introduzione. Co-fondatrice ed editor per #leplurali e ricercatrice universitaria nel dipartimento di Filologie Integrate di Siviglia si è laureata a Padova in Filologia e critica letteraria, ha un dottorato di ricerca conseguito in Inghilterra e successivamente ha ottenuto una Marie Curie Fellowship presso il Dipartimento di Storia delle Idee alla University of Oslo, in Norvegia. I suoi ambiti di interesse sono la scrittura delle donne tra Cinque e Seicento, il pensiero politico-intellettuale delle donne nel Rinascimento e lo sviluppo letterario e storico della misoginia.

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