Le disobbedienti/Donne medievali: Chiara Frugoni racconta le storie di protagoniste indomite e avventurose. Dalla grancontessa Matilde di Canossa all’imprenditrice Margherita Datini

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2004

Il Medioevo appare, assai spesso, come un lungo intermezzo storico – tra un prima e un dopo pieno zeppo di scoperte, rivoluzioni e frenesie di una umanità in preda al dinamismo spinto – in cui gli accadimenti hanno il carattere della lentezza.
Fredde e desolate lande europee in attesa dell’arrivo di tempi migliori. Guerre, carestie, schiene curve sui campi, cavalieri, tornei, draghi e principesse rinchiuse in alte torri merlate. Ma durante questo lasso di tempo dilatato cosa facevano e come vivevano le donne? La domanda non è peregrina poiché a loro era preclusa – salvo casi eccezionali – l’istruzione e per tutte – salvo casi rari assai come quello di Giovanna d’Arco – il destino era confinato tra la vita matrimoniale e quella monacale.
Il perimetro esistenziale si sostanziava di mura: quelle domestiche o le conventuali. Queste ultime risultavano, per certi versi, preferibili poiché consentivano la possibilità di una istruzione e accordavano la libertà dalla coercitiva vita coniugale: «In monastero le donne non venivano picchiate, non rischiavano di morire di parto e, soprattutto, avevano quella stanza tutta per sé che secondo Virginia Woolf è indispensabile per poter realizzare il proprio talento» scrive Chiara Frugoni in “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose».
Un bel libro che restituisce volume al piattume cui – a torto o a ragione – noi non addetti ai lavori siamo portati ad associare il Medioevo. L’autrice, studiosa esperta del Medioevo e di Storia della Chiesa, ci accompagna in una passeggiata nei secoli del feudalesimo, dove la strada per la sopravvivenza delle donne era quella della sottomissione e l’obbedienza.
Il cammino inizia con l’illustrazione dell’importanza del ruolo svolto dal cattolicesimo e dall’istituzione di Santa romana Chiesa. Conosciamo il pensiero di san Bernardo sulle donne sposate – sirene tentatrici dedite alla perdizione da cui guardarsi – e quello di san Paolo per cui le donne – tutte – sono l’incarnazione del peccato e di ogni nequizia. Creature lordate da aspetti carnali condannate ad occupare un rango inferiore a quello dell’uomo, la loro è una posizione di subalternità e silenzio.
Interessante la disamina e l’argomentazione sulla differenza di posizione tra i santi detrattori delle donne e Gesù Cristo che, a leggere i vangeli, sembra la pensasse in maniera diversa. Accanto alle parole le immagini.
Il potere e l’immediatezza delle immagini non è strategia comunicativa scoperta ai giorni nostri, trattasi di cosa ben nota nei millenni addietro: le miniature erano strumento divulgativo e leggiamo l’accurata decodifica che getta luce sul passato in modo preciso e coinvolgente.
Il corredo iconografico del testo è pregevole e impreziosisce la pubblicazione. Le miniature, valido ausilio anche per la trasmissione dei valori sociali fondanti nel percorso di istruzione dei giovani uomini, mostrano quanto questi fossero permeati – durante l’apprendimento del latino – da rappresentazioni figurate in cui le donne apparivano in posizione di totale subalternità e sottomissione.  
Le immagini fotografano e conferiscono significato alle pietre miliari su cui la società si poggia, tra queste non poteva mancare quella ritenuta all’epoca angolare: la rischiosità di accostarsi alle donne.
L’autrice riporta un testo dell’abate e santo Oddone di Cluny: «La bellezza del corpo sta solo nella pelle. In realtà se gli uomini potessero vedere ciò che è sotto la pelle, come si dice delle linci della Boezia che possono vedere le interiora, la vista delle donne darebbe loro la nausea. Questa bellezza consiste in flemma, sangue, umore e fiele. Se vedessero che cosa hanno in gola, e che cosa nel ventre, troverebbero senza dubbio solo lordura. Mentre non sopportiamo di toccare uno sputo o un escremento nemmeno con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare questo sacco di escrementi?”».
Anche in tempi così oscuri, però, ci furono donne che tracciarono un cammino diverso da quello loro imposto, in Donne Medioevali ne conosciamo cinque, o forse dovremmo dire quattro… Radegonda di Poitiers, Matilde di Canossa, la papessa Giovanna, Christine de Pizan e Margherita Datini.
La vita e le scelte di Radegonda, regina e monaca, sono ricostruite attraverso una pluralità di fonti che consente di scorgere profondità e chiaroscuri, Venanzio Fortunato – affermato scrittore e diplomatico – la racconta come una santa mentre Baudonivia, monaca che si propone come biografa, ne traccia un profilo umano di donna.
 Alla seconda figura femminile presentata, Matilde di Canossa, non difettavano carattere, intraprendenza e determinazione qualità che – poiché non attribuibili a una donna – resero necessario una sua trasmutazione in virago, una creatura dotata di animo e caratteristiche maschili. Il suo operare tra i potenti – papi e imperatori – richiedeva la legittimazione riconosciuta agli uomini, non al suo sesso.
Della papessa Giovanna quanto abbiamo letto e sentito parlare? Come per l’immediatezza dell’immagine anche per la potenza del racconto non si tratta di scoperta recente: il racconto è lo strumento con cui depotenziare la paura, creare miti e leggende, sminare i rischi, indebolire il nemico e affermare la propria verità. Affermare la propria verità è vitale per affermare un modello socio-politico e perpetuare lo status quo.
Una papessa non è mai esistita, è pura invenzione per screditare le donne e affermare la loro inadeguatezza e incapacità a gestire il sacro. Il governo e il monopolio della sacralità e delle sue liturgie cattoliche – quindi il potere che ne deriva – è di esclusivo appannaggio maschile.
La papessa è la parabola costruita ad arte per suffragare le tesi che vogliono le donne subdolamente astute, ingannatrici, bugiarde, fallaci e pericolose. Il circo è stato in piedi per tre secoli, tre secoli di menzogne. (1250-1550).
La penultima protagonista che incontriamo tra le pagine è Christine de Pizan, la prima donna che procurò il sostentamento per sé e per la propria famiglia grazie alla professione riconosciuta di scrittrice.
All’indomani della morte del marito e del padre
, responsabile di figli, madre e nipote, dovette diventare capofamiglia facendo affidamento sul proprio intelletto.
Come accaduto per Matilde di Canossa anche Christine de Pizan, per acquisire autorevolezza, dovette spogliarsi delle connotazioni femminili, in sogno vide sé stessa cambiare: «Mi sentii molto più agile del solito, il mio volto era mutato e indurito e la mia voce era diventata profonda e il corpo più forte e snello, ma dal dito era caduto l’anello che Imeneo mi aveva donato. […] Mi ritrovai con un animo forte e ardito, in cui mi stupivo, ma capii di essere divenuta un vero uomo».
Per essere accettata in un mondo maschile bisogna acquisirne le sembianze, verità questa protrattasi fino agli anni Ottanta del XX secolo in cui le prime donne che conquistarono un lavoro in ambito maschile dovettero mimetizzarsi mantenendo un profilo basso anche attraverso l’adozione di un abbigliamento androgino: tailleur giacca e pantalone con spalline imbottite in colori neutri, mocassini bassi, acconciatura austera.
A rompere gli schemi affermando la propria identità femminile arrivò Marisa Bellisario, ma questa è un’altra storia e tornando a quella interessante e dallo stile narrativo fluido e coinvolgente di Chiara Frugoni, leggiamo che Christine de Pizan scrisse, molto e bene, la sua voce, divenuta simil maschile, fu ascoltata dagli altri uomini.
Christine seppe promuovere il proprio lavoro attraverso un marketing attento e strategico, dando indicazioni ai miniaturisti/e fece introdurre nelle immagini a corredo dei testi la sua persona abbigliata nell’uniforme scelta: abito blu e velo bianco a coprire i capelli. L’equivalente di tailleur giacca e pantalone con spalline imbottite in colori neutri, mocassini bassi, acconciatura androgina.
La “Città delle Dame” (1405) è il suo contributo allo scardinamento degli stereotipi sulle donne, stanca di ascoltare e leggere ogni sorta di bugia e nefandezza nei riguardi di metà del genere umano decise di creare un luogo ideale dove far convergere storie e memorie di donne, ce ne era bisogno allora come adesso, l’importanza degli odierni role model lo conferma.
Prima di lei Boccaccio si era cimentato in un testo che raccontava donne famose, le centoquattro presentate nel “De mulieribus claris” (1362), va da sé che il punto di vista di un autore è diverso da quello di un altro/a e quello della de Pizan è basato su una allegoria che ne delinea la struttura.
Ragione, Rettitudine e Giustizia costruiscono un edificio dove custodire le storie e la memoria di donne, di cui seguire la virtù si sarebbe detto un tempo, da cui trarre ispirazione diciamo oggi.
Rettitudine e Giustizia saranno d’ausilio nell’individuazione di sante, regine, guerriere e dame mentre Ragione sosterrà – con la zappa dell’intelligenza – la scrittrice nella sua opera di edificazione.
«Le donne non hanno l’esperienza di tante situazioni differenti, ma limitandosi alle occupazioni domestiche, restano a casa, ma non c’è niente di più stimolante per un essere dotato di ragione che un’esperienza ricca e varia» sono le parole di Christine de Pizan, una convinzione la sua che altre dopo di lei condivisero: la presunta debolezza delle donne addotta dagli uomini per escluderle dalla sfera pubblica rischiava di tramutarsi in astenia dovuta all’assenza di stimoli, le donne non erano deboli ma rischiavano di diventarlo per la deprivazione intellettiva cui erano costrette.
Ultima tra le donne presentate Margherita Datini. Nata nella seconda metà del Trecento e andata in sposa sedicenne a un ricco mercante di lei leggiamo che era intelligente, dotata di buon senso e di spiccate doti organizzative.
Incapace di generare un erede si dedicò ad amministrare la casa e affiancare il marito negli affari attraverso una fitta corrispondenza. Margherita aveva appreso i rudimenti della scrittura limitati alla lettura e l’apprendimento mnemonico dei testi sacri, non era preparata per amministrare affari mercantili. Imparò. Imparò e si impegnò anche per riscattarsi dalla mancanza: non potendo dare un erede al marito quel che faceva lo faceva in modo eccellente.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Chiara Frugoni,
Donne medievali

Sole, indomite, avventurose
Il Mulino
Pag 404
euro 40,00
L’AUTRICE
Chiara Frugoni, specialista del Medioevo e di Storia della Chiesa, ha insegnato Storia medievale in diverse università, tra cui quelle di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi libri si segnalano: Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali (Laterza, ultima rist. 2014), per Einaudi Quale Francesco? (2015) e Senza misericordia (con S. Facchinetti, 2016), per il Mulino Vivere nel Medioevo. Uomini, donne e soprattutto bambini (2017) e Uomini e animali nel Medioevo. Storie feroci e fantastiche (2018), Paradiso vista inferno (2019) e Donne medievali. Sole, indomite, avventurose (2021). I suoi saggi sono tradotti nelle principali lingue

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