Le disobbedienti/ Elvira Coda Notari, pioniera del cinema. A New York, raccontò Napoli per gli immigrati

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Donne che hanno fatto la storia del cinema in Italia: quali sono i nomi che vi vengono in mente? Elvira Coda Notari in quanti la conosciamo? Nata a Salerno nel 1875 arrivò nel 1902 con la famiglia a Napoli dove scoprì le pellicole, la macchina da presa e un mondo pionieristico che l’affascinò. La racconta Flavia Amabile in “Elvira”, da poco uscito per Einaudi.
Una combattente tenace e determinata che dal colorare le immagini sulla pellicola arrivò alla creazione di una casa cinematografica, la Dora Film, in cui fu scrittrice, sceneggiatrice, regista, responsabile commerciale e imprenditrice a tutto tondo. I suoi soggetti sono l’avanguardia di quel che sarà il neorealismo italiano, il racconto dei quartieri brulicanti di vita e miseria di Napoli ma, soprattutto, il racconto della vita delle donne: «È vero, ha scelto una storia triste. Ma è la vita delle donne, un tempo che scorre per sottrazione, toglie libertà e speranze alle bambine fino a ridurre la loro esistenza da adulte a una parentesi tra decisioni altrui, farle capire che scrivere storie tristi è necessario, che mostrare le vite di donne uccise, abusate, umiliate è giusto. Perché ogni film è uno squarcio nel silenzio».
L’autrice, attraverso il dialogo interiore della protagonista, rappresenta le sfide quotidiane di una donna piena di talento che non si arrende ai limiti imposti al suo sesso: «Le sembra di essere in guerra da quando è nata, mezzo secolo di scontri per essere semplicemente sé stessa».
Le vicende private, il matrimonio e la nascita dei figli, si intrecciano con la strada in salita per realizzare film molto diversi da quelli in voga in cui attrici dalla recitazione impostata, affettata ed esagerata – come Francesca Bertini – si muovono in un mondo lontano da quello della quotidianità delle persone che popolano le viscere di Napoli.
Lei vuole autenticità ed emozioni, vuole che chi compra il biglietto si emozioni, si immedesimi nella storia vivendola: «Voi siete quello che fate. Non recitate, siete il vostro personaggio, non dimenticatelo! – si raccomanda» è quello che insegna agli allievi della scuola di recitazione che fonda.
Comprende la rivoluzionarietà del sincrono tra immagine e suono e la necessità di innovare continuamente perché il cinema si evolve e bisogna saper anticipare, non rincorrere. Riprese in esterna con la scelta dei luoghi, quelli che la lingua inglese indica con una parola tanto abusata da esser diventata oggi sinonimo di ristoranti per banchetti nuziali: location, riprese in interno con uno studio di posa, il montaggio, la post produzione, il marketing, la pubblicità e gli accordi con i distributori.
Elvira seguiva l’intero processo di genesi di un film, fase dopo fase. Il marito, comprendendo il suo talento, si concentrò sulle riprese lasciandole tutti gli altri ruoli: scrivere i copioni, scegliere gli attori e le musiche anche se avrebbe voluto trame diverse in cui non ci fossero sempre donne abusate e condannate a subire violenze.
Elvira non demorde, vuole accendere i riflettori su quegli aspetti che si finge di ignorare, le sue figure femminili sono passionali, mal sopportano la supremazia maschile e si ribellano alla sottomissione. Quando incontra fornitori, giornalisti e imprenditori questi non le rivolgono la parola, cercano il marito. Una situazione che ahinoi, a distanza di oltre un secolo, ancora si verifica in certe zone del Paese!
La critica non la ama, è il pubblico del ventre della città a decretarne il successo, non la ama neanche una donna da lei apprezzata: Matilde Serao, ha piena consapevolezza della distanza sociale che le divide: «I salotti stiano dentro i salotti. I vicoli sono terra mia».
Al marito che cerca di smussare i tratti decisi e inflessibili del suo carattere per mitigare i pessimi rapporti con la stampa risponde: «Le nostre armi sono le pellicole, le immagini, le storie». Il sacro fuoco che aveva dentro era questo: raccontare le storie, quelle della sua città per come la vedeva pulsante di vita ogni giorno, senza infingimenti, nei vicoli con gli scugnizzi e l’umanità dolente, insieme con l’altro volto, quello degli scenari naturali con la possenza del Vesuvio e la bellezza struggente del mare del Golfo. Documentari, film, riprese.
Tutto le interessava, ogni pensiero che potesse acquisire dinamicità e catturare l’attenzione. Quando il regime le imporrà una censura stringente racconterà Napoli oltre oceano diventando gli occhi e le orecchie dei tanti emigrati: « ’O Maronna mia, e questi come vivono da anni senza il Carmine? Glielo dobbiamo portare! […] Devono raccontare un luogo, non una storia. Devono saziare la nostalgia, non la noia».
Sempre attenta ai gusti e le aspettative del pubblico si dedica a un nuovo filone che ancora non conosce la scure della censura, alimenta il cordone ombelicale che lega gli emigranti alle terre meridionali da cui sono dovuti partire, immagini e suoni per tenere viva la memoria, spolverare i ricordi e mantenere la tradizione e la ritualità antropologica che definisce una comunità.
L’immagine dell’Italia che si diffonde a New York è la sua. Le comunità di immigrati delle aree rurali di diverse regioni meridionali le commissionano documentari e lei e il marito si inerpicano a dorso di mulo in paesi arroccati in colline dimenticate per riprendere con la cinepresa feste patronali e ricorrenze.
Da meridionale e imprenditrice la protagonista si sofferma sulle differenze, che vede aumentare sempre più, tra il Nord e il Sud, ha una identità culturale molto forte che la definisce e la lega alle persone a cui vuol dare voce: «Non ci sono scelte senza rinunce. Ci sono scelte senza dignità. Non avrebbe mai potuto smettere di raccontare il desiderio di libertà delle sue donne, o la miseria di chi vive nei vicoli di Napoli, senza rinnegare la sua esistenza precedente, smettere di essere Elvira Notari».
Negli Stati Uniti, dove apre una filiale della Dora Film, non andrà mai, sarà il figlio Eduardo a conoscere l’altro lato del mondo dove arrivano le immagini da loro confezionate per chi non può più vedere il Vesuvio ma ha la possibilità di costruirsi un futuro: «Tra i napoletani d’America si lavora, si guadagna, si spende. Tutto appare possibile, anche l’impossibile. A Napoli, invece, tutto appare impossibile, anche il possibile. È una città spenta e inesorabilmente ferma, un nobile galeone alla deriva».
Sono parole che si affacciano alla mente più d’una volta a chi, come me napoletana, ha scelto di non andar via ma continuare a lottare nella convinzione che se fossimo andati via tutti sarebbe morta anche la speranza.
Elvira era coraggiosa, volitiva e determinata ma non aveva le risposte in tasca, i dubbi e le incertezze li teneva per sé cercando la quadra tra il portare avanti un progetto d’impresa, mantenere unita la famiglia e barcamenarsi tra le difficoltà.
Chi sceglie di dare concretezza ai sogni facendoli diventare progetti ha vita dura, chi si mostra determinato e intraprendente appare, agli occhi degli altri, incrollabile. Elvira ha lottato per esprimere quella creatività che la rendeva così diversa dalle altre ragazze, ha combattuto per mantenersi indipendente e non tradire le proprie idee, ha aperto strade mostrando un mondo nuovo.
Mi piacciono le biografie ariose in cui i personaggi hanno carattere e sentimenti e si muovono in luoghi di cui chi scrive riesce a far sentire gli odori e i suoni immaginando i colori.
Flavia Amabile dissemina tra le pagine la sensazione che si prova a camminare sul basolato sconnesso reso insidioso dall’acqua che pescivendoli, donne che vivono nei bassi affacciati sui vicoli o semplicemente la pioggia spargono, le voci dei ragazzini e quelle dei venditori ambulanti che si rincorrono insieme con i rumori che l’umanità sprigiona. Tutte sensazioni che si possono vivere ancora oggi attraversando una parte della città che non ha perso le caratteristiche di inizio secolo. Un testo intenso ma pieno di levità.
Nel 1930 la Dora Film termina l’attività ed Elvira chiude il cerchio tornando nel paese natio, Cava de’ Tirreni in provincia di Salerno, dove morirà sedici anni dopo. Cosa accadde in questo scorcio finale lo racconta, con delicatezza, l’autrice che di Elvira Coda Notari ci restituisce la memoria, la storia, il talento e il coraggio: «Dentro quelle carezze ci sono le vite di tutte le donne che ha raccontato. Vite piene, tormentate, contrastate, ribelli, perdenti. Libere».
Sono sempre più le donne che traggono dall’oblio altre donne. Nascoste, oscurate, obliate e ricoperte dal silenzio tornano alla luce grazie a studiose, giornaliste e scrittrici che rendono giustizia al talento, la tenacia, la determinazione e il coraggio di chi sfidando le regole sociali della propria epoca ha scelto di non mettere a tacere le proprie idee pagandone il prezzo.

©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Flavia Amabile,
Elvira
Einaudi
pagine 328
euro 18

L’AUTRICE
Flavia Amabile è nata a Salerno e vive a Roma. È scrittrice e giornalista de «La Stampa». Per Einaudi ha pubblicato Elvira (2022).

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