Le disobbedienti/ Haydée Santamaría, un fiore senza paura. Nel romanzo d’esordio, Amina Damerdji racconta la rivoluzione cubana attraverso lo sguardo di una grande donna

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Un’opera prima per raccontare la rivoluzione cubana attraverso la voce di una donna in prima linea: Haydée Santamaría, una figura del Novecento di cui non abbastanza persone conoscono la storia e le scelte coraggiose.
 In “Un fiore senza paura”, da poco in libreria per Neri Pozza, Amina Damerdji scrive del ventunesimo anniversario della Rivoluzione, il 26 luglio 1980, in cui la donna consideratane la madre, una figura di spicco della cultura cubana, veste l’uniforme seduta tra i dirigenti, non lontana da Fidel Castro.
La protagonista ritorna con la memoria alla giovinezza ripercorrendo i sentimenti, le speranze e i sogni che animarono un gruppo di ragazzi e ragazze il cui progetto culminò nel tentativo di assalto alla caserma Moncada.
«Ma guardati, insomma! Non ti resta che metterti i pantaloni». Ha avvicinato la faccia alla mia e ha bisbigliato: «Sembri un maschio, figlia mia» sono le parole che la madre rivolge a Haydée ricordandole che la cosa importante, per una ragazza, è sposarsi e stare attenta a non farsi mettere in cinta.
Abel, è lui a coinvolgerla, motivarla e introdurla nel gruppo dove si troverà in compagnia di uomini e di altre due donne. Abel, il fratello che condivise il comando dell’insurrezione con Fidel Castro.
La storia che leggiamo è quella di una ragazza che lotta per la libertà del suo popolo e del suo paese, di una donna che vive con coraggio la convinzione propria e connaturata alla gioventù: la certezza di poter migliorare il mondo cambiando le cose.
Nel suo caso, però, il cambiamento non è un gioco da tavolo bensì pericolosa azione politica intrapresa contro un regime repressivo. Mesi di riunioni, la fondazione di un giornale clandestino e l’addestramento militare insieme con il nascere di amori, amicizie e passione politica per arrivare al fallimento di un’azione di insurrezione nei confronti del regime di Fulgencio Batista.
La battaglia durò poco, il fratello Abel e il fidanzato Boris Luis Santa Coloma furono torturati e uccisi dopo l’arresto mentre lei e Melba Hernandez Rodriguez andarono in carcere. Il suo compito fu raccontare la verità su quanto era accaduto, evitare che i fatti venissero riportati in modo diverso e addomesticato, la missione che si dette fu quella di testimoniare la genesi, le motivazioni e il progetto politico che aveva portato all’assalto della Moncada e rimettere insieme i pezzi del movimento rivoluzionario cubano.
Si dedicò con anima e corpo profondendo tutte le sue forze per portare avanti il progetto condiviso con chi non c’era più: una Cuba liberata. Fondò e diresse la Casa de las Americas riunendo le voci degli intellettuali e partecipò al processo politico per oltre un ventennio successivamente all’assalto – ma il passare degli anni lascia il suo segno – e tra le pagine incontriamo i pensieri di una Haydée cambiata che, guardando chi tenta la fuga in barca per raggiungere gli Stati Uniti nutrendo la speranza di un futuro migliore, non viene minimamente sfiorata dall’idea di denunciarli perché: «non si trattiene qualcuno deciso ad andarsene. Non soltanto da Cuba, ma da tutto, anche dalla vita».
A fuggire da Cuba sono in tanti e lei fa fatica a comprendere perché Heberto Padilla, un poeta, sia sepolto in carcere da anni.  È l’unica donna del Comitato centrale e con lucido disincanto vede la differenza di coinvolgimento da parte dei cubani in piazza per celebrare l’anniversario di un giorno di luglio che lei non ama ricordare, i più anziani hanno ancora memoria di quanto avvenne e commemorano mentre i più giovani non si sentono parte in causa, sono venuti perché portati da qualcuno ma non si riconoscono nei discorsi pronunciati.
Ascoltiamo le sue considerazioni sul modo in cui ha convissuto con il dolore per la perdita degli affetti, una ferita mai rimarginata, sul come sia venuta a patti con il ricordo delle torture subite in carcere, con la depressione, con la lotta e l’impegno politico, con i fantasmi e – infine – di come, sempre avvenuto nella sua vita, compie la sua scelta.
Haydée Santamaría sceglie di suicidarsi dopo la celebrazione di un anniversario che rievoca solo dolore, disillusione e senso di fallimento.
Chi legge questa rubrica sa che la motivazione che mi ha spinta a darle vita – e mi accompagna da quasi due anni – riposa nella convinzione che le storie delle tante donne sepolte nelle pieghe del tempo meritano di esserne tratte affinché le loro vite e le loro scelte coraggiose nell’infrangere le regole sociali della propria epoca siano conosciute.
Grazie alla loro determinazione e tenacia nuove strade sono state aperte e grazie alle autrici e gli autori, che ne raccolgono il testimone dando voce alle loro idee e battaglie, le nuove generazioni possono interiorizzare un modello sociale in cui non esistano ruoli, cariche rappresentative istituzionali e professioni distinte per uomini e donne.
Ogni storia di vita di una donna che ha sfidato gli schemi sociali esistenti per rivendicare il diritto ad esprime idee, coltivare il talento, studiare, partecipare alla vita pubblica e scegliere il proprio destino diventa patrimonio comune. Oggi la storia di Haydée Santamaría scritta da Amina Damerdji si aggiunge all’affresco corale che via via si va componendo restituendoci la verità di un passato fatto non solo di uomini.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Amina Damerdji,
Un fiore senza paura,
Neri Pozza
pagine 238
euro 18
L’AUTRICE
Amina Damerdji è nata nel 1987 in California ed è cresciuta in Algeria fino allo scoppio della guerra civile. Poi si è trasferita in Francia, dove ha cominciato a occuparsi di poesia, fondando la rivista La Seiche, pubblicando raccolte e realizzando performance poetiche. Ha studiato a fondo la censura politica della poesia rivoluzionaria cubana e dal suo interesse è nato questo romanzo d’esordio, che è stato il libro di punta per Gallimard della rentrée littéraire 2021.

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