Le disobbedienti/ “Hilla von Rebay. La donna dell’arte” raccontata da Luca Berretta. La pittrice tedesca che fece conoscere l’avanguardia europea negli Stati Uniti

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“Un artista non dipinge ciò che vede, risponde a se stesso riguardo a ciò che ha visto, e a ciò che sente”. Ancora donne e arte per #ledisobbedienti perché tante sono le autrici e gli autori impegnati nella ricostruzione delle storie di artiste del passato poco note o del tutto nascoste nelle pieghe del tempo. Leggere i saggi e le biografie a loro dedicati getta luce sulla numerosa presenza delle donne in un settore, troppo a lungo, rappresentato come di esclusivo appannaggio maschile.
Luca Berretta, per la collana Femminile singolare di Morellini, racconta “Hilla von Rebay. La donna dell’arte” pittrice e curatrice della collezione di Solomon e Irene Guggenheim.
La baronessa Hildegard Anna Augusta Elisabeth Rebay von Ehrenwiesen (Strasburgo 1890 – Greens Farm (Connecticut) 1967) studia a Parigi e a Monaco, viaggia in Europa incontrando agli inizi degli anni Venti i pittori della corrente di “arte non oggettiva”, a Zurigo frequenta l’ambiente dadaista del cabaret Voltaire e conosce Kandinsky, a Berlino espone alla galleria d’arte berlinese Der Sturm e incrocia la strada con Max Ernst e Rudolf Bauer.
Bauer sarà l’unico uomo cui si legherà affettivamente pur consapevole dell’impossibilità di mantenere nel tempo una relazione. Nel 1927 parte per New York lasciando per sempre l’Europa, la sue seconda vita inizia con l’incontro e la conoscenza di Solomon R. Guggenheim, ricco collezionista d’arte incuriosito dalle avanguardie artistiche europee, che dieci anni dopo il suo arrivo oltreoceano le affiderà la direzione artistica della sua collezione e nel 1939 la guida del primo museo di arte non figurativa a Manhattan.
Durante la seconda guerra mondiale Hilla von Rebay riuscì ad aiutare diversi artisti facendo crescere l’interesse per l’arte europea attraverso la pittura astratta. Spese tutte le energie concentrandosi sul lavoro affidatole e condiviso con Solomon R. Guggenheim e si dedicò alla costruzione di un museo di nuova concezione che potesse, al meglio, contenere e valorizzare le opere acquistate negli anni attraverso un progetto visionario affidato a Frank Lloyd Wright: il museo Guggenheim di New York. L’inaugurazione ci fu nel 1959 ma in sua assenza poiché, dopo la morte di Solomon R. Guggenheim, il Consiglio d’amministrazione della Fondazione l’allontanò. 
L’architetto, che con lei aveva creato una nuova visione di un luogo dove immergersi nell’arte, le scrisse «Cara Hilla, Mr. Guggenheim non avrebbe potuto trovare un curatore migliore e più fedele di lei. L’edificio è stato creato per lei e intorno a lei, che lei lo sappia o no. O che lui lo sappia o no».
Personalmente trovo molto interessante leggere della sua vita, la carriera e le scelte ricordando in parallelo quelle di Peggy Guggenheim, nipote di Solomon R e Irene, anche lei amante dell’arte moderna e collezionista.
La concezione di museo di Peggy Guggenheim differiva da quella del progetto portato avanti da Hilla von Rebay con suo zio perché la loro visione era diversa.
Due donne impegnate a far conoscere l’arte contemporanea delle avanguardie artistiche europee, due donne che hanno vissuto per l’arte e in questa hanno trovato la felicità, quella felicità sperata e rincorsa nella vita privata che, con entrambe, si dimostrò parca di gioie.
«Questa sera sono stata felice, grazie a te, a voi. Quando cresci ti rendi conto che la felicità può avere significati diversi. Quando ero bambina lo ero forse senza saperlo, senza aver fatto nulla per costruirla, per meritarla. Adesso capisco che quella che chiamiamo felicità è una conquista, sono singoli momenti straordinari di cui porti il ricordo per sempre».
Queste righe contengono diversi aspetti che inducono a una riflessione. La felicità si merita? Si costruisce? Si conquista? Credo che ognuno/a dia una risposta a queste domande secondo l’età anagrafica e le esperienze vissute. Sul cosa sia la felicità e come raggiungerla l’Umanità si interroga dalla notte dei tempi e, a oggi, le risposte non sono univoche, per alcuni è un diritto per altri esclusivamente una questione di fortuna. Quel che mi preme ricordare, in questa rubrica, è che troppo a lungo il modo in cui raggiungere la felicità, facendo della propria vita ciò che si desidera, è stato un anelito e un progetto possibile solo per gli uomini. Ognuna delle donne che ha sfidato le regole sociali della propria epoca aprendo nuove strade ha dovuto pagarne il prezzo, nel migliore dei casi attraverso il biasimo sociale e nel peggiore con la messa al bando, l’internamento in manicomio, la prigione o il rogo.
Scorrendo le pagine mi sono imbattuta in un’altra affermazione che suscita riflessione: «La verità, pensò, è che abbiamo bisogno degli altri per realizzare le nostre passioni e immagini». Gli esseri umani sono animali sociali e – ognuno/a in misura diversa – ha bisogno di oscillare tra momenti di solitudine in cui assimilare informazioni e rielaborale e contesti di condivisione in cui relazionarsi.
La deprivazione sociale genera malessere, annichilisce il nostro bisogno di costante apprendimento cognitivo e – non da ultimo – ci disabitua alle regole della convivenza e della condivisione, la recente pandemia ha mostrato tutti i limiti e i rischi dell’isolamento sociale anche quando è possibile avvalersi di mezzi di comunicazione.
Nelle pagine di un libro, se lette con interesse, si trovano molti stimoli per soffermarsi a pensare e questo è vero anche nel caso di Berretta che presentando i pensieri della protagonista esplora sentimenti ed emozioni che attraversano la vita delle persone.
«Gli ultimi mesi erano stati difficili, l’invidia intorno a lei era grande, aveva dovuto difendersi da continue calunnie, da nemici che un tempo le sorridevano e ora che la sua torre difensiva non c’era più la facevano sentire ogni giorno più debole, più vulnerabile, sempre più lontana da quel ruolo che le era stato affidato da un uomo coraggioso e sensibile». l’invidia nasceva, forse, dalla sua origine europea? Dal suo essere una donna? Dal suo talento?
Quel che sappiamo è che l’arte astratta dell’avanguardia europea che arrivò negli Stati Uniti cambiando l’idea stessa di arte contemporanea oltre oceano arrivò con lei. Prima di morire, nel 1967, creò la Hilla von Rebay Foundation.
©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Luca Berretta,
Hilla von Rebay,
Morellini
Pagine 305
euro 17,90

L’AUTORE
Luca Berretta, architetto romano. Molti dei suoi lavori sono stati pubblicati su riviste specializzate, ha partecipato a mostre d’architettura e convegni e a concorsi nazionali e internazionali. “Il Sig. Ole”, Edizioni Minerva, è stato il suo primo romanzo. Il libro ha vinto un premio al Concorso letterario “Carlo Marincovich” 2018. “Hilla von Rebay” è il suo secondo romanzo storico.

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