Come accade che le persone diventino famose? Esistono meccanismi validi per ogni epoca storica, le leggi della notorietà sono immutabili? In “La signora Van Gogh”, scritto da Caroline Cauchi e tradotto da Federica e Stefania Merani per Piemme, scopriamo come funzionò per un pittore che oggi la maggior parte delle persone conosce.
Se il mondo ha potuto scoprire e apprezzare il talento di un grande pittore lo dobbiamo alla tenacia e la determinazione di una donna: Johanna Bonger, la cognata di Vincent e moglie di Theo Van Gogh raccontata in una intensa biografia romanzata in cui emerge il legame profondo tra due fratelli e la loro breve e tormentata vita insieme in cui si impasta il desiderio di emancipazione della protagonista sullo sfondo di una Parigi di fine Ottocento. Ma, attenzione, Cauchi introduce uno spunto di riflessione interessante: «Si è difeso subito quando l’ho accusato di perpetuare l’idea che un artista debba essere necessariamente un’anima tormentata per avere successo».
È un cliché che il talento si accompagni alla disperazione oppure corrisponde al vero che la sensibilità artistica, quella che scortica l’anima rendendo la persona troppo esposta alle intemperie della vita e del mondo, sia troppo spesso corredata da una sofferenza?
Personalmente ho sperimentato che le persone provviste di una acutezza del sentire pagano il prezzo di una autentica empatia, chi avverte la bellezza, la magia e l’imperfetta perfezione della Natura porta sulle proprie spalle il fardello di una condivisione del dolore che tocca ogni creatura vivente. Ma quanto delle vicende occorse ai fratelli Van Gogh sia imputabile alla sensibilità e quanto al degenerare di patologie, mentali e fisiche, non ci è dato di sapere e -francamente – non è affar nostro, non è cosa che riguardi la nostra curiosità.
L’uno pittore, l’altro mercante d’arte, i fratelli Van Gogh irrompono nella vita di Johanna Bonger per un tempo relativamente breve ma che cambierà il destino di tutti loro, quel che segna le loro storie è la profondità non la durata. Chi vorrà leggere le lettere che i fratelli si scrissero, la fitta corrispondenza raccolta, classificata, tradotta e pubblicata grazie alla volitività di Bonger, comprenderà la natura e la forza del legame che li unì nella vita come nella morte.
Vincent si mutilò l’orecchio e morì in circostanze mai chiarite, secondo alcuni si suicidò mentre per altri si trattò di una morte accidentale dovuta alla mano di altre persone, Theo sopravvisse al fratello per pochi mesi sprofondando nella follia e nel gorgo della sifilide.
Prima di morire l’artista dipinse moltissimo e il fratello, che aveva sempre creduto nel suo genio, lavorò al progetto da intraprendere per farlo conoscere e affermare tra i collezionisti.
Johanna Bonger, rimasta vedova e con un figlio piccolo, gestisce una casa in cui accogliere degli ospiti paganti, si risposa e rimane nuovamente vedova senza mai abbandonare il perseguimento dell’obiettivo datosi: portare a termine il progetto, ancora non avviato dal marito, di mostrare al mondo il talento di Vincent Van Gogh.
Anche per questa storia, come quasi sempre accade per una biografia romanzata, chi si appassiona alla pagina avverte vibrare una sintonia tra la protagonista e la scrittrice che la racconta, una accorata partecipazione alle sue vicende, un legame che si spalma sulle parole impregnandole.
L’autrice dà voce ai pensieri di una donna che si ribella alle imposizioni di un modello sociale: «Una donna difficile è una donna che ha delle opinioni e sceglie di imboccare un sentiero solitamente percorso con facilità solo dagli uomini. Se le donne accettano la loro posizione e il loro destino, allora possono essere bellissime; se invece hanno una voce o dei desideri, sono brutte, sgradevoli orrende. È così da sempre, e anch’io sono colpevole di avere usato quelle parole».
Per indicare una donna che esprime le proprie idee e opinioni adesso, al termine “difficile”, se ne preferisce un altro: “impegnativa”. «Come faccio ad accorgermi soltanto adesso che le donne sono schiave della paura di essere etichettate con certi termini? Essere bollate come “orrende” o “difficili” porta con sé un giudizio, un disagio e perfino un rifiuto, ma allora noi donne cosa facciamo? Agiamo assecondando le aspettative e le richieste degli uomini».
Il velo è squarciato: perché le donne biasimano e giudicano le altre donne utilizzando le stesse categorie mentali degli uomini? Perché non dispensano loro quella onestà intellettuale, solidarietà e riconoscimento di libera scelta e autodeterminazione che vorrebbero per sé stesse? Chi ha scritto queste considerazioni: la protagonista nel 1890 o l’autrice nel 2023? Entrambe. Da allora ad oggi la situazione è mutata di poco, il cambiamento sociale è un processo lento – ma per nostra fortuna inesorabile –ancora in atto. Il tema della rivendicazione della libertà di poter scegliere per sé stesse ricorre spesso nella trama, non solo relativamente alla storia della protagonista ma anche con riferimento ad altri personaggi.
L’autrice mette sulla strada della protagonista Camille Claudel, la scultrice compagna di Auguste Rodin che morirà dopo lunghissimi anni trascorsi in un ospedale psichiatrico abbandonata dalla famiglia e dal mondo.
La Camille di cui leggiamo è consapevole di essersi legata a un uomo che offusca il suo talento e non abbandonerà mai l’altra donna della sua vita scegliendo lei, è fermamente convinta nel rifiutare il modello sociale che impone alle donne il matrimonio e una irreprensibile condotta pena l’ostracismo ma – nel pensiero della protagonista – forse non fu del tutto conscia del rischio nel quale stava incorrendo non potendo assicurarsi l’indipendenza economica e il modo per provvedere a sé: «Le donne difficili fanno scelte problematiche. Lei ha fatto la sua e ora sta perdendo il suo fascino» è il commento del fratello di Johanna, un uomo illuminato e non un retrogrado maschilista mentre Camille afferma: «Sono loro a mentire, a tradirci, e poi tocca a noi reggere il peso dello scandalo».
Cauchi introduce il tema del doppiopesismo per cui se a far o dire le cose sono gli uomini hanno un valore se a dirle e farle, nello stesso identico modo, sono le donne ne hanno un altro e – allo stesso tempo – si inserisce in un dibattito, cui spesso partecipo raccontando di donne disobbedienti, l’imperativo sociale di adottare comportamenti che abbiano l’approvazione maschile pena la monacazione forzata, il manicomio o – nel migliore dei casi – l’ostracismo.
Altrettanto rilevante nel testo è la descrizione dei sentimenti di inadeguatezza, senso di colpa e dubbio che la protagonista vive nel periodo di tempo condiviso con i fratelli Van Gogh, un disagio che sconfina nel timore di star scivolando verso l’insanità mentale.
L’autrice costruisce una trama coinvolgente con uno stile scorrevole e toccante impreziosito da sapienti descrizioni che restituiscono l’intensità dei colori e delle pennellate dei dipinti di tele che sono entrate nel bagaglio iconografico collettivo.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Caroline Cauchi
La signora Van Gogh
Piemme
Traduzione di Federica e Stefania Merani
Pagine 519
euro 21
L’AUTRICE
Abbandonata la carriera accademica per dedicarsi alla scrittura, Caroline Cauchi ha scritto diversi romanzi. Con La signora Van Gogh si cimenta per la prima volta nella narrativa storica, dando voce al suo interesse per le figure dimenticate di grandi donne del passato.
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