«E invece ce ne sono altre, di ferite, che hanno deformato la mia fisionomia, deviando le strade della mia felicità, cicatrici talmente spesse da rendere impercepibile anche il defluire del sangue» scrive Chiara Ferraris in “Lady Montagu. Le cicatrici del cuore” da poco pubblicato da Morellini nella collana “Femminile singolare”.
Le cicatrici che deturparono il volto della bella Mary Wortley Montagu (1689 –1762), aristocratica viaggiatrice, scrittrice e poeta inglese, furono quelle del vaiolo. La malattia che flagellò l’Europa e uccise suo fratello spingendola a sostenere una battaglia per introdurre in Inghilterra la pratica, conosciuta in Turchia, di inoculazione del morbo a fini profilattici.
Arrivò a Costantinopoli nel 1716 a seguito dell’uomo sposato contro il volere dei genitori e nominato ambasciatore britannico presso l’impero ottomano. Per sposare Edward Wortley Montagu infranse le consuetudini sociali senza lasciarsi dissuadere dalla minaccia di non ricevere danaro dalla propria famiglia, la sua fu una scelta di matrimonio contro corrente così come lo fu la decisione di seguire il marito nell’ambasceria presso la Sublime Porta e imparare il turco per meglio comprendere la realtà del luogo
Mary Wortley Montagu fu una donna attenta e dalla vivida curiosità intellettuale, lontana dagli stereotipi, che del viaggio in Oriente fece motivo di apprendimento e scrittura. Durante la permanenza in Turchia inviò, a parenti e amici, missive ricche di interessanti e brillanti descrizioni, Turkish Embassy Letters è un esempio dell’odeporica femminile del Settecento in cui si mescolano descrizioni geografiche, notazioni antropologiche ed etnografiche, indicazioni logistiche, considerazioni sociologiche, scoperte di pratiche mediche e osservazioni politiche. Un esempio di quella letteratura di viaggio improntata alla formazione personale, come nel caso del Grand Tour, in cui le donne si distinsero per l’approccio aperto e tollerante verso le altre culture di cui erano interessate a cogliere i diversi aspetti.
«Le donne reduci da un viaggio continentale versano sempre in una situazione incresciosa; se riferiscono cose che sono già state dette, risultano noiose e si dice di loro che sono andate in giro cieche come talpe; se invece riportano qualcosa di nuovo, si sghignazza alle loro spalle perché si pensa che raccontino frottole e storie romanzesche» sono parole scritte da lei e condivise da Sydney Morgan, pseudonimo di Sydney Owenson viaggiatrice e scrittrice irlandese, che le ripropose in occasione della pubblicazione del suo libro “Italy” (1821) dedicato ai viaggi compiuti in Italia.
Le lettere dall’impero ottomano che Lady Montagu scrisse aprirono una finestra sulla cultura islamica spazzando via molto del ciarpame folcloristico e inattendibile che ispirava non solo chi volesse intraprendere un’esperienza di scoperta culturale ma anche gli artisti. La testimonianza di ciò è nell’opera “Il bagno turco” (1863), un dipinto a cui Jean-Auguste-Dominique Ingres lavorò per molti anni dopo aver letto una delle lettere in cui era descritta l’esperienza di una giornata trascorsa in un bagno turco.
Nella biografia romanzata che le dedica Ferraris conosciamo la protagonista attraverso il suo interesse alle usanze e i modi di una società, quella ottomana, e la frequentazione e l’amicizia con altre donne che le permette di scoprire l’armoniosa convivenza tra etnie diverse: «E noi donne europee, che camminavamo senza veli davanti agli occhi, avevamo la vista molto più offuscata di quanto credessimo».
Scevra da pregiudizi, contro cui lottò per tutta la vita, la troviamo fra le pagine in pennellate descrittive che evocano suggestioni a lei care come il profumo dei giardini lussureggianti di gelsomini, gli aromi delle spezie, la piacevolezza del clima e dell’intimità tra donne nel bagno turco.
Fu persona intellettualmente onesta e non finse di non vedere la brutalità di alcune abitudini ma la sua intelligenza la portò a contestualizzarle in una cultura diversa da quella inglese. Dalle donne circasse apprese il metodo per inoculare il morbo del vaiolo attraverso l’inserimento di materiale putrescente, prelevato da persone malate, nel corpo di individui sani nella quantità utile a stimolare una risposta immunitaria in grado di rendere le persone non più esposte al rischio del contagio.
Decise di sottoporre suo figlio a tale pratica per renderlo immune e – tornata in patria quando una nuova ondata del morbo si presentò – dispose allo stesso modo anche per la figlia. Si impegnò affinché la profilassi si diffondesse salvando vite umane e per farlo combatté lo scetticismo e i pregiudizi scontrandosi anche con il clero che l’accusò di delirio d’onnipotenza nel suo volersi sostituire a dio e fu in questa sua battaglia che incontrò un uomo, un italiano, di cui s’innamorò: Francesco Algarotti.
Per lui lasciò l’Inghilterra alla volta dell’Italia seguendo il cuore in luogo della ragione, fu una donna romantica ed ebbe in gran conto l’amore eleggendolo a sentimento principe dell’esistenza. Negli anni in cui visse nel nostro Paese le occorsero diverse avventure ma non si abbatté mai, girovagò fin quando non si stabilì a Lovere, sul lago d’Iseo, dove le hanno dedicato una promenade riportando un passaggio di una lettera in cui raccontando del posto scrive: «Mi trovo ora nel luogo più amabilmente romantico che abbia mai visto in vita mia».
Riteneva che in Italia, diversamente da quanto accadeva in Inghilterra, le donne venissero apprezzate per le loro doti intellettuali. Nell’epistolario “Letters from the right honorable Lady Mary Wortley Montagu, 1709 to 1762” si leggono i racconti dei suoi viaggi, una miniera di informazioni narrate con arguzia e spirito. Le lettere, molto apprezzate, circolavano tra i conoscenti e furono raccolte e stampate soltanto dopo la sua morte.
Lady Mary Montagu fu una donna colta, il padre le permise di studiare e seguire la sua curiosità intellettuale, imparò il greco, il latino e il francese, trascorse giornate a divorare le commedie e i classici latini della biblioteca di casa, fu indipendente e dallo spirito libero e, sfidando le regole sociali della propria epoca, visse una vita coltivando gli interessi che le stavano a cuore prendendo la decisione di lasciare il marito per trasferirsi all’estero.
Ferraris la racconta, con stile fluente, consentendo a chi legge di ascoltarne i pensieri e i dialoghi interiori quando soffre per amore, si preoccupa per i figli o quando si adira per l’ottusità di chi si oppone alla tecnica dell’inoculazione, tra le righe la seguiamo nel suo interrogarsi sulle scelte da compiere.
La protagonista che conosciamo non teme le altre donne, non si sente in competizione con loro, al contrario, ne ricerca la compagnia per stringere relazioni improntate a un’autentica amicizia, le ammira ed è sinceramente incuriosita e interessata a conoscerne i costumi, gli usi e le tradizioni. Confronta le loro abitudini con le proprie senza indulgere in nessun tipo di auto compiacimento e condiscendente supremazia culturale e – così facendo – coglie gli spazi di libertà che queste hanno e la solidarietà che le accomuna, tratti estranei alla società anglosassone.
Negli anni Novanta del Settecento, dopo la sua morte, Edward Jenner introdusse la vaccinazione prelevando le necessarie quantità da inoculare non più dagli esseri umani ma dalle mucche, senza la determinazione e la tenacia di Lady Mary Wortley Montagu nel far conoscere la tecnica dell’”innesto” – o variolizzazione – non sarebbe stato possibile.
Dai diari di Lady Elisabeth Webster Holland, viaggiatrice e scrittrice di diari, sappiamo che nel 1794, seguendo le orme di Lady Montagu, scelse anche lei di far vaccinare i figli. Chi, come me, sulla parte alta del braccio può ancora riconoscere il segno lasciato dalla vaccinazione avuta in età infantile dovrebbe, guardandola, ricordarsene e chi- quel piccolo cerchietto non lo ha – dovrebbe sapere che grazie a una donna si è potuto sconfiggere una malattia che ha seminato morte e orrore funestando i secoli scorsi. Grazie Lady Mary per la sua tenacia, determinazione e coraggio.
©Riproduzione riservata
IL LIBRO
Chiara Ferraris,
Lady Montagu. Le cicatrici del cuore,
Morellini
Pagine 244
euro 20
L’AUTRICE
Chiara Ferraris, nata a Genova, è insegnante di biologia e scrittrice. Ha pubblicato L’impromissa (Sperling&Kupfer, 2019), il suo romanzo d’esordio, con cui ha vinto la seconda edizione del Premio Nazionale “Parole di Terra”. Il romanzo è stato semifinalista al Premio Letterario John Fante Opera Prima ed. 2020 e selezionato per il Premio Città di Cuneo ed. 2020. È stato, inoltre, finalista alla XII edizione del Premio Letterario Città di Rieti e alla III edizione del Premio Cral Mondadori. Nel 2022 è uscito il suo secondo romanzo Anime qualunque. Ha partecipato, con i suoi racconti, a diverse edizioni di Natale a Genova, Neos Edizioni.
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