Le disobbedienti/ Mary Wollstonecraft, filosofa e scrittrice che lottò per affermare i diritti delle donne

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Mary Wollstonecraft (1759-1797) fu una filosofa e scrittrice, una donna coraggiosa, tenace e piena di talento che lottò per affermare i diritti delle donne. Morì undici giorni dopo aver dato alla luce una bambina che inventerà due generi letterari, quello della fantascienza con “Frankenstein o il moderno Prometeo” (1818) e quello apocalittico con “L’ultimo uomo” (1826): Mary Shelley.
Di lei, donna straordinaria che non si lasciò irreggimentare dalle regole sociali e scappò di casa con un uomo sposato di cui ammirava i pensieri e i versi, un poeta romantico, da anni leggo e studio provando a sintonizzarmi con il flusso dei pensieri.
Aveva talento – tanto – coraggio e libertà di pensiero, tutte qualità ereditate e inclinazioni assecondate dai genitori, quel che non poté ascoltare direttamente dalla voce materna lo bevve dal racconto che delle sue idee le fece il padre e ancora, non paga, lo cercò nei libri scritti dalla madre.
Neri Pozza ha da poco inviato in libreria una biografia romanzata scritta da Samantha Silva “Amore e furia” in cui la madre Mary, morente, racconta la propria vita alla neonata figlia Mary. Due donne straordinarie, due vite tormentate, due intelligenze vivaci, due talenti. L’autrice ripercorre la difficile vita di Wollstonecraft disseminata di carenze affettive, separazioni, addii e delusioni ma innervata da una ferrea determinazione nell’affermazione di sé stessa.
Mary Wollstonecraft muore a trentotto anni di febbre puerperale lasciando due figlie, Fanny di pochi anni avuta da una relazione con Gilbert Imlay e Mary appena nata dal matrimonio con William Godwin.
Raccontare i pensieri di una persona è cosa ardua, riuscire a farlo in modo da catturare l’attenzione del lettore/trice è impresa riservata a chi sa scrivere bene, decisamente pane per i denti di Silva che dosa, in maniera magistrale, l’umore e le sfaccettature di un carattere strutturato e sicuro di sé ma non scevro da paure e tristezza attraverso dialoghi ricchi di leggerezza e profondità.
La protagonista, come diverse creature dal destino impegnativo, era afflitta da acuta intelligenza accompagnata a una non comune sensibilità che la esponeva alle intemperie della vita quasi come fosse in assenza della protezione della pelle.
Mary Wollstonecraft avvertiva la bellezza del creato in modo così profondo da immergersi in esso fino a diventarne parte e sincronizzare i palpiti del suo cuore con il respiro della Natura, la conseguenza di tanta sensibilità era un sentimento per il quale le ingiustizie apparivano ferite che imponevano alla sua etica di agire, di far sentire la propria voce.
La prima ferita sanguinante che la colpì riguardava il modo in cui le donne erano trattate fin dalla nascita, non potevano studiare, coltivare il proprio intelletto né le passioni, una forma di crudele tortura che le appariva intollerabile al punto da mozzarle il fiato.
Aspirava alla libertà di scelta per sé stessa e per tutte le donne che voleva libere dal giogo sociale incardinato sulla sottomissione, una condanna all’ignoranza e l’abulia, una abominevole costrizione ad interessarsi, esclusivamente, al come rendersi piacevoli agli occhi degli uomini da cui dipendevano in tutto e per tutto.
«È risaputo che le donne passano gran parte dei primi anni di vita ad acquistare una vernice di qualità formali; nel frattempo le forze del corpo e della mente vengono sacrificate a idee frivole di bellezza e al desiderio di raggiungere una posizione attraverso il matrimonio: l’unica via per cui le donne possono elevarsi socialmente» è tratto da “Vindication of the Rights of Woman” (1792) una pietra miliare del femminismo.
Rivendicava, per le donne, il diritto all’istruzione, in polemica con Rousseau secondo cui il fine della loro educazione doveva esser quello di piacere e compiacere gli uomini.
Conobbe l’amore per una donna e per tre uomini, andò a Parigi durante la rivoluzione, viaggiò in Scandinavia per scoprire i loschi traffici dell’avventuriero da cui aveva avuto la prima figlia, tentò il suicidio, scrisse, studiò, pianse, rise e cadde ma si rialzò, ogni volta si rialzò per ricominciare.
Scorrendo le pagine si evince chiaramente la difficoltà per Mary Wollstonecraft di trovare un punto di equilibrio tra la forza e il coraggio che sostengono la tensione verso l’urgenza di un cambiamento socio-culturale volto ad affermare i diritti negati alle donne e la fragilità che segue alla perdita degli affetti e alle delusioni per la fine di un amore che le era parso autentico e duraturo.
L’autrice sa ben rendere questo equilibrismo emotivo che porta la protagonista a formulare un interrogativo sul proprio essere: di forza o di debolezza è fatta la mia natura? Una domanda che molte persone si pongono nel corso dell’esistenza e che si sarebbero poste, con esiti diversi, le sue figlie.
In Fanny prevalse la determinazione nel togliersi la vita, si suicidò a ventidue anni mentre Mary portò su di sé il senso di colpa per aver provocato, con la sua nascita, la morte della madre che ricercò negli scritti e in una vicinanza spirituale che si manifestava nel recarsi sulla sua tomba a giocare, leggere e suggellare il suo amore con Percy Bysshe Shelley.
Mary Shelley è sepolta insieme con i genitori, l’unico figlio superstite e la nuora a cui era molto legata. Ma questo verrà dopo, nel libro le bambine sono ancora lontane dai tragici epiloghi e le conosciamo attraverso gli occhi della madre e della levatrice i cui racconti si intrecciano.
Anche nel tratteggiare questa figura l’autrice si cala nei pensieri e nell’epoca in cui Wollstonecraft visse, un’epoca nella quale il sapere esperienziale delle donne veniva soppiantato dalla teoria degli uomini e alle levatrici si andavano sostituendo i medici che, a differenza delle prime, nulla sapevano riguardo l’importanza della pulizia e la disinfezione al fine di evitare mortali setticemie.
L’atmosfera che si respira tra le righe è quella della serenità di fronte alla morte di chi, consapevole delle scelte compiute in vita, si rammarica di non poter veder crescere le proprie figlie e augura loro di poter essere libere e indipendenti: «Io voglio che seguano la strada della loro mente, anche a rischio di ritrovarsi su un sentiero non battuto. Voglio che si creino da sole la propria strada», la stessa volontà che aveva seguito tempo addietro quando insegnava alle ragazze accolte nella scuola sperimentale creata insieme con la sua amica Fanny Blood.
Il suo scopo non era affermare la supremazia delle donne sugli uomini ingaggiando una guerra ma far sì che ci fosse un riconoscimento di assoluta parità in base alla quale collaborare e lavorare insieme. Era atterrita, come tutte le donne che esercitavano il pensiero mettendo in discussione il modello sociale, dall’essere inerme contro le leggi che riconoscevano agli uomini – padri, fratelli, mariti e tutori – totale e assoluto potere sulle donne che quando agivano in modo ritenuto non consono venivano bollate come pazze e rinchiuse in manicomi o sepolte in case e manieri di campagna in mezzo al nulla.
«Il dolore, mia dolce bambina, ti farà cadere ripetutamente in ginocchio, ma lo stesso farà la bellezza, lo stesso farà l’amore e sarà abbastanza per risollevarti, per provarci ancora, per provare a vivere come ogni creatura desidera: libera».
In bilico tra la forza di chi è animata dal sacro fuoco del pensiero ispirato al cambiamento e la fragilità che deriva dalla consapevolezza dei propri limiti Mary Wollstonecraft lascia in eredità al mondo le proprie idee – e alle figlie – l’intelligenza e l’indipendenza di pensiero con la quale ha sempre intrapreso e sostenuto le proprie battaglie. Sì il titolo esprime tutto: amore e furia, sentimenti e moti dell’animo propri di chi non si risparmia, non conosce mezze misure e rifugge ogni forma di ipocrisia.
©Riproduzione riservata 

IL LIBRO
Samatha Silva,
Amore e furia,
Neri Pozz
pagine 330
euro 18

L’AUTRICE
Samantha Silva è una scrittrice e sceneggiatrice che vive in Idaho (negli Usa). Si è laureata alla Johns Hopkins University’s School of Advanced International Studies, e ha studiato per un periodo nella sede di Bologna, in Italia. I suoi racconti e i suoi saggi sono apparsi su One Story e LitHub. Un cortometraggio, The big burn, che ha scritto e diretto, è stato presentato in anteprima al Sun Valley Film Festival nel 2018. Attualmente sta lavorando all’adattamento per il teatro del suo romanzo di debutto, Mr. Dickens and His Carol.

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