Il terrore può avere la stessa radice? L’esistenza dei lager può accomunare due totalitarismi all’apparenza cos lontani? Nazismo e comunismo, a dispetto della mortale inimicizia che pure li contrappose, possono essere ritenuti figli di una stessa concezione dello stato? E Hitler e Lenin possono essere considerati due facce di una sola medaglia? Leggendo il saggio storico “Lenin e Hitler. I due volti del totalitarismo”, di Luciano Pellicani (Rubbettino editore) la risposta sembra essere proprio di s. E alla fine non si riesce a comprendere se è Lenin a finire nazistizzato, o è Hitler a trasformarsi in bolscevico. Proviamo a mettere ordine.
Nelle quattro parti di cui si compone il volume, Pellicani non omette di toccare argomenti scabrosi, elencando tutti quei meccanismi che pure furono alla base della nascita e dello sviluppo dei due movimenti di massa che hanno caratterizzato buona parte del Novecento.
“Considerare il nazismo e il comunismo due specie diverse di uno stesso genus, il totalitarismo scrive l’autore potrebbe sembrare un giudizio storico quanto mai distorto e distorcente (…). Due ideali antitetici perverso quello nazista, generoso quello comunista. Pure, è un fatto incontestabile che i risultati del comunismo al potere siano stati esattamente gli stessi del nazismo uno smisurato cumulo di macerie materiali e morali e una ancor più smisurata scia di cadaveri”.
Lo scrittore di origini pugliesi, napoletano d’adozione, titolare della cattedra di Sociologia politica alla Luiss di Roma, parla di culto della violenza, di messianismo dei leader, di terrorismo ed eliminazione fisica degli oppositori. Caratteristiche di cui non erano certo immuni n il promotore della rivoluzione d’Ottobre, n il fondatore del Nsdap.
“E’ un fatto incontestabile sottolinea Pellicani che Lenin, al pari di Hitler, ha lasciato una eredit tutta negativa”. Citando Furet (Le passè d’une illusion), lo scrittore spiega come la Rivoluzione d’Ottobre abbia chiuso “la sua traettoria senza essere stata vinta sul campo di battaglia, ma liquidando essa stessa tutto ciò che è stato fatto in suo nome (…). Come i Tedeschi, i Russi sono il secondo grande popolo europeo incapace di dare un senso al loro XX secolo”.
L’autore parla di dittatura e clima di guerra perenne sia a proposito del bolscevismo, sia a proposito del nazismo. Un clima che permeò prima la Russia post zarista, poi la Germania sorta dalle ceneri della Repubblica di Weimar. Che significa tutto questo? Semplice i due regimi hanno radici identiche che affondano in una sorta di giacobinismo ante-litteram testimoniato dalla natura stessa del nemico individuato la borghesia. Cos come identiche sono le armi utilizzate per abbatterlo la violenza istituzionalizzata. Nelle parole di Trockij e Goebbels, Pellicani identifica il tratto diacronico essenziale del totalitarismo “il desiderio di produrre una mutazione totius substantiae della realt . Abbattere un vecchio mondo e costruirne una nuovo”. Per Lenin “il passaggio dal capitalismo al socialismo richiedeva lunghe doglie (…) la distruzione di tutto ciò che era vecchio (…) e la liquidazione della borghesia in quanto classe”. Analogamente per Hitler “la salvezza dell’umanit (…) doveva necessariamente passare attraverso l’abolizione dello stato di cose esistente”. “Alla luce di siffatte dichiarazioni programmatiche – spiega ancora Pellicani – attraversate da parte a parte da una smisurata volont di potenza tesa a tutto distruggere per tutto ri-creare ex novo, non può certo destare sorpresa che Francois Furet abbia definito Hitler il fratello tardivo di Lenin. Un fratello mortalmente nemico, ma, ciò non di meno, portatore di un progetto rivoluzionario animato dalla identica hybris totalitaria la purificazione del mondo attraverso l’annientamento degli agenti inquinati e inquinanti”.
Comunismo e nazismo, secondo il direttore della rivista Mondoperaio, avevano messo nel mirino lo stesso bersaglio la societ borghese. Un nemico irriducibile da affrontare e sconfiggere a tutti i costi. “Non solo comunisti e nazisti erano fanaticamente certi che la societ borghese di stampo occidentale era giunta al termine scrive il docente ma essi erano animati da un’idea la rivoluzione come purificazione del mondo”. Eccolo, dunque, il fine da perseguire la catarsi della societ , il deragliamento storico della civilt occidentale. Una sorta di immenso lavacro da attuarsi attraverso un sistema di terrore legalizzato e giustificato, anche eticamente. Un terrore sfociato nell’universo concentrazionario dei campi di prigionia e nella tortura con i mezzi più assurdi e spietati. I lager, infatti, non sono una prerogativa della “croce uncinata”. Cos come il vasto impiego della polizia segreta non è un tratto distintivo dell’Urss. Tragicamente emblematiche, da questo punto di vista, le parole con le quali, nel settembre del 1918, Grigorij Zinovev illustrò il destino riservato a tutti coloro che si rifiutavano di sottomettersi alla tirannia ideologica del Partito bolscevico. Parole che l’autore riprende nel suo saggio “Per 6 « o è è á « s pt L libri n e d d d d pG 7 e E è H l è NO » OJ e
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Certo, sono tesi da brivido. Argomenti che scottano. Teoremi, diciamolo pure, in netto contrasto con le opinioni ricorrenti e che non pochi problemi hanno causato all’autore che pure non ha mai nascosto, n rinnegato le sue origini socialiste. D’altronde, equiparare una figura simbolica e carismatica come quella di Lenin al fondatore del nazionalsocialismo non è di quelle mosse destinate ad attirare simpatie e comprensioni, soprattutto in quella vasta parte del mondo accademico che mai ha nascosto le proprie simpatie per il marxismo. Pellicani, tuttavia, non è di quelli che si lascia intimidire. N si può dire che manchino nel suo lavoro, argomenti in grado di supportare le proprie tesi. Il culto della violenza, per esempio. Quello della mobilitazione delle masse, lo sterminio sistematico dei nemici, l’eliminazione fisica degli elementi ritenuti impuri e la damnatio memoria che toccava in sorte ai nemici dello stato. Non sono forse queste “tracce” che troviamo in entrambi i sistemi totalitari del Ventesimo secolo?
E cos’erano i lager se non la camera oscura in cui rinchiudere quegli elementi che avrebbero potuto corrompere il regime? Da qui l’idea della rivoluzione intesa come processo catastrofico-palingenetico che sarebbe sfociata, dopo aver annientato il mondo esistente, nella creazione di una umanit trasfigurata nel nome e nel segno delle nuove ideologie. Idea comune sia al bolscevismo che al nazionalsocialismo.
“I rivoluzionari di professione scrive Pellicani a proposito del comunismo sovietico hanno svolto un ruolo affatto reazionario. Anzich portare le societ arretrate verso la Modernit , o quanto meno, verso l’economia industriale, le hanno imprigionate nella “gabbia d’acciaio” dello stato onniproprietario e, per ciò stesso, onnipotente. Essi, nel tentativo di arginare l’invasione culturale occidentale, hanno realizzato quel perfezionamento del dispotismo orientale che abbiamo preso l’abitudine di chiamare totalitarismo. Il quale è stato, fondamentalmente, una reazione zelota contro l’Occidente e la moderna civilt dei diritti e delle libert “.
Bisogna ammetterlo. Pellicani ha avuto coraggio da vendere nell’affrontare un argomento cos delicato. Spesso infatti si pensa al movimento hitleriano e al comunismo come a totalitarismi di natura diversa, diciamo pure contrapposta seppure con esiti finali stranamente simili. I legami, invece, esistono e sono molto forti. E il libro edito dalla casa editrice Rubbettino ci rivela quali sono e soprattutto quanto siano profondi, soprattutto a livello ideologico, i tratti comuni ai due regimi.
Forte di una documentazione massiccia e puntuale, lo scrittore segue una linea ben precisa demolire, una volta e per tutte, quello che da più parti viene considerato un vangelo, la tradizione leninista. In che modo lo fa? Partendo dalle origini. Svelando i retroscena che sono alla base della dottrina di Lenin, Marx ed Engels, equiparandola, senza mezze misure, all’ideologia hitleriana. Come a dire Lenin e il caporale austriaco? Alla fin dei conti, parlavano la stessa lingua. E l’ideologia cara ai bolscevichi, cos come il nazismo, ha una matrice giacobina fortemente antiborghese. E’ questo che accomuna i due sistemi, invece di dividerli. Due facce, s, ma di una stessa medaglia. Di cui non può far parte a pieno titolo il fascismo mussoliniano che Pellicani descrive nella quarta parte del libro come una sorta di “macchina da guerra mancata”.
Un fenomeno, si affretta a puntualizzare lo storico “non innocuo, poich innumerevoli furono le cose negative che lasciò in eredit all’Italia” ma pur sempre un “bolscevismo imperfetto”. Il fascismo, infatti, non riusc ad essere compiutamente totalitario, “non solo perch non rase al suolo il mercato (…) ma perch nel suo codice genetico mancava la cosa essenziale l’idea della purificazione del mondo attraverso lo sterminio degli elementi corrotti e corruttori”. Idea, questa, che si trova, espressa con la massima chiarezza, sia nel bolscevismo che nel nazismo. Una visione gnostico-manichea, quella delle due rivoluzioni, “da attuarsi attraverso l’annientamento della massa ilica responsabile della corruzione generale”. Parli di Hitler, ma ti sembra di sentire Lenin.