“I teatri vanno chiusi (pubblici e privati). Il teatro in Italia è un autogrill dove trovi di tutto dalla cravatta al caff, ma è tutto scadente. E allora chiudiamo i teatri alle merci, sgombriamo gli scaffali degli spettacoli in offerta speciale, tre per due e quattro per cinque, e via i mercanti dal tempio. C’è bisogno di un teatro che formi un pubblico nuovo con eventi teatrali nuovi e sinceri, con artisti che si rivolgano alla collettivit all’assemblea che si riunisce in sala, per capire insieme qualche cosa, anche se piccola, e non per fare carriera o avere un facile consenso”.
Oggi più che mai attuali risuonano le parole di Leo De Berardinis, urlate un decennio fa per denunciare lo scadimento culturale e gestionale dei teatri. Leo è uscito di scena. Finalmente ha posto fine (un mesa fa, il 18 settembre) al lungo calvario iniziato nel 2001. La sua assenza, quell’esserci senza esserci, al limite del Tutto, io l’ho sempre decifrata, simbolicamente e metaforicamente, come grido muto contro la dbcle che ahim viviamo. Leo è stato, è uno dei maggiori rappresentanti dell’avanguardia teatrale italiana che ha pagato anche il prezzo di una dura discriminazione. Nel 1967, con Perla Peragallo, s’era affermato nel fervido clima delle cantine romane; aveva iniziato, dunque, allo stesso modo di Carmelo Bene, insieme al quale mise in scena nel ’68 Don Chisciotte. Leo e Perla, abbandonata Roma, scelsero Marigliano – hinterland napoletano – quale luogo per sperimentare e far inter/agire, creando un corto circuito, la cultura alta con quella bassa. L’intento era di dar vita a un teatro che commistionasse la sceneggiata con Shakespeare. Da qui vennero alla luce splendidi spettacoli teatrali come King Lacreme Lear Napulitane (’73), Sudd (’74), Chianto ‘e risate e risate ‘e chianto (’74). Dopo l’esperienza di Marigliano, Leo ritornò a Roma, realizzando, prima con Perla e poi da solo, messinscene altrettanto interessanti e indimenticabili. Tra le quali si ricordanoLa tempesta (’86), Ha da pass ‘a nuttata (’89) (de/scrittura-tradimento dell’opera di Eduardo), Totò principe di Danimarca (’90), I giganti della montagna (’93).
Nel 1999, Past Eve and Adam’s è il suo ultimo lavoro; una vertigine poetica in cui riecheggiavano, rincorrendosi e sovrapponendosi, versi e opere tra le più alte della letteratura. Un assolo teatrale che prendeva il titolo da un passaggio chiaramente ellittico del Finnegans Wake di Joyce. Un’antologia di passioni, una ciclicit che non bisogna immaginare come cerchio che si chiude, ma come spirale. Un’opera che vuole rivivere, tenere a mente, reinventare, al di l delle tragedie umane, l’altra faccia del dolore la bellezza. Il resto è silenzio.
Due immagini di Leo De Berardinis
SIPARIO-LEO EX MACHINA
LEO – TEO – DEO – REO – MEA CULPA
MEA MAXIMA CULPA!!!…PE LL’ATE!!!…
LEO(N) – LUCI NEO(N) STUTATE PE SEMPE!!!…
ASSA F A DIO… KING LEAR…
SMISURATO GIGANTE (DELLA MONTAGNA) AGONIZZANTE
CERVELLO ESPLOSO…
AMLETO…I’M LET’S GO…BYE-BYE…
TARDE… TARDE…
CAGNE ‘A STAZIONE…
FERNUTE ‘O PROGRAMME…
CHIUDI…PE SEMPE!!!
JAMES JOYCE (CILENTO)…
PERLA DI LABUAN ‘A MARIGLIANO…
SANS MER…
SENZA PAROLE…
COMPROMESSI TEATRI/TETRI…
SUPERMARKET/MARKETTE…
CIRILLICO/CRIPTO/COPTO
AVITA MUR… AVITA MUR…VUJE…
…NO, CO’ CAZZO!!!
FINALMENTE ‘A NUTTATA PASSATA…
MEGLIO ACCUSSI’… MEGLIO ACCUSSI’…
LASCIA ‘O DOLORE…
…E OGNI PUNTO DI ARRIVO UN RICOMINCIARE…
CIA’…CIA’…CIA’…
BUIO – SALA.