E adesso c’è l’emergenza. E adesso come si fa con la scuola? Sento dire da chi, preoccupato da tutto ciò, non si lascia però prendere dal panico. Stiamo vivendo un momento storico inaspettato. Una situazione alquanto difficile, ma noi non ci arrendiamo, non demordiamo. D’altronde si dice che “chi la dura la vince”.
Con lo tsunami del Covid-19 stiamo vivendo giorni particolari, e anche la chiusura delle scuole è stato un brutto colpo per i ragazzi, per i docenti, per le loro famiglie che si trovano a doverli assistere per evitare che in questi giorni di isolamento restino indietro con la loro formazione scolastica.
Adesso, ai tempi del Coronavirus, niente campanelle, ma lezioni a distanza rese possibili grazie al supporto della tecnologia. Un nuovo modo di fare scuola, in cui le relazioni interpersonali in presenza devono essere sostituite da quelle digitali, e si cerca con grande professionalità, senso del dovere e tanto amore, di essere vicini ai nostri studenti. Si comunica attraverso mail, messaggistica istantanea e piattaforme a scopo didattico, con diversi approcci, guardando il mondo da un’altra prospettiva, un’altra logica, e altri metodi di conoscenza. Basta un pc, un tablet, un notebook, o anche uno smartphone, e ovviamente una connessione wi-fi. Varie, infinite sono le applicazioni da poter usare con i discenti, o meglio, con i miei ragazzi.
Eh già, mi sentirete dire “miei”. Incredibile, vero?! A qualcuno può sembrar davvero strano che io definisca gli alunni come miei ragazzi, ma non di certo a me, non a me che ogni giorno metto tanto amore nello svolgere il mio lavoro. Non solo un lavoro, bensì una passione.
Adesso sta diventando una sorta di abitudine, anche se non ci sia abitua mai (scusate il gioco di parole!). Io… che ho sempre pensato che la vera scuola non è questa. Io… che ho sempre pensato che l’insegnamento sia un lavoro che richiede l’essere presenti. È un dialogo a più voci. È un confronto. Insegnare è mescolare. Muovere energia e creare sinergia con i ragazzi. Insegnare non significa solo istruire, ma anche e soprattutto formare ed educare.
Diversi i gruppi di studio. Da Facebook a WhatsApp, da Skype con la teleconferenza per la classe, passando per Edmodo, e Google Classroom, creando così classi virtuali, inviando messaggi, condividendo materiale.
Io e i miei ragazzi usiamo l’app forse più conosciuta e diffusa, presente praticamente su ogni smartphone: WhatsApp. È possibile così formare facilmente dei gruppi di studenti coordinati dall’insegnante. È possibile condividere oltre ai messaggi, immagini, schemi, video, o anche semplicemente rispondere a dubbi e quesiti posti dagli studenti.
Con https://web.whatsapp.com/ è possibile utilizzare WhatsApp anche sul pc, dove è più semplice l’utilizzo di una tastiera e la visualizzazione dei file trasmessi. Con questo nuovo modo di fare scuola si cerca di mettere al centro di ogni iniziativa il bene degli studenti. Ma come sempre, come spesso accade, ci son dei riscontri positivi e riscontri negativi.
C’è chi dice «La didattica a distanza ci ha ricordato, ancora una volta, che molto spesso chi impara di più è l’insegnante. Un’esperienza davvero singolare, assolutamente contro ogni principio di disciplina e didattica a cui siamo abituati. In un primo momento non ho assolutamente accolto di buon grado questo metodo: insegnare significa tessere una rete di comunicazione con gli alunni, dare un messaggio, trasmetterlo in maniera interattiva, con una sana e viva partecipazione da parte dei ragazzi. La didattica a distanza, purtroppo, spesso ci priva di questo piacere. Ci impone un approccio unilaterale e, almeno in apparenza, sterile. Eppure, come spesso accade, i ragazzi mi hanno sorpresa, dimostrandosi curiosi, entusiasti e collaborativi, stimolando nuovi metodi di insegnamento, nuovi escamotage per rendere attuali e interessanti diversi argomenti. Un’esperienza unica, ma non nego che attendo trepidante il giorno in cui potremo tornare a stare in aula, a guardarci negli occhi, a ridere e imparare l’uno accanto all’altro».
E chi afferma «attraverso la didattica a distanza sto riscoprendo la collaborazione dei ragazzi risvegliando in loro qualcosa, avvicinandoli, seppur a distanza, interessandoli».
Qualcun altro racconta che «inizialmente c’era interesse da parte dei ragazzi, poi man mano il tutto è andato scemando, tanto da ritrovarmi adesso ad avere due, se non tre ragazzini che mi seguono».
Tutto sta cambiando, e in questi giorni tutti noi dobbiamo rinunciare a molte delle nostre abitudini e delle nostre passioni. Abbiamo più tempo libero. Tempo per poter leggere libri, scrivere, vedere film, dipingere o semplicemente ascoltare musica. E chissà perché non cogliere questo tempo di quarantena come occasione. L’occasione di riscoprire il piacere delle piccole cose. E soprattutto bisogna cercare di non smettere mai di imparare. Vivere è imparare.
Bisogna trasformare questi strani giorni in un’opportunità per riflettere su noi stessi, su ciò che più desideriamo dalla nostra vita. E ciò che vorrei dire ai miei ragazzi, e non solo: siate il vero cigno nero di questi strani giorni! Siate il cambiamento! E quando tutto ciò sarà finito, quando questi giorni saranno passati, ritorneremo a risplendere. Insieme.
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