Dall’alto medioevo ai giorni nostri, dalla dietologia greca ippocratico-galenica a Federico II Hohenstaufen, dalla Regola Universitaria Salernitana alla pasta condita con strutto e formaggio. Questo excursus storico è meticolosamente ricostruito da Gennaro Avano nel suo libro (seconda edizione) La minestra è maritata. Ritratto storico della gastronomia meridionale, casa editrice Magenes, pagg. 217, Euro 18,00.
Nel medioevo speziavano e salsavano i cibi per riequilibrare i quattro umori corporei, per attutire la loro natura secca, umida, calda o fredda. Per i greci il banchetto era segno distintivo della civiltà, una forma conviviale ad appannaggio della classe aristocratica, categoria prettamente cittadina.
Il simposio, per questi, era una esperienza propriamente umana in quanto momento in cui gli uomini mangiano il frutto del proprio lavoro. Si narra che Lucullo sia stato il più stimato gourmet dell’antichità ed attraverso di lui che riceviamo informazioni sul gusto del raffinato patriziato romano.
Cos’è il garum? La famosa colatura di alici di Cetara è stata dichiarata una sua discendente. Le colature nascono dalla necessità di non buttare via nulla, figlie dell’antica povertà dei villaggi di pescatori della costiera amalfitana.
Nel 1501 si conclude l’autonomia del Regno di Napoli, questo comportò una immediata decadenza della qualità della vita. Nello specifico sul piano alimentare le classi popolari, la plebe, passò da una condizione di “accettabile” modestia a una di difficile sopravvivenza. Insomma, la cucina meridionale dovette soccombere, buttando via circa trecento anni di “buon gusto”, a quella francese, declassando le illuminate influenze arabo-normanna, sveva e angioina.
La cucina popolare napoletana del 1700 ebbe grande ripresa. A partire dalla pasta di semola di grano duro. Un impulso fondamentale lo diede la città di Gragnano, con un suo polo industriale della produzione di pasta. Forse proprio da qui nascono le prime idee di abbinamento tra questa e le minestre (erbaggi).
Torre Annunziata, tra il 1948 e il 1955, contava ben 9 mulini industriali e circa 50 pastifici, attestandosi come capitale industriale della pasta.
Questo di Gennaro Avano è un saggio dedicato, in grado di ricostruire le rotte del cibo nel Mezzogiorno d’Italia sin dal medioevo, tratteggiando, con dovizia di particolari, il costume culinario in tutti questi secoli. Affacciandosi continuamente sui risvolti societari e sulle strette relazioni tra questi ed il cibo. Ed è proprio su questo punto che si nota il maggior picchio di originalità del libro di Avano, sfatando molti tabù e relegando ai margini l’aspetto solo folcloristico dell’arte del mangiare meridionale.
Alfonso Iaccarino, tra gli chef più influenti nella cucina italiana contemporanea, nella prefazione così si esprime: «Questa ricca tavolozza di colori e di sapori, per usare i termini dell’autore, che costituisce l’immenso patrimonio gastronomico meridionale, dalla quale noi contemporanei attingiamo per esercitare la moderna professione, descrive non solo la vicenda di una pratica con la veneranda età di tremila anni ma anche quella di altrettanti millenni di intenzionalità».
Si fonda, infatti, sui libri più antichi del mondo occidentale, che sono di cultura greca, latina, araba, angioina, aragonese, francese… ma sempre meridionali, per i natali dell’autore o dell’opera”.
L’editore presenta il libro di Avano in questo modo: «Raccontare la storia del cibo, quando si parla di Italia, significa viaggiare sulle navi che trasportavano il prezioso olio d’oliva, sedere alla tavola dei re e camminare tra i vicoli delle città che crescevano, entrare nelle botteghe dei pittori e scultori e poi partire per un giro intorno al mondo.Distesa nel cuore del Mediterraneo, l’Italia meridionale è stata il teatro in cui questa grande storia ha preso il via, anche grazie alle sue terre soleggiate e fertili. Il libro racconta la storia della gastronomia tra Napoli e la Sicilia nel corso dei secoli, partendo dagli ingredienti e arrivando ai grandi classici della cucina del Sud Italia, dalla pasta alla pizza, dalla mozzarella di bufala alla parmigiana, dal babà al cannolo siciliano. Così facendo ci racconta la storia delle culture che li hanno creati e di quella che li ha consacrati»..
Un libro da leggere a piccole dosi, comprensivo anche di un ricettario, da metabolizzare piano. Una maniera, questa, per imparare come i meridionali sono cresciuti attorno al cibo, una componente che ha diviso civiltà, popoli, generazioni, ma che ha saputo anche unire patrizi e plebei, ricchi e poveri, borghesia ed operai. Una funzione sociale, quella del cibo, tra le più alte della storia dell’umanità.
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