“Scrivere” è il libro di Luigi Finelli (edito dall’istituto culturale del Mezzogiorno) che sarà presentato venerdì 16 marzo alla biblioteca Croce di Napoli, al Vomero, in via Francesco de Mura 2 A alle 17. Con l’autore interverranno, Antonio Filippetti, Gianpaolo Paladino e Fiorella Franchini. Di seguito pubblichiamo l’introduzione al volume di Filppetti.
Questa nuova silloge di Luigi Finelli s’intitola semplicemente “Scrivere” e il termine stesso racchiude quello che è l’obiettivo primario dello scrittore il quale ci presenta sin dall’inizio il “manifesto” della sua poetica. Le ragioni sono diverse e non riassumibili forse in un’unica formula. Si scrive per capire se stessi e il mondo che ci circonda, per comunicare o dimenticare, per qualificare il pensiero critico, per sentirsi meno soli e autenticare il senso della propria esistenza.
Ma tutto ciò non sarebbe possibile senza il linguaggio, ma più ancora senza l’ausilio della poesia. Perché – ed è questo il punto nodale – è attraverso l’espressione poetica che riusciamo a meglio intendere e definire il nostro orizzonte esistenziale, a dare senso e gratificazione al nostro io poiché, per dirla con Giacomo Leopardi, “il piacere che i sentimenti poetici ci lasciano consiste in ciò, ch’essi c’ingrandiscono il concetto, e ci lasciano più soddisfatti di noi medesimi”, e questo è vero principalmente perché quella della poesia “ è la sommità del discorso umano”. Ed è proprio da questa fondamentale premessa che può prendere spunto e articolarsi una valutazione critica più profonda e meditata delle poesie di Finelli.
Attraverso la parola poetica è dunque possibile “eternare” gli episodi e i momenti stessi del vivere che ci consentono di dare spessore all’esperienza o per meglio dire di catturare ciò che, malgrado tutto, ci sfugge vivendo.
Ecco allora il soccorso della memoria, anche a protezione di quello che è rimasto forse incompiuto e continua a pesare come un rimorso: “Avrei voluto essere più uomo/innamorarmi di te ma senza pianti/…..invece sono solo sognatore/ che coi pensieri s’inventa ogni emozione/ e vive ogni giorno d’illusioni”.
Ma la memoria diventa quasi una ragione di vita o, meglio, un simulacro d’eternità: “Ricordati/e non smettere mai di conservare il ricordo/quel ricordo che è vita e speranza/che è sentimento profondo e senso di vita/ che appaga e sconvolge/ che recita a tratti i sogni lontani/ che agita il vento di emozioni represse/ ricordati/ di tutto questo quando sarai sola”.
E ancora: “Ricordati/ quando sotto i limoni con le foglie bruciate del sole/ guardavi lontano quel mare che parlava di amore”. L’urgenza della rimembranza si fa assillante come una prescrizione ontologica: “Ricordati di queste cose/ quando la tua anima si agiterà/ …e quando la tua anima si agiterà/ non fingere di essere un altro”. Perché il tempo fugge via in fretta e incombe la fine: “Ed è sera/tra le nuvole dense e gli odori dell’autunno incipiente/…una sera come tante/ di un giorno comune”. E poi c’è sempre in agguato il destino feroce: “Me ne andrò/tra onde violente/e un vento impetuoso/ mentre nel cielo/ stormi di uccelli/ fuggono via”. E tutto a un tratto “sei vecchio tra i polverosi ricordi di un tempo che fu”.
E’ possibile qui riscontrare una feconda filiazione con l’esperienza lirica del nostro Novecento, ritroviamo cioè la cifra poetica cara ai protagonisti dell’ermetismo ma soprattutto la corrispondenza se non l’influsso della fugacità del tempo quasimodiano o più ancora del pessimismo montaliano, rintracciabile anche in alcune strutture linguistiche: “Vorrei svegliarmi/ per ricominciare di nuovo/ l’avventura di un destino”. E ancora: “Ero/ a cercare lo spazio/ ormai stracolmo/ di sogni inafferrabili/ quando di colpo girai gli occhi/ e mi accorsi d’essere fuggito”. Il che s’invera anche nelle poesie in cui più stretto e diretto è il rapporto col mare, in questo caso quello dell’amata Procida che sottende e anima la vena poetica anche nei momenti di più amara solitudine e che ispira a sua volta un sentimento di “redenzione”: “Un raggio di sole illumina il volto/compare il sorriso che agita il vento/ e sale l’onda nascosta/che nuove la vita e anima il giorno”.
Esperienza e memoria, vita e passione, sogni e delusioni non riuscirebbero ad avere tuttavia cittadinanza valoriale senza il soccorso della scrittura la quale consente all’autore d’immergere tutto ciò che gli sta a cuore in una specie di scrigno prezioso, testimone necessario e infallibile del proprio destino.
In un mondo che appare sempre più “privato di senso”, laddove ogni sforzo di comunicazione risulta destinato a naufragare, che calpesta il sentimento della cultura e nel quale , come ha ricordato amaramente George Steiner, “la funzione stessa del poeta è fortemente diminuita”, ogni testimonianza poetica ci appare quanto mai necessaria o addirittura indispensabile, per poter innanzi tutto riconsiderare il nostro ruolo nel tempo presente e le possibilità che abbiamo di incidere sull’evoluzione dell’universo; tenendo in mente l’illuminante riflessione di Dylan Thomas secondo cui “il mondo non è più lo stesso dopo che una buona poesia gli si è aggiunta”.
Ed è anche per questo che occorre “scrivere” come fa Luigi Finelli il cui contributo ci invita ora a leggere e riflettere su noi stessi e l’epoca in cui viviamo.