Lacreme ‘e cundannate è forse la canzone più completa in ricordo di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti per la pena di morte comminata ai danni dei due emigrati italiani in America, dopo una accusa inesistente ed un processo farsa, dall’artista Gilda Mignonette. La loro unica colpa è stata quella di fuggire verso il sogno americano, lontano dalla povertà.
Così si incammina “Santa Lucia Luntana – Gilda Mignonette: la regina degli emigranti” di Peppe Licciardi (prefazione di Gianni Cesarini – Edizioni MEA – pagg. 150). Maggio 1953, l’ultimo spettacolo musicale di Gilda per gli italiani d’America, gli emigranti, costretta su una sedia a rotelle per essere caduta qualche mese prima su un marciapiede di Fulton Street a Manhattan, mentre faceva shopping.
Un addio lungo, sofferto e sentito, dal pubblico quanto da Gilda, già provata dalla malattia, che rilasciò lacrime, emozioni vere, sentimenti laceranti. Circa centomila persone, molte delle quali fuori, su strada ad accontentarsi solo di sentire la voce dagli altoparlanti posizionati appositamente per non poterla osservare su un palco luccicante, perché senza biglietto. Sold out si direbbe oggi.
“E’ l’ultima volta che c’incontriamo, l’ultima volta che canto per voi. Ho deciso di ritirarmi, voglio tornare a Napoli, nella mia ma anche nella vostra amata terra… a voi italiani che restate qui in America, ve’ lasso ‘o core mio, ‘nu vaso e il ricordo di una donna che vi ha sempre amato come voi tutti avete amato.”
Negli ultimi dodici giorni di navigazione per tornare nella sua Napoli, nella mente di Gilda riaffiorano ricordi, sogni di una vita che fu, accadimenti, circostanze, vissuti. Uno dei tanti, la Piedigrotta del 1927. Già regina incontrastata della canzone napoletana, la Mignonette catturava le prime pagine tirate giorni e giorni prima dell’evento tra i più attesi dell’anno all’ombra del Vesuvio.
Nel suo ultimo viaggio Gilda deve misurarsi anche con la presenza di un anziano gangster americano, tale Don Ignazio Dragna, verso il quale la Mignonette aveva rifiutato di partecipare al matrimonio della figlia. Nel camerino la stessa sera in cui sposava la figlia di questi, l’emigrante napoletana trovò un abito di scena con un colpo di pistola all’altezza del cuore ed un bossolo avvolto con un chiaro messaggio mafioso:” certe cose vanno fatte”.
Ma Gilda non si scompose più di tanto, cambiò abito di scena come era suo solito fare e di nuovo tra il pubblico a cantare a squarciagola. Ma lo spettacolo dovette, per forza maggiore, interrompersi per uno spiacevole episodio. Un altro avvertimento del gangster rifiutato artisticamente dalla soubrette napoletana emigrata. Uno dei tanti e nemmeno il più leggero. Le pressioni della mafia americana su di lei si facevano sempre più veementi.
Il coraggio di Gilda non aveva direzione. Il 15 gennaio 1942 fu condannata dalla Corte penale del tribunale di New York, per apologia e istigazione alla disobbedienza civile. Una “condanna artistica”: divieto di incidere dischi, di partecipare a trasmissioni radiofoniche e censura preventiva ai suoi testi teatrali. A piede libero si, ma tarpata le ali.
Ma il suo coraggio civile e artistico le permisero di continuare a disobbedire, nonostante l’FBI la seguiva e gli ispettori dell’agenzia delle entrate americana la tallonavano per vederla “inciampare” nella trappola dell’evasione fiscale (Al Capone docet).
All’ottavo giorno di navigazione un episodio fa presagire l’inizio della fine. Le condizioni fisiche di Gilda cominciavano a precipitare. La malattia incombeva. Il finale di questo lavoro editoriale lascia pensieri indelebili nella testa del lettore e chiunque dovrebbe vivere quelle pagine per capire e interrogarsi all’indietro, per riguardare la propria vita, ma anche qui ci vuole coraggio, proprio come Gilda Mignonette ne ha avuto. Allora non è un libro per tutti, ma solo per coraggiosi.
Griselda Andreatini, questo il suo vero nome, riposa a Poggioreale nel cimitero monumentale. E come tanti napoletani illustri è stata dimenticata dalla storia.
In foto, particolare della copertina