Un libro pubblicato nel 2015 ma di struggente attualità, un componente del Consiglio Superiore della Magistratura che racconta innanzitutto la sindacalizzazione delle correnti all’interno della Magistratura: Aniello Nappi –  Quattro anni a Palazzo dei Marescialli– Aracne editrice, pagg. 172, Euro 12,00.

Cover Nappi| ilmondodisuk.com
Qui sopra, la copertina del libro

Luciano Violante nella prefazione usa parole sferzanti: «…La Magistratura ha due nature, quella di potere e quella di servizio. Dalle pagine di questo libro la dimensione di servizio per i cittadini appare nascosta in un cono d’ombra mentre emerge con preoccupante nettezza una gestione dei problemi in prevalente chiave di potere autoreferente…».
Quello di Aniello Nappi non vuole essere un amarcord né l’autore intende emettere giudizi morali su questo o quel magistrato, ma giudicare il funzionamento del Csm (foto in alto) per i quattro anni di permanenza al suo interno, individuando il declino e prospettando possibili soluzioni.
La strada si fa subito impervia poiché nel 2012 Nappi viene espulso dal gruppo consiliare di appartenenza (gruppi di lavoro all’interno del Csm) per aver contestato il riconoscimento del principio delle votazioni a maggioranza.
L’autore individua come motivo principale del declino del Csm l’alto grado di cultura sindacale all’interno di un organo che dovrebbe impegnare cultura politica a servizio di un istituto giudiziario.
Sia la componente togata che quella laica difettano non poco nell’interpretare quel ruolo, considerandolo meramente di gestione, a discapito della progettualità. Cosicché si verifica che i laici espressi da forze politiche di destra votano alla stessa maniera dei togati espressi da gruppi di centro destra. E così pure a sinistra.
I gruppi consiliari, previsti come forma di autoregolamentazione dei lavori all’interno del Csm, contribuiscono in maniera decisiva alla crisi istituzionale dell’organismo rappresentativo dei Magistrati. L’esempio più evidente che mette in luce Nappi è quello relativo alle attribuzioni di incarichi, specialmente i più ambiti. Molto spesso l’attribuzione di questi avviene, con enormi ritardi, per l’accordo tra almeno due gruppi che, di fatto, si spartiscono le decisioni.
Ma a difettare in modo lampante sono i termini che dovrebbero giustificare la scelta di un candidato a scapito di un altro. Spesso le motivazioni sono ripetitive e le stesse usate ora a favore ora contro in diverse decisioni.
Uno dei punti di caduta del Csm l’autore lo individua quando Giovanni Falcone propose l’istituzione della Procura Nazionale Antimafia, con il compito di accentrare tutte le indagini in capo a quell’organismo. Ma le cose andarono diversamente perché i magistrati condizionarono a tal punto questo istituto fino a farlo perdere vigore, attribuendogli un mero ruolo di coordinamento.
Aniello Nappi particolareggia diversissimi punti, tutti argomentati con dovizia e signorilità rispetto alle decisioni assunte in seno agli organi del Csm, senza mai entrare a gamba tesa su singoli soggetti e/o provvedimenti. Ma sempre dicendo la sua con il dovuto rispetto, lasciando prefigurare un rispetto per i Magistrati ed i suoi organismi di rappresentanza.
Il capitolo finale del libro non si sottrae nell’individuare soluzioni e prospettare cambiamenti a tutto vantaggio di un organismo fondamentale per le istituzioni democratiche del nostro paese.
Un libro competente per competenti, analizzato con documenti, con un linguaggio non per soli tecnici ma per tutti. Ma soprattutto un lavoro editoriale che vede prima ciò che sta succedendo oggi, proprio sullo spinosissimo tema delle nomine delle Procure. Con i veleni che stanno mettendo seriamente in discussione un organismo di garanzia e imparzialità quale dovrebbe essere il Csm.
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