Bagnoli, altro giro altra corsa. Un nuovo inizio, l’ennesimo. Nuove promesse, “nuovi” soldi, vecchi nodi, frasi stantie.
La firma di un ulteriore Protocollo d’Intesa tra la presidente del Consiglio – Giorgia Meloni e il sindaco di Napoli – Gaetano Manfredi, riaccende la speranza della “nuova” Bagnoli, aggettivo declamato ad ogni rinnovato atto che riguardi la zona occidentale della città.
Toni fermi e garbati, quelli dei due esponenti politici, si rendono conto che sono a rischio anche le loro parole, niente voli pindarici, piedi a terra e pedalare.
Tuttavia, il primo difetto di questo nuovo inizio sta in un aspetto formale che diventa maledettamente sostanziale in politica. Tenuti fuori i movimenti civici, le associazioni ambientaliste e i comitati, che da una vita difendono il territorio metro per metro, quelli che fanno vigilanza attiva da poco meno di un trentennio, da quando cioè “chiude l’acciaio” e si scrive quello che deve sostituirlo.
Se da un lato quei toni moderati declamano opere infrastrutturali e relative coperture finanziarie, ribadendo, a chiare lettere, che la partita della rigenerazione urbana di quel pezzo di città, a regime, porterà circa 10 mila nuovi occupati, dall’altro si sbatte la porta in faccia proprio a quei giovani che chiedevano il confronto. Quelli che volevano sentirsi dire delle “clausole sociali” rivolte a chi quel territorio non lo ha mai abbandonato, a chi è morto di amianto tra cenere e fumi tossici, tra condizioni di lavoro al limite dell’accettabile e carcinomi aggressivi. No, niente. Sbattuti fuori.
Perché dirlo a un uditorio pubblico (stampa, portatori di interesse, rappresentanti istituzionali, politici, sindacati) e non direttamente a chi quelle cose aspetta di sentirsele dire da decenni? Misteri della politica! 
Chi inquina paga. Non è uno slogan, è una legge dello Stato. Il Protocollo d’Intesa ribadisce questo concetto? Oppure l’accordo transattivo fatto tra il Comune di Napoli e i privati proprietari dei suoli (parole del sindaco Manfredi), mette quest’ultimi nella posizione privilegiata di non accollarsi la devastazione territoriale perpetuata nei decenni scorsi? Insomma, agli “inquinatori” verrà commissionata la bonifica a loro spese o, paradossalmente, parteciperanno pure alla riqualificazione ed erediteranno pezzi consistenti della “nuova Bagnoli”, senza bonificare?
Alla fine, se quel popolo resistente deve essere risarcito dello scempio ambientale patito per una vita, chi dovrebbe sostenere quei costi se non chi ha creato quelle tragedie umane? Misteri della fede!
E poi, la colmata a mare. Elemento universalmente riconosciuto come inquinante.
Il dibattito urbanistico, sin dagli anni ’90, ha registrato due opposte fazioni, chi sosteneva la sua rimozione, a partire da quanto scritto da Vezio De Lucia (il padre di Bagnoli), e chi, al contrario, riteneva più utile lasciarla lì. Questo Protocollo d’Intesa, “pilatescamente” rimanda la questione a un tempo davanti a noi ed anticipa che ne resterà una metà. Dopo decenni di aspre riflessioni sulla stessa, si concretizzerà, molto probabilmente, la via di mezzo. Così si “scontenteranno” tutti, ambientalisti e non. Maledetto “riformismo conciliatore”.
Se i presupposti sono questi, la “nuova Bagnoli” potrebbe non nascere mai oppure, nella migliore delle ipotesi, tradire le attese. Ancora una volta rimarrebbero al palo le speranze di chi aspetta di essere risarcito, di chi è morto di fabbrica e non potrà godersi il mare, l’ambiente, quel territorio, nonostante vi abbia lavorato una vita. Peccato per chi non è più qui e per quelli che, probabilmente, dovranno lottare fino alla fine.
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Foto di Santo Tarda, da Pixabay

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