E così la scuola volge al termine. Niente abbracci, niente baci, niente lacrime, né sorrisi, niente foto di fine anno scolastico. Niente di niente. Questo, un anno in cui abbiamo imparato un nuovo modo di fare scuola, che – ahimè – scuola non è! Non si può insegnare a distanza. Questo non è il lavoro che molti insegnanti hanno scelto di fare per vocazione. A distanza si possono solo divulgare nozioni, informazioni, ma insegnare è tutta un’altra cosa. L’insegnamento è un lavoro che richiede l’essere presenti, richiede partecipazione. È un dialogo a più voci. È confronto. La scuola è condivisione. Insegnare è mescolare. Muovere energia e creare sinergia con i ragazzi. Insegnare non significa solo istruire, ma anche e soprattutto formare ed educare. L’insegnante guida al dialogo, alla scoperta di se stessi, della propria personalità, allo sviluppo delle proprie idee, soprattutto attraverso il confronto con l’altro. Ma ciò non è stato possibile a causa di questo tsunami che ha messo in ginocchio tutto il mondo.
La mancanza dei ragazzi, la loro presenza fisica, quel vedersi ogni mattina, conoscersi e riconoscersi. Il chiasso in aula, il richiamare la loro attenzione. Le loro distrazioni già dopo i primi venti minuti di lezione. Quella penna che cade dal banco, il permesso per andare in bagno o ai distributori di merendine. Insomma, son tutte cose che quest’anno non abbiamo vissuto appieno, né io, né voi.
E adesso? Beh, ho un gran magone in gola. Quello di non poter salutare e abbracciare i miei ragazzi, e farlo attraverso un semplice schermo. Mi son fatta bastare i loro sorrisi, anche se non bastano mai. «Prof, adesso ci vorrebbe proprio un grande abbraccio» – mi dicono i ragazzi. E poi arriva la domanda, quella “dolente” che ogni docente precario non vorrebbe mai sentirsi dire perché in quel momento è straziante (e solo un insegnante può capire quanto!) «Prof, sarà con noi l’anno prossimo?» – continuano a chiedermi.
Non so cosa avrà in serbo il prossimo anno, per ora voglio dire solo poche parole ai miei ragazzi: «Quello che volge al termine è stato un anno intenso, duro, molto duro, sia per me che per voi. Ma tra mille preoccupazioni, ansie, paranoie, gioie e dolori, ce l’abbiamo fatta. Insieme. È così che vi ho sempre detto. E non vi siete mai scoraggiati, non vi siete fatti travolgere, né abbattere dagli eventi. Non vi siete avviliti. Ma con pazienza, costanza, con serietà avete affrontato un evento che ha sconvolto tutto il mondo. Mettendovi in gioco. Avete scoperto un’altra parte di voi stessi, e avete capito che una cosa la si può fare se si vuole. Chi subito, chi col tempo. Chi con entusiasmo, chi con diffidenza e perplessità. Chi per reale interesse. Chi con regolarità, chi occasionalmente. Ognuno lo ha fatto a suo modo. E io scorgevo le vostre facce concentrate, i vostri sguardi assorti, i vostri sorrisi soddisfatti, compiaciuti. E a me ognuno di voi ha regalato qualcosa, chi per la sua simpatia, chi per la sua dolcezza, chi per il suo modo di essere e di fare. Insomma, per le persone che siete. Siete speciali, ragazzi! Le vostre gioie, i vostri dolori. Le vostre ansie e le vostre preoccupazioni son le mie. I vostri sorrisi e le vostre lacrime. Io vi porterò sempre con me nel mio cuore perché ognuno di voi a suo modo mi ha dimostrato tanto. Siete giovani, siete il futuro. Quanta ricchezza c’è nel vostro cuore. Avete tanti sogni, dovete proteggerli. Prendete in mano il vostro sogno e fatene una grandiosa realtà. Abbiate il coraggio di aprire le vostre ali e volate in alto, sempre più su».
La vostra prof Teresa
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In foto, un’aula vuota, ma a settembre si tornerà a insegnare da vicino