“Concerto straordinario” si legge sul foglio di sala del concerto di Michele Campanella a Villa Pignatelli. E la promessa è stata mantenuta, anche se forse il significato dell’aggettivo non alludeva allo strepitoso genio del pianista napoletano. Tre cicli di variazioni hanno chiuso questa bella stagione del Maggio della Musica. Spiace alquanto dirlo, ma ci permettiamo rappresentare agli organizzatori la necessit di rivedere il pur fortunato schema del concerto con presentazione. Le moderne tecniche di analisi musicali, anche senza cadere nelle cervellotiche disamine di certo analismo di sapore bizantino, consentono oggi per davvero di guidare l’ascoltatore nella conoscenza e nella comprensione dei brani proposti. E poi, suvvia, non si può liquidare un pianista sommo come Campanella bollandolo con l’etichetta di "allievo di Vincenzo Vitale", tra l’altro definito – udite, udite – "fondatore della scuola napoletana". E allora dove collochiamo i vari Rossomandi, Thalberg, Denza, Cesi? Per non dire che ci è sembrato di sentire, a qual proposito non chiedetelo, che a Napoli sarebbe nata l’opera. Glissons, è meglio. Una proposta, si licet: sostituiamo l’introduzione con un opportunissimo invito a spegnere i cellulari e a non ingurgitare caramelle dall’involucro rumoroso.
Torniamo al concerto, ora. In apertura c’erano le Variazioni e fuga su un tema di Hndel di Brahms, affrontate da Campanella con piglio e vigore, senza trascurare, ma segnatamente nelle parti cantabili, la qualit del suono. Campanella ha ricavato dal pianoforte sonorit impetuose, orchestrali, che sicuramente avremmo apprezzato meglio in una sala pi ampia.
Chi è ancora convinto che Campanella sia interprete eminentemente lisztiano, perfino quando non suona Liszt, ha trovato una netta smentita nelle Variazioni in fa minore di Haydn, tutte giocate su rapide successioni di sonorit perlacee, di ineffabili volatine, di ritmi vivaci e brillanti. Le conclusive Variazioni su un tema di Paganini op. 35 di Brahms hanno consentito al pianista di dimostrare quanto l’etichetta di virtuoso sia inadeguata a descrivere un musicista completo, raffinato, colto e sensibile, capace di commuoverti e di stupirti , di farti sorridere e soffrire. In queste pagine Brahms esplora tutte le dimensioni della variazione, da quella armonica alla melodica alla ritmica, dando vita, cos, a un grandioso affresco sonoro.
Campanella sembra giocare con la tastiera, che domina da padrone assoluto. Al termine del concerto, mentre gli occhi gli brillano quando osserva il suo ultimo gioiello, Benedetto Maria, riceve i complimenti del pubblico e quasi si giustifica per essere ancora sotto l’effetto dell’aereo e di non aver dato il meglio di s.
Lo ringraziamo per aver suonato tanto, e tanto bene, e per aver donato come bis uno Scherzo di Mendelssohn e una strepitosa Toccata di Schumann. Una spettatrice lo abbraccia, gli chiede come abbia fatto a suonare una pagina cos difficile dopo un simile concerto. E lui, con l’ingenuo sorriso di un innamorato della musica e della vita: “ma a me piace tanto suonarla…”
Nella foto in alto: Michele Campanella