“Escluse le funzioni vitali, il karate è la cosa che faccio da più tempo”. Raffaele Manfrelotti, avvocato napoletano e docente di diritto pubblico all’universit  di Foggia, la prima esperienza d’insegnamento l’ha vissuta sul tatami, “quando insegnavo alle cintura bianche”. Tradizione vuole che l’allievo più anziano insegni i rudimenti della disciplina ai neofiti affinch si mettano a passo con chi ha iniziato prima. E cos “ho applicato all’universit  una serie di atteggiamenti, esempi e categorie che sul tatami risultavano vincenti” spiega.

Il processo della carota e il bastone “fare avvertire i piccoli progressi di chi si avvia alla disciplina, ma con tolleranza zero verso chi non si impegna”, perch il karate “da brava arte marziale presuppone uno sforzo e una disciplina costante”. Oltre a un grosso spirito di sacrificio. Uno spirito che sta scemando. ” un dato che mi preoccupa. E che riscontro tanto nel karate quanto nell’universit  è come se mancasse la voglia di mettere in gioco qualcosa di se stessi per ottenere risultati, vantaggi, una crescita…”.

A cavallo degli anni ’80 e ’90, anche per via di alcuni film (“Karate kid” su tutti) il karate ha vissuto sotto i riflettori. E oggi? “Vanno di moda gli sport da combattimento, come il full contact. Il karate non è uno sport da combattimento, prima di ogni cosa è una disciplina. Un modo di relazionarsi alla vita. Chi si avvicina al karate cerca un ulteriore strumento di conoscenza”.

Spirito di sacrificio, solidariet , spirito di gruppo. “Il karate è uno strumento per veicolare una serie di valori come questi. Ed è il motivo per cui avviai un discorso di insegnamento di arti marziali a Casal di Principe -ho la qualifica di istruttore- purtroppo l’esperimento fall perch dove sarebbe dovuta sorgere la palestra non c’era nessuno che voleva avvicinarsi alla disciplina”.

Dalla cattedra dell’universit  ai tornei… “Indubbiamente il momento della gara, quando c’è stato, è sempre esaltante. un modo di divertirsi e mettersi in discussione. Ma in realt  non è un discorso che ho mai coltivato seriamente, e non mi è pesato. Perch nel karate ho sempre visto uno strumento di ricerca interiore, una filosofia di vita. Il discorso sportivo mi attraeva meno di quello spirituale”. E continua “Nella vita ho avuto la fortuna di fare sempre quello che mi piaceva, anche sul piano professionale. Se ho fatto qualcosa di buono, credo che grossa parte del merito derivi proprio dalla pratica delle arti marziali. Praticandole io, che prima ero impulsivo e facile preda delle emozioni, ho imparato a controllarmi”.

La capacit  di controllarsi, nata probabilmente sul tatami durante il periodo adolescenziale. “Ho un ricordo molto forte. Ero cintura gialla o arancione. Prima di cominciare l’allentamento, avevo fatto l’errore di bere. Una ventina di minuti dopo mi scappava la pip. Non ero il solo. Un compagno, prima di me, chiese al maestro (Isidoro Volpe, n.d.a.) il permesso di andare al bagno. Ancora ricordo le sue parole, lapidarie “se non siete in grado di trattenere per un’ora la vostra voglia di andare in bagno, qui sopra è meglio che non ci salite”. Rimasi in silenzio, con la vescica gonfia, fino alla fine dell’allentamento. Questo episodio mi ritorna in mente ogni volta che mi capita di dover resistere, per tempi più o meno lunghi, al bisogno di fare qualsiasi altra cosa. E come se mi parlasse puoi resistere, continua a fare quello che stai facendo. Tutto il resto puoi farlo dopo, è meno importante di quello che ti impegna al momento”.

Nella foto, Raffaele Manfrelotti

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