Marlin editore/ Ankhesenamon, la regina di Tebe che voleva la pace con gli ittiti

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L’antico Egitto esercita un fascino legato alle opere – non a caso – faraoniche, le conoscenze mediche, astrologiche, ingegneristiche e le vicende politiche, militari e personali di alcuni personaggi storici dalla forte personalità e le spiccate doti strategiche e militari. Tra questi ci sono anche delle donne di cui Cleopatra è, forse la più famosa, ma non l’unica.
Annamaria Zizza in “La regina di Tebe” pubblicato da Marlin racconta un episodio, tratto dalla storia, relativo ad Ankhesenamon la Grande Sposa Reale, vedova di Tutankhamon.
Figlia di Akhenaton, il faraone colpito da una tassativa damnatio memoriae per aver introdotto il culto del sole Aton spodestando il potente clero di Amon, decise di intraprendere una iniziativa originale e in contrasto con il protocollo e le prescrizioni in materia di matrimoni.
Propose al re degli ittiti Suppiluliuma, potente avversario, di sposare uno dei suoi figli al fine di pacificare i rapporti tra i relativi popoli. Siamo a Tebe nel 1323 a.C. e la proposta è talmente fuori dalle regole da indurre a credere che si tratti di una trappola.
In realtà Ankhesenamon, sinceramente dolente per la morte del marito e senza figli, voleva proseguire il progetto paterno di un Egitto prospero e lontano dalla guerra. La cultura, i commerci, l’architettura e le scienze erano gli interessi della società egizia che ricorreva alla guerra per difendere e arricchire gli interessi dell’impero mentre la costante militarizzazione e la supremazia in battaglia erano il fulcro della società ittita. Due popoli diversi e contrapposti. La differenza è plasticamente descritta dall’autrice nel racconto dei luoghi e nel modo in cui tratteggia i pensieri e gli interessi che popolano la mente dei personaggi.
Tebe e Babilonia erano profondamente diverse da Hattusa, le prime celebrate come città ricche di bellezza e luoghi dagli svariati interessi, fortezza militarizzata la seconda. Gli ittiti erano consapevoli della loro superiorità militare dovuta al processo che avevano messo a punto e custodivano con gran segreto: la tempratura del ferro.
Gli egiziani combattevano con armi forgiate in bronzo mentre i loro avversari li contrastavano con il ben più resistente ferro temprato nel fuoco. La voce narrante è quella di uno scriba: «Per gli egizi, che mi hanno accolto con qualche sospetto quando arrivai alla Casa della Vita, sono Menthuotep, lo scriba, lo straniero».
Un medico saggio che vive la lacerazione identitaria tra il luogo d’origine, la Mesopotamia e quello di adozione, l’Egitto, quasi a ricordarci che le umane vicende nei millenni non sono cambiate. Quel che ci rende felici, allegri, ottimisti oppure tristi, disperati e tormentati sono sempre gli stessi motivi dall’alba dei tempi e la migrazione, il dover abbandonare la propria terra, è tra questi.
Menthuotep riflette su cosa abbia significato lasciare il proprio paese d’origine, la cultura e le abitudini per abbracciarne altre e il suo personaggio è presentato in antagonismo con quello di un altro medico il cui unico interesse è lucrare sulla sofferenza delle persone.
I due personaggi rappresentano le facce speculari della professione medica, un’altra riflessione dal sapore storicamente intramontato e molto attuale. Nel romanzo ci si imbatte in altri spunti interessanti: «Si fece trovare in piedi, davanti alla finestra, una sagoma contornata dalle prime ombre proiettate da un tramonto rossastro di straordinaria bellezza. Aveva sperimentato che era una posizione che metteva in difficoltà i suoi interlocutori».
Sono le parole attribuite ad Ay, il visir, l’uomo anziano che secondo il protocollo avrebbe dovuto sposare Ankhesenamon dopo la morte del faraone, suo marito. Né lui né la sposa reale, per motivi diversi, desiderano tale unione e leggendo queste righe si evince l’esperienza che l’età regala a un uomo abituato al comando, un uomo che ben conosce i meccanismi e il funzionamento della prossemica del potere.
A Zannanza, figlio sacrificato del re ittita ma scampato all’agguato durante il viaggio verso l’Egitto che avrebbe dovuto condurlo alle nozze, è affidata un’altra riflessione, a lui sono attribuite le parole per interrogarsi sulle dinamiche familiari e il prezzo della consapevolezza: «Ma perché vedere non equivale a cambiare la realtà e a volte non è un privilegio, ma piuttosto una condanna».
Zannanza è il figlio che soffre per il ripudio della madre, quello che cade in tentazione con la giovane nuova matrigna, quello che si sente diverso e non in sintonia, quello che cerca l’equilibrio nel contatto con la Natura. Uno stile narrativo scorrevole rende il romanzo una lettura piacevole, in particolar modo per chi ama il romanzo di ambientazione storica.
©Riproduzione riservata

IL LIBRO
Annamaria Zizza,
La regina di Tebe,
Marlin editore
Pagine 272
euro 16,90

L’AUTRICE
Annamaria Zizza vive e lavora a Catania. Collabora alla rivista di egittologia e archeologia “Mediterraneo antico” ed ha pubblicato il romanzo storico Lo scriba e il faraone (2021). Ha curato alcuni cicli di “Lecturae Dantis” ad Acireale, dove insegna materie letterarie in un liceo, ed ha ricevuto due menzioni speciali (Premio letterario “Salvatore Quasimodo” e Premio “Efesto”) per le sue poesie.

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