Campeggia, nella Sala della Meridiana del Museo Archeologico di Napoli, grande, bellissimo e potente, un cavallo di bronzo. Duemila anni fa si trovava, insieme ai suoi tre compagni, a tirare una quadriga lassù, sul frontone di un tempio, a Ercolano. Poi, la terribile eruzione del 79 d.C. lo fece cadere dall’alto, insieme ai suoi compagni, alla quadriga e al suo auriga. Fu ridotto in pezzi.
Così fu ritrovato negli scavi, che, per volontà di re Carlo di Borbone, erano iniziati nel 1738. Fu restaurato e fu visto, durante uno dei suoi viaggi a Napoli, dallo studioso tedesco Johann Joachim Winkelmann. Che trovò da ridire sul modo come trattavamo a quel tempo i nostri reperti archeologici. Ora, rifinito il restauro dall’équipe del Mann,  guidata dalla valente e coltissima Luigia Melillo, le ferite del suo manto lucente si avvertono appena.
Alla base, un’iscrizione ci ricorda il nome di Alessio Simmaco Mazzocchi (1684/1771), archeologo capuano, ultimo di ventiquattro figli, la cui madre era morta (ma c’era d’aspettarselo) dandolo alla luce. Questo splendido cavallo ne prende il nome. E ora il Cavallo Mazzocchi costituisce per il pubblico, tra una decina di altri interessanti e artistici reperti, il pezzo forte della mostra  magnificamente allestita proprio in onore dello studioso tedesco, per il suo compleanno. Una rievocazione solenne, in grande stile, che ha interessato non pochi importanti enti e alla cui realizzazione hanno collaborato decine di esperti.
Partner della mostra (Winckelmann e le raccolte del Mann. Monumenti antichi inediti, 1762”) del Mann è il m.a.x. Museo di Chiasso, la città svizzera vicinissima al confine italiano, tanto che un tempo, non so adesso, ci si andava dall’hinterland milanese a comprare benzina, sigarette e cioccolato perché, non gravati da tasse, vi costavano meno.  La direttrice del museo di Chiasso,  Nicoletta Ossanna Cavadini, è anche una co-curatrice della mostra napoletana. Pure la Svizzera,  tra altre nazioni europee, ha onorato Winckelmann e Napoli- ha detto il direttore del Mann Paolo Giulierini – non poteva mancare.
Johann Joachim Winckelmann, lo studioso tedesco (nacque a Stendal nel 1717), innamorato della civiltà greco- romana, nel 1755 venne in Italia e si stabilì a Roma, dove, quattro anni dopo, divenne collaboratore del coltissimo cardinale Alessandro Albani (1692/1771). Più tardi, nel 1763, ebbe un incarico prestigioso: fu nominato Prefetto delle Antichità dell’Urbe.
Già aveva conosciuto, in un viaggio nel 1758, Napoli, Ercolano e Paestum. Ritornò dalle nostre parti nel 1767. Nel frattempo studiava e scriveva. La mostra al Mann è dedicata al suo scritto, “Monumenti antichi inediti” che , pubblicato un anno prima della sua morte, non ebbe fortuna nella vendita, tanto che al cardinale Albani rimasero 420 copie invendute. Qui al MANN vi sono le matrici di stampa, l’ edizione del 1767 e quella del 1820, prestate dalla Biblioteca Nazionale di Napoli, un esemplare della ZentralbibliotheK di Zurigo e due manoscritti di Winckelmann della Bibliothéque Universitaire de Médicine di Montpellier. Una cooperazione internazionale di alto livello scientifico. “C’è molta Europa in questa mostra- ha sottolineato Giulierini- perché oggi più che mai è fondamentale riconoscersi nei valori alla base della nostra identità culturale”. Certo le idee di Winckelmann hanno avuto risonanza europea.
Ma qual è, oggi, la loro validità? Merito, senz’altro, dello studioso tedesco è essere stato un antesignano del concetto di restauro all’italiana, per il quale si deve innanzitutto rispettare il reperto antico e dargli soltanto quelle integrazioni necessarie alla sua conservazione e completezza, le quali per di più devono essere riconoscibili, in modo che l’oggetto non risulti un falso. E Winckelmann è  attuale per la sua concezione di un museo dell’antico valido per l’educazione del popolo.
Ma il suo concetto dell’antico è sottoposto a canoni precisi e la sua eccellenza ristretta a un tempo ben definito, cioè al periodo classico della Grecia balcanica, quello del V secolo a. C., quello al quale si riferisce tanta parte della scultura romana. Riguardo alla pittura, esalta la prospettiva toscana e le regole estetiche che da essa discendono, come la simmetria e il rapporto canonico tra le misure delle parti della raffigurazione. E naturalmente esalta il Rinascimento fiorentino, che queste regole rispetta. Ma non ama Michelangelo, secondo lui troppo esuberante. Giacché afferma che l’espressione dei sentimenti deve essere sempre contenuta e controllata.
E’ noto che le sue teorie sono alla base dell’arte neoclassica. E a queste si rifanno gli artisti suoi contemporanei come il suo grande amico Anton Raphael Mengs(11728/1759), come, più tardi, Antonio Canova (1757/1822). Ma queste stesse teorie sono anche figlie di un’epoca che si ribella al barocco e al rococo. Si sta già diffondendo  in Europa l’Illuminismo, che ispirerà il vento della Révolution.
Attualità del Neoclassicismo? Oggi sembra ci sia nell’arte molta confusione. E alcuni cercano l’intervento di una regola. Come quelli che, seguaci della globalizzazione, considerata espressione di libertà, diventano cattivi imitatori di  quel magnifico neoclassico post litteram che fu Le Corbusier, e credono che anche la propria architettura, in nome dell’uguaglianza, vada bene per tutti i paesi. Dimenticando che la libertà consiste nel poter essere se stessi, diversi dagli altri ma non diversi da sé.
Fino al 25 settembre
In foto, il cavallo simbolo della mostra

Per saperne di più
http://www.coopculture.it/heritage.cfm?id=73

 

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