Le strade nella vita possono essere tortuose, imboccare percorsi trasversali e dirigerci dove non ci aspetteremmo ma quel che abbiamo dentro lo portiamo con noi ovunque e trova sempre il modo di germogliare e dare frutto.
Julia Krahn è nata in Germania e lì aveva iniziato a seguire gli studi in medicina poi un richiamo altro, un interesse più forte e più profondo, deve averla spinta a vivere d’arte e a trasferirsi in Italia, a Milano.
La segregazione pandemica ha generato cambiamenti nella vita di molti di noi, in quella di Julia ha significato aprire uno studio a Sorrento – JK StUDIO – dove nutrire con il tempo, l’aria e la luce del Mediterraneo idee e progetti.
Ed è a Sorrento, in una sera di estate travestita da primavera, che si inaugura la mostra in cui idee e progetti hanno preso corpo. «Sentivo il bisogno di fare qualcosa, non potevo rimanere inerme a guardare» sono le parole con cui Julia mi introduce ai suoi lavori esposti sul Corso Italia di Sorrento fino al 3 luglio in un allestimento realizzato in collaborazione con il Comune di Sorrento e l’Associazione Festivà che apre gli appuntamenti della rassegna “Sorrento incontra”.
Julia è una fotografa da tempo interessata a indagare il tema della sacralità femminile, lo studio dell’iconografia, l’amore per l’arte figurativa e la passione per i santini prendono forma attraverso i suoi occhi negli scatti realizzati con il banco ottico, una fotocamera dotata di funzioni diverse e aggiuntive rispetto agli altri dispositivi, uno strumento che richiede tempo e spazi di manovra.
Imboccando il corso principale di Sorrento, da Piazza Tasso verso Piazza Veniero, lo sguardo viene catturato da teli di grandi dimensioni sospesi tra un palazzo e l’altro, un fondo blu su cui si imprimono ritratti di donne caratterizzati da elementi connotativi declinati in un’altra tonalità di blu e in giallo.
Il primo caldo estivo, quello che sul finire di maggio coglie di sorpresa mozzando il fiato, è mitigato da un accenno di brezza, quella bella delle città di costa che soffia la salsedine sulle braccia e alita sulle cose rendendole profonde, tridimensionali. La brezza stasera agita i teli, culla il blu, dandogli vita.
La prima cosa che noto è la scelta cromatica, rimanda all’attualità: i colori sono quelli dell’Ucraina. Il perché me lo spiega Julia, le donne fotografate sono ucraine, ha ascoltato le loro storie, compreso i moti del loro animo: la paura, la rabbia, lo sconcerto, la speranza e la voglia di raccontare al mondo quello che sta succedendo.
Frammenti di vita densi, corposi e profondi che hanno creato legami prima ancora che immagini. Alcune di loro le sono accanto mentre parliamo, tra tutte si percepisce il fluire di una corrente fatta di empatia, comunanza, sorellanza e condivisione.
La potenza dell’immagine è nel pathos che si trasferisce a chi, alzando lo sguardo verso l’alto, osserva la postura, i volti e le espressioni che il vento fa vibrare sopra la testa.
Per tutte Julia ha creato un costume drappeggiando stoffe, per ognuna ha forgiato dettagli che ne caratterizzano la storia. Nove ritratti per tre generazioni: Aleksandra, la prima, ha posato l’8 marzo e indossa una corona di mimose simbolo di resistenza femminile, Juliana che nella vita fa la pasticciera ha con sé delle spighe di grano e una forma del pane ucraino chiamato “palianytsia”. Una parola scelta per il suo essere usata come codice di riconoscimento, i russi che tentano di infiltrarsi vengono smascherati, per loro pronunciarla è difficile.
Lesya si sveste della corona di proiettili per porgerla allo spettatore, il suo porgere contiene un interrogativo: cosa ne facciamo di una corona così?
Marina porta in braccio la figlia di sei mesi, una madonna con bambino, la rappresentazione di una maternità in balia dell’imponderabile, il suo ritratto è seguito da quello di Gaika che ha con sé una pala simbolo della volontà e dell’urgenza di ricostruire quello che la follia umana ha distrutto: città, paesi, vite e futuro.
Olena brandisce uno scudo e indossa una corona realizzati con i ritagli di giornale che scandiscono la cronaca di guerra e -a portata di mano – ha un telefono cellulare, l’unico canale di comunicazione con il marito, Olga – una donna anziana – impersona l’Oranta di Kiev, madre delle madri con le mani in posizione di benedizione e un fazzoletto in vita su cui è ricamata la scritta PACE in ucraino.
L’ultimo telo è per Kira, una bambina, gioca con un palloncino che simboleggia l’infanzia rubata che vola via. Lei è l’unica che non guarda dritto nell’obiettivo perché non pienamente consapevole di quel che sta accadendo, le altre – tutte – infiggono lo sguardo negli occhi dello spettatore/trice con compostezza, dignità e fierezza.
Tra i teli esposti c’è anche un autoritratto, Julia – in trincea dietro sacchi di sabbia – ha in mano il suo strumento: l’autoscatto. L’aver incluso un autoritratto annulla ogni distanza tra questa comunità di donne, non c’è separazione tra chi sta dietro e chi davanti l’obiettivo, la relazione interpersonale acquista la dimensione spaziale della circolarità. Nessuna prima e nessuna dopo, nessuna avanti e nessuna indietro.
Il nome scelto per la mostra “St Javelin” – mi spiega Julia – è la concettualizzazione del percorso artistico, una santa che porta il nome del missile che altri paesi hanno inviato al popolo ucraino per resistere. Ma attenzione a non confondere la santità con la sacralità, la matrice del lavoro artistico è di stampo laico di quella laicità che riconosce la sacralità della vita in aspetti, momenti e circostanze in cui l’apparato simbolico assume una valenza fondante che conferisce significato.
Il corredo iconografico è raffinato, sottile e presenta una sintesi di elementi tra culture diverse che si incontrano e dialogano. La resistenza e la rinascita sono i temi sul tavolo, Krahn queste donne le ha cercate con la volontà di chi vuol accompagnare e condividere un pezzo di strada facendosi strumento di racconto e interpretazione attraverso l’elaborazione del simbolismo.
All’inizio del percorso, sul marciapiede destro, è posizionato un totem con un QRcode che rimanda ai testi – i racconti delle donne ritratte – e le interviste a cura di Francesca Massa.
Alla potenza dell’immagine si accompagna quella della parola. Non deve esser stato facile trovare i tempi e i modi per raccontare e raccontarsi ma Julia e le sue compagne di viaggio ci sono riuscite, alcune sono ancora a Sorrento altre sono tornate in Ucraina, i fili sottili ma resistenti costruiti in mesi di lavoro si tengono uniti tra loro in una trama che mostra dei volti e si ferma sulla carta con le parole. Vederle insieme è vedere la forza della vita, la tenacia, la determinazione e il coraggio di chi non si arrende. Julia è in partenza per la Grecia dove porterà St Javelin al festival internazionale di arte contemporanea Paxos Biennale.
Altre sponde del Mediterraneo conosceranno le storie di questa comunità di donne in una millenaria reiterazione che non conosce inizio né fine: il potere del racconto per immagini e parole che accompagna la nostra civiltà dagli albori. Se qualcuna/o di voi avesse voglia di sentire le loro voci potrà farlo il 30 giugno a Sorrento alle 19,00 al Chiostro di San Francesco per un nuovo appuntamento di Sorrento incontra.
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In copertina, scatto di Francesco D’Esposito durante l’inaugurazione della mostra
LA MOSTRA
Julia Krahn
St. Javelin
Ritratti di donne ucraine rifugiate in penisola sorrentina
in collaborazione con il Comune di Sorrento e Associazione Festivà
nell’ambito di Sorrento Incontra
Sorrento, Corso Italia (da piazza Tasso a piazza Veniero)
dal 27 maggio al 3 luglio 2022
L’AUTRICE
Julia Krahn è un artista tedesca multidisciplinare che utilizza diversi media per esprimere la sua arte. Nel 2002 lascia gli studi di medicina per dedicarsi completamente all’arte e si trasferisce a Milano dove vive e lavora. Durante il lockdown apre JK StUDIO a Santa Lucia, nel centro di Sorrento. Tra le mostre personali e partecipazioni a esposizioni presso istituzioni si segnalano: 2021 Paradise Lost, DG Kunstraum, München | 2019 DoUtDo, Parco Archeologico degli Scavi di Pompei, Pompei | Vulgata, Dom- und Diözesanmuseum Mainz (D) | 2018 ICEA – Soundlines of Contemporary Art, Yerevan, Armenia | Watch Your Bubble! Kustverein Tiergarten Berlin (D) | 2017 Oblio, Palazzo delle Esposizioni, Roma | Song Song Stills, Antonella Cattani Bolzano | Figura, Stiftung St.Matthäus Berlin, Bad Wilsnack, Berlin (D) | 2016 NEEDS, Akademie Graz, Graz Museum, Graz, (A) I Observation without an observer, National Gallery, Skopje, Repubblica di Macedonia | 2015 Rabenmütter, Lentos Kunstmuseum, Linz, (A) | Last Supper, Fondazione Stelline, Milano | It might have been a pigeon, Museo Diocesano, Milano | Woman, Mother, Idol, Landesmuseum Hannover, Hannover (D) | Sirens – Improvisation und Video, Sophienkirche, Berlin (D) | 2014 Trust Me, HdKK, Stuttgart (D) | 2013 Leidenschaften, Stiftung St.Matthäus, Berlin (D) | Beyond Belief, Musei civici Imola | 2012 Lilies and Linen, Antonella Cattani contemporary art, Bolzano | Mother Loves You, Voice Gallery, Marrakech | 2011 Angelus Militans – Nunc Instantis, Carlotta Testori Studio, Milan | 2010 Ja, Ich Will! Zirkumflex, Berlin (D) | 2007 The Creation of Memory, Galleria Magrorocca, Milan | 2003 Von Gänsen und Elefanten, Tufanostudio25, Milano.