Appena inaugurata al Museo Pan la mostra “Dalla Napoli di Keith Haring ai giorni nostri”. Un percorso che ci porta dall’America a Napoli attraverso street art e pop art, ideato da Andrea Ingenito con l’organizzazione di Arcadia e come Media Partner l’associazione napoletana Sii turista della tua città. Il comune denominatore è in realtà proprio la nostra città, che materialmente riesce ad abbracciare nel tempo e nello spazio personalità e movimenti che hanno segnato la storia dell’arte.
Entri e sei negli anni ‘80: colori squillanti e forme iconiche che hanno attraversato il tempo restando intatte nell’immaginario collettivo. Parliamo delle emblematiche linee di Keith Haring, nato in Pennsylvania nel 1958, occhialini rotondi e lineamenti minuti, artista-simbolo di molte cose: dell’arte di strada quella vera vissuta tra censure e denunce, dello spirito bambino, dell’amore universale, dell’anticonformismo, della lotta all’Aids e soprattutto della diffusione dell’arte per tutti.
L’allestimento è accattivante, la musica di sottofondo si mischia alla voce di Haring durante una delle sue interviste. Sulle pareti campeggia la serie completa “White Icons”, “Radiant baby”, le litografie per Lucio Amelio del 1983 e tanto altro.
Le figure umane tracciate da Haring non lasciano spazio a contraddizioni o ambiguità, non appartengono a nessun genere sessuale, a nessuna razza etnica. Sono esseri umani, apparteniamo tutti alla stessa tribù. E nei suoi disegni fanno tutto quello che facciamo noi nella vita: si abbracciano, fanno sesso, si odiano, sognano, urlano, ballano, si attraversano con le emozioni.
Un’arte che così diventa immediata, che mira a smantellare i pregiudizi e a essere compresa a livello universale. Un’arte che si presta alla facile riproducibilità, cosa che ha uno sbocco che Keith aveva subito colto e cioè quello del marketing. Nel 1986 apre infatti il suo PopShop a Soho e vende gadget e t-shirt con i suoi disegni.
Nel 1989 è in Italia e firma l’opera intitolata “Tuttomondo” che svetta sulla parete posteriore della Chiesa di Sant’Antonio a Pisa. E’ la summa del suo linguaggio: 30 figure di omini e animali tutti intrecciati tra loro, che veicolano un messaggio di pace universale.
E lo incontriamo durante la mostra, negli scatti del fotografo Luciano Ferrara, famoso ai più per lo scatto del Maradona che sale le scale per sbucare sul campo di calcio, ma che qui ci porta la testimonianza inedita di un tempo di fermento e sperimentazione di cui Napoli saprà essere parte. Per i napoletani era il post-terremoto, un periodo lungo più di una vita per molti e dalla tragedia scaturirà la collezione d’arte “Terrae Motus” di Lucio Amelio, che porrà la città al centro del mondo dell’arte contemporanea.
E restiamo a Napoli, perché Keith Haring è allestito proprio nel mezzo delle sale tra due artisti nostrani: Trallallà e Roxy in the box. Due artisti che come Keith hanno fatto della strada e della città la propria tela, portando avanti le proprie ricerche e il proprio stile. Per chi vive il centro storico in particolare, è inusuale ed emozionante al tempo stesso ritrovarli sulle pareti del Museo Pan quando si è abituati a vedere le loro creazioni nei vicoli o sulle saracinesche.
Roxy con i suoi Martiri e i suoi Santi protettori rivisitati in chiave ironica e il suo occhio sempre critico sul quotidiano e sulla città, Trallallà con le sue Sirene Ciacione che incarnano la bellezza mediterranea a dispetto di un mondo che vede nella magrezza eccessiva un morboso segno di perfezione. Spaziano dalla pittura agli stencil, dalle installazioni ai video, hanno tanta gavetta alle spalle e l’umiltà di chi non dimentica le sue radici.
Ma durante la visita, c’è anche spazio per un fuori programma: su sfondo rosso una delle più rappresentative opere di Banksy “Choose Your Weapon”, in cui l’immagine dell’iconico cane al guinzaglio di Haring è rivisitata dal famoso street artist inglese.
Potremmo ancora una volta chiederci se la street art ha senso in un museo o sulle pareti di una galleria o dare impropriamente del “venduto” a chi passa dalla strada alle esposizioni “ufficiali” ma la realtà è molto più semplice. L’importanza sta nella coerenza del messaggio che si vuole trasmettere. Se l’artista resta in linea con il suo pensiero anche passando dai vicoli alle mani di un gallerista, allora non abbiamo di che temere e anzi possiamo solo avere motivo di essere orgogliosi. Lucio Amelio docet e ben venga chi come Ingenito prosegue in questo solco. Andate al Pan (fino al 28 febbraio), vi sfidiamo a non uscirne con un sorriso.