Forma e colore, visione ed emozione sono le parole chiave della mostra “Pagine di seta” aperta al pubblico da oggi, sabato 2 ottobre al museo il Cartastorie della Fondazione Banco di Napoli.
Un allestimento interessante, in un museo singolare, in cui elementi materici differenti dialogano su un piano concettuale e uno visivo. Gli elementi materici sono gli abiti “scultura” di Roberto Capucci e le “carte” che documentano cinquecento anni di storia economica raccolte nell’archivio del Banco di Napoli.
La forma e il contenuto: le pagine di seta che costruiscono gli abiti e quelle di carta che compongono i documenti dell’archivio in cui tanto si può leggere della produzione serica locale. Ventuno abiti, scelti tra quelli realizzati nel periodo compreso dal 1956 al 2007 per donne dalla spiccata personalità, frutto di una ricerca stilistica, artistica, sintesi di un talento versatile.
Il dialogo concettuale si sostanzia nel rapporto tra forma e contenuto – ben reso dalle fotografie di Fabio Donato – a corredo del volume legato alla mostra, curato da Bianca Stranieri, nel quale si scopre e assaporano la Storia e le storie a partire dal legame individuato e creato tra due luoghi geografici legati da una produzione economica che ne ha caratterizzato la storia, quella gelsibachicoltura che in Campania e in Friuli Venezia Giulia alimentava le seterie.
Il testo e le immagini raccontano il patrimonio identitario di due comunità, quella meridionale e quella settentrionale, chi siamo e da dove veniamo. Sul piano visivo il dialogo è da cogliere nell’allestimento che accosta i plissé degli abiti alle pagine ondulate delle pandette conservate negli scaffali. L’occhio coglie l’ugual movimento della carta e della stoffa: onde, spigoli, superfici piane e volumi.
Molto interessanti i bozzetti esposti in cui forte è il richiamo alle avanguardie artistiche del primo Novecento in cui la sperimentazione era volta alla ricerca di canoni altri che potessero sostituire quelli tradizionali non più adeguati a esprimere e decodificare una realtà in mutamento.
Il dinamismo degli abiti di Roberto Capucci ha molto del futurismo italiano e del vorticismo inglese: la ricerca di una interpretazione innovativa, rivoluzionaria, della prospettiva spaziale, cromatica e semantica.
In mostra cinquant’anni di studio e passione di un signore ultranovantenne con lo sguardo fresco e l’occhio acceso di curiosità che visitando la mostra ha commentato: ”mi piace, è misteriosa!” Il percorso si conclude con un fuoco di artificio nei toni dell’oro: un omaggio al barocco napoletano con l’ “Angelo d’oro” del 1987 – scelto per la locandina – in cui molti ritrovano le sculture alate di Castel Sant’Angelo e di Santa Maria Maggiore e un trionfo di “controtaglio” in cui la stoffa sfida la sua natura fisica per acquisire tridimensionalità proiettandosi nello spazio, esempio lampante della ricerca della rottura dei canoni.
La peculiarità dello spazio museale ben si presta all’allestimento regalando la giusta atmosfera per vivere suggestioni. Il suo esser privo di luce naturale e distinto da una illuminazione che predilige il buio accompagnato da un apparato fonico costituente – che nella esposizione permanente è ricco di voci narranti e nella mostra temporanea dedicata agli abiti di Capucci limitato alla musica – risulta ideale per un allestimento in cui la vividezza dell’elemento cromatico, il colore è struttura portante degli abiti scultura, debba risaltare senza distrazioni.
Il progetto culturale è ideato da Rossella Paliotto – presidente della Fondazione Banco di Napoli – e da Enrico Minio Capucci, direttore della Fondazione. La mostra si terrà fino al 26 novembre.
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