La riedizione di un libro, in particolare l’opera di esordio di un autore maturo, è un’occasione preziosa per tentare una rilettura della sua produzione successiva è il caso del romanzo “Le alghe di Posillipo” di Giovanna Mozzillo, pubblicato da Lombardi Editore nel 1994 e di recente riproposto delle Edizioni La Conchiglia (euro 13, pp. 124).
Lungi dall’essere l’ennesimo prodotto di una letteratura memorialistica sterile e narcisistica, il volume è un’utile guida per comprendere l’immaginario di questa scrittrice napoletana che, prediligendo l’avventura e l’affresco storico, ha ritratto un universo femminile fiero e indipendente, collocandolo sullo sfondo di un Meridione (Napoli e la costiera) mai cos affascinante nei suoi usi e costumi.
La carrellata di ricordi dell’infanzia non è fine a se stessa al contrario, il vissuto personale è sempre elaborato in modo tale da approdare a una riflessione sull’arte e l’esistenza. Episodi di un passato rimpianto si susseguono, inframmezzati da digressioni sul mito e sulla fiaba, fonti di ispirazione per i romanzi più noti come “Quell’antico amore” in cui la caratterizzazione dei protagonisti e il loro stesso destino si colora di leggenda. Echi della fiaba della “Sirenetta” si colgono, infatti, nel personaggio di Stella che fantastica di dissolversi nel mare, alimentando, dopo la sua scomparsa, la diceria tra i marinai che si fosse gettata nelle acque per essere trasformata in un’onda proprio come l’eroina di Andersen.
Da queste suggestioni prende forma in “Le alghe di Posillipo” la fantasia dell’io narrante che, nel ritornare bambino, immagina di confondersi nel mare in una simbiosi non priva di erotismo.
Dall’amore per la natura scaturiscono poi descrizioni vivaci come quella delle querce e dei fiori che abbelliscono il giardino proibito, sorta di finestra sul mondo su cui si affaccia la casa di famiglia, o delle stesse alghe di Posillipo, cos duttili da poter essere adoperate sia in cucina che come monili nei giochi infantili.
Il ricordo funge da stimolo anche ad una personalissima e mai accademica rilettura della Storia rivive l’epoca fascista nell’episodio di Villa Diaz, rimasta disabitata in seguito alla fucilazione da parte dei tedeschi degli ebrei che vi si riunivano. In tema di rimandi, all’aneddoto della signora Volpicelli, il cui matrimonio fu osteggiato per le sue origini ebraiche, si ricollega il recente “La vita come un gioco” nel quale l’amore del giovane Brando per l’amica del cuore Maria Vittoria sar travolto dall’odio antisemita.
In questa Napoli colta nella sua bellezza e lontana dall’oleografia, borghesi e popolino sembrano rincorrersi a vicenda in un’attrazione involontaria frutto dell’evidente disparit l’incontro con lo scugnizzo e quello (mancato) con le prostitute, che esercitavano il mestiere sulle scale di Chiaia, attestano la simpatia della Mozzillo per i ceti più umili, un po’ come nei suoi romanzi in cui le eterne contrapposizioni religiose, sociali e sessuali sono esplorate in un’ottica di superamento e conciliazione.
Grazie a una prosa piana, quasi conversativa e arricchita da inserti dialettali, la scrittrice crea un clima di complicit con il lettore che finisce per affezionarsi a queste memorie e a sentirle vicine al proprio vissuto anche quando, per motivi generazionali, luoghi e periodi descritti non gli appartengono.
E va dato a Giovanna Mozzillo, erede di una tradizione classica che accoglie il presente, il merito di averci condotto per mano in un mondo vivificato da affetti familiari e da una cultura non intesa in senso inerte e autocelebrativo ma quale sapere da donare e condividere.
In foto, l la copertina del libro, particolare
12 marzo 2012