Luca Giordano torna a casa. Dall’8 ottobre al 10 gennaio il Museo e Real bosco di Capodimonte lo celebra, di ritorno dalla stagione napoletana al Petit Palais di Parigi.
Un successo strepitoso, in terra di Francia, dove l’esposizione sul più conosciuto pittore barocco napoletano, chiude il ciclo dedicato all’arte partenopea, cominciata con Vincenzo Gemito.
Un piccolo miracolo d’oltralpe, tenuto conto del rapporto antropologicamente complesso che i francesi hanno con l’arte barocca e, soprattutto, visto che l’unico soggiorno di Luca Giordano in Francia lo vide riscuotere la commissione per opere che non consegnò mai prima di sparire senza più farvi ritorno.
Giordano esposto a Napoli è più bello e più difficile che in Francia, mimetizzato perfettamente in un ambiente che respira barocco a ogni angolo, e dove spesso passa non riconosciuto.
Per questo la mostra è un invito ad andare a conoscere il Giordano cittadino, in primis nelle chiese dove partì la sua carriera.
Una linea di dialogo che da Capodimonte si snoda nei vicoli. Un confronto vivo che allontani dal Museo il suo peggior nemico: la noia.
Un autore più da affresco che da dipinto, quindi, che nelle chiese ha lasciato impronta vivida.
Un esempio: il San Michele di via Chiaia, in esposizione, una cannonata di antinaturalismo barocco, dice Stefano Causa, che con Patrizia Piscitello ha curato la mostra. Giordano è un autore che nei musei soffre, un autore da chiesa e un autore da casa.
Ed è per questo che l’esposizione richiama a un Giordano da camera, capace di lasciare all’uscio la sacralità nonostante i soggetti siano per lo più religiosi. L’allestimento della sala Causa è curata dallo studio COR arquitetos che per Caravaggio Napoli aveva ricostruito i vicoli al Capodimonte.
L’evento sveste i panni canonici introducendo lo spettatore in ambienti ricostruiti nella foggia seicentesca, coronando perfettamente la deforme bellezza dei modelli barocchi. Un susseguirsi di camere delle meraviglie, fino all’ultima impertinenza: una ricostruzione multimediale di alcune delle chiese che ospitano le opere del pittore napoletano.
Una mostra dal sapore iconoclasta, che mette a confronto Giordano con i maestri che lo ispirarono, Ribera su tutti, e che non si svincola mai realmente dal confronto con Caravaggio. Questi, fuggiasco, artista maledetto, che dalla pittura cercava di arrivare alla natura, è antitesi perfetta del pittore napoletano: padre di famiglia, accolto in varie Corti, votato allo sfruttamento della sua arte per l’arricchimento. Tendente dalla Natura alla Pittura.
Le influenze sulla sua pittura furono molte e rappresentarono il viatico per arrivare ad un’arte unica, riconoscibile, capace di ispirarsi senza timidezze ai soggiorni di Firenze, Venezia, Madrid, però non copiando mai.
Artista che non viaggiò mai a caso, e che lasciò la sua impronta ovunque.
Pure per questo l’esposizione di Capodimonte è un piccolo miracolo logistico, come ben ci spiega Patrizia Piscitello, possibile solo grazie al coordinamento dei molti musei proprietari delle opere del Giordano: da Grenoble ad Aiaccio, da Parigi a Madrid.
Uno sforzo corale teso a superare il difficile momento della pandemia, quando i musei chiusero con i depositi pieni di opere di altre collezioni, in una situazione inedita e dal forte dispendio di energie non solo fisiche.
Quindi, un artista europeo ante litteram, complesso e vasto, vittima del suo genio e che fa sue le lezioni dei grandi pittori del proprio tempo, espresse originalmente nelle oltre tremila opere lasciate.
Un’eredità importante, che mette in rapporto Museo e Città con una vivacità ancora non esplorata.
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Le foto della mostra sono di Amedeo Benestante
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(Dal lunedì al venerdì 9.00-17.00. Sabato 9.00-14.00)
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