Il sito web del Madre nel presentare la mostra informa che Detto tra le righe è il secondo appuntamento del progetto Materia di Studios, con cui LET_Laboratorio di Esplorazioni Transdisciplinari avvia un confronto e un dialogo intergenerazionale tra coppie di artisti, giocato sul terreno dell’archivio inteso come materia vivente connessa plasticamente alla ricerca e alla pratica artistica[1].
L’appuntamento è fissato per un giovedì di giugno alle 11 al museo d’Arte contemporanea Donnaregina di Napoli, dove due autori, di generazioni diverse, Ninì Sgambati del 1945 e Paolo Puddu del 1986, propongono un percorso che possiamo definire esplorativo prima che espositivo.  
Partendo dalla definizione di archivio, inteso come spazio di interazione tra forze contrastanti che sono continuamente attive nei processi di trasmissione della conoscenza e del pensiero, i due autori hanno interpretato le loro posizioni divergenti fronteggiandosi in un immaginario campo di scontro(1).
È stato formalizzato questo scontro in due movimenti contrapposti e complementari, arcaici ma anche moderni e attuali: lo spingere e il tirare(2).
C’è poi  un incontro con ciò che giunge inaspettato e di sorpresa: è l’imprevisto,  una modalità di accesso alla conoscenza che porta al superamento dell’esperienza e sfugge al dominio della coscienza(3).
Il tutto viene fatto in un museo, luogo di sperimentazione e “costruzione” di saperi e come tale predisposto alla funzione di archivio. Il Museo esercita tale compito raccontando le forze contrapposte di energie che fa emergere e palesare come immagine e forma.
Ninì Sgambati è stato coordinatore del laboratorio di tecniche e teorie artistiche Quarta Pittura, operativo nell’Accademia di Belle Arti di Napoli dal 1994 sino al 2006. Pensato e organizzato per lo studio e la ricerca di un fare artistico capace di dialogare, in maniera costante e costruttiva, con i luoghi e le comunicazioni di massa, il progetto Quarta Pittura, attraverso gli incontri interdisciplinari, ha indagato sulle potenzialità comunicative ed espressive dei fenomeni collettivi. Con questa visione, la creazione dell’oggetto artistico diventa momento di unione, scambio di opinioni e di idee e la sua realizzazione si esplicita nella forma di esperienza/esperimento collettivo[2].


Paolo Puddu sviluppa il suo lavoro attraverso l’utilizzo di linguaggi differenti, prediligendo la scultura e l’installazione site-specific[3]. La sua ricerca intende analizzare quei processi e quei comportamenti che intercorrono tra l’uomo e il paesaggio circostante. Spesso incrocia la sfera privata attraverso l’utilizzo e il design di oggetti di uso quotidiano, con quella pubblica sottolineando l’interesse per l’architettura e il suo tessuto urbano. Le diverse strategie di rappresentazione avvengono mediante azioni che vanno a disarticolare e ri-significare gli spazi con cui è chiamato a confrontarsi, con opere che mirano ad analizzarne gli aspetti politici e sociali, collocandosi all’interno di un’estetica volta a suggerire nuovi sistemi spaziali e concettuali[4].
I due artisti, formati dalla stratificazione di vissuti, opere, documenti e quindi essi stessi archivi immateriali viventi, sono accomunati da una ricerca sull’arte e le implicazioni sulle dinamiche sociali ma anche portatori di contrapposte risposte sulla pratica dell’arte. Le potenzialità concettuali e formali del disaccordo, enfatizzate nello scontro, date dalle affermazioni dell’ego sono sintetizzate in un percorso condiviso che non può fare a meno di contestuali rinunce.
Nelle tre sale del museo sono esposti altrettanti lavori interconnessi per struttura logica e connessione, accomunati tra loro come lo sono le parti di una frase.
Nella Sala 1 quella del soggetto è riprodotto un bassorilievo realizzato attraverso la scansione 3D dei corpi degli artisti. Le forze che intervengono quando si affrontano nella lotta, trovano il loro punto di equilibrio in quell’essere e riconoscersi come soggetti di una ripartizione dicotomica costituita dall’antico e dal nuovo, dal passato e dal futuro, dalla cronaca e dalla memoria, dal mito e dalla storia.
Nel foglietto illustrativo il pannello con il bassorilievo viene presentato come una sorta di metopa[5] di un tempio greco.
Nell’Opuscolo pieghevole lo stesso pannello, che potremmo definire di lotta e di governo del mondo, è collegato ad un riferimento primordiale: la leggenda che riguarda la creazione dell’universo. Secondo la mitologia cinese si deve a Pangu (槃 古), il primo essere vivente ed il creatore di tutte le cose, la separazione tra il cielo e la terr[6]. La storia racconta che in origine, l’Universo in cui nacque Pangu era nel caos ed era simile ad un uovo di gallina con la chiara energia cosmica Yang tesa a salire verso il Cielo e la torbida energia Y tesa ad affondare nella Terra.

Qui sopra, la sala 3. In alto, sala 1 e due. in copertina, i due autore durante un’intervista


Pangu crebbe l’uovo per diciottomila anni e al termine di questo periodo il Cielo smise di salire e la Terra di affondare. Il processo di creazione del Cielo e della Terra era terminato ed era stato creato l’Universo che conosciamo e Pangu era diventato un gigante.
Questo movimento di separazione, azione che ancora oggi si esegue con una mano distesa verso l’alto e l’altra verso il basso, è codificato e riprodotto in una sequenza molto antica denominata Otto pezzi di Broccato (ba duan jin[7]). La creazione di questa serie di esercizi viene attribuita ad un generale famoso Yueh Fei  che tra il 1103 ed il 1142 aveva ideato questa forma di Qi Gong[8]  per insegnare ai propri allievi come mantenersi forti, flessibili e poter rafforzare l’efficacia del combattimento. Attraverso le forze alternare di trazione e compressione, racconta ancora l’Opuscolo, si crea un’azione massaggiante che influenza il corretto funzionamento e la regolarità della milza e dello stomaco.
La Superficie 2, quella del Verbo, prende forma nella sala delle colonne. Questo luogo, composto da pareti e caratterizzato da colonne e capitelli che mantengono la loro elegante riconoscibilità nel tempo, è attraversato da una moltitudine disordinata di tubolari sottoposti a trazione e compressione che danno la sensazione di incombere e condizionare lo spazio. Chi ha immaginato tale rappresentazione rimanda alle linee tracciate con la grafite, elemento primario della rappresentazione, ma trasfonde gli stessi di altri significati: raffigurare visivamente la fase dello scontro che può essere anche incontro. La consistenza delle sollecitazioni esercitate sulle pareti della sala del museo è calcolata in tempo reale dai sensori dei dinamometri agganciati in corrispondenza dei punti di contatto. Ma il sistema non è statico e quando le forze in gioco variano di intensità̀ in base a spinte esterne che possono essere anche lievi, esprimono la potenzialità̀ di energie in continuo movimento.
Lo Spazio 3 è quello dell’Oggetto. Dopo aver definito il riconoscimento dei soggetti e dato espressione alle forze che modellano il nostro mondo, la terza sala indica una modalità̀ di accesso alla conoscenza che supera l’esperienza e quindi sfugge al dominio della coscienza ed in più si pone come esperienza collettiva. Una sequenza di immagini, proiettate ripetutamente  e visibili da ogni punto della stanza scorre su tre schermi, disposti in altro e al centro. Rappresenta la ripresa di un UFO, un oggetto volante non identificato che sfugge alle leggi della fisica da noi conosciute e per questo ha la capacità di sottrarsi ad ogni definizione.
Il percorso fatto con gli artisti Sgambati e Puddu ha consentito di riconoscere nelle tre sale tre momenti di un’unica narrazione. Un unico racconto narrato in tre atti. Nell’introduzione (1)[9] i protagonisti sono in lotta tra di loro ma anche con se stessi, più precisamente con l’autoritratto che emerge dal proprio archivio con la necessità di scegliere quali elementi conservare e quali eliminare nell’immagine che si vuole lasciare di sé alla storia. La contesa tra l’affermazione e il dubbio, l’interrogativo e la comprensione la transitorietà e l’eternità si risolve mettendo in evidenza la coesistenza di forze opposte rappresentato dalla trazione e dalla contrazione delle linee (2)[10]. A risolvere la disputa e pacificare i fronti della contesa  la presenza di un Oggetto alieno (3) che spinge verso un’altra dimensione rappresentata da un oggetto volante non identificato che sottrae a quello sforzo di sistematizzazione del reale rappresentato dall’archivio.
L’articolo sulla mostra si sarebbe fermato qua se non fosse successo un evento inaspettato o di sorpresa che mi ha impedito di completare il lavoro e consentito di vagare con il pensiero fino ad immaginare e fantasticare su altro. Questo fenomeno non preventivato, per una serie di condizioni oggettive, è comunque possibile. In effetti solo i fenomeni non prevedibili o ignoti  si sottraggono ad ogni definizione per la mancanza di strumenti che sappiano decodificarli o spiegarne i meccanismi. Il tempo passato in totale inattività mi ha consentito di ripercorrere le immagini della mostra e ricercare, nel mio archivio personale, nuovi collegamenti.
Sono partito dalla prima sala quella del bassorilievo che ha visto il LET come ispiratore, gli artisti come protagonisti ma anche figuranti del riquadro e la macchina, composta da hardware e software ideato da altri uomini, come artefice materiale della scultura. Il materiale della parete e quella del bassorilievo hanno un’unica remota origine sono gli elementi primari che hanno generato il Sistema Solare e che prima ancora erano raggruppati nella Supernova ed, ancora prima, in quell’Ammasso Primordiale che ha dato origine al Big Bang.
Eppure la parete si presenta diversamente dalla scultura permettendomi un’originale interpretazione di significante e significato. Ho immaginato il significante dato dagli elementi che costituiscono la struttura, mentre il significato come il contenuto, la costruzione della conformazione, cioè l’immagine che la struttura ci fa venire in mente. La “metopa”, rievocata dagli autori, richiama al ciclo scultoreo del Partenone rappresentata dai conflitti di quattro soggetti storico-mitologici: l’Amazzonomachia, a rappresentare la lotta tra Amazzoni e Greci sul lato ovest, l’Ilioupersis cioè la presa di Troia da parte dei Greci sul lato nord, la Gigantomachia cioè la lotta che i Giganti ingaggiarono contro gli Dei dell’Olimpo nel lato est e la Centauromachia la famosa lotta tra Centauri e Lapiti, due stirpi che hanno avuto origini comuni sul lato sud. L’immagine scolpita delle metope concorre a ricomporre una coscienza collettiva e individuale attraverso la rievocazione di grandi archetipi mitici narrativi, l’epopea della vita guerriera della polis, il fato cui nell’immaginario dell’aristocrazia dominante si voleva fosse destinata a soccombere la trasgressione di modelli di comportamento condivisi dal corpo sociale[11].
In sintesi le vicende narrate simboleggiano il potere della razionalità umana sulla barbarie generata dalla natura e dal caos. Se le rappresentazioni che si trovano sulle metope possono essere considerate secondo il loro significato simbolico in questa prima sala ho immaginato una rappresentazione che potesse far leva sulla drammaticità della scena aumentando la dimensione della scultura e ponendo l’impianto compositivo in primo piano per meglio coinvolgere l’osservatore che è anche l’osservato.
La seconda sala quella delle forze di trazione e compressione sembrano rimandare a quelle forze ancestrali alla base della formazione di un astro che attrae e ingloba il materiale dintorno. La rapida compressione che avviene all’interno fa riaccendere il combustibile termonucleare una miscela costituita di carbonio e ossigeno ad alta densità. Un corpo celeste di questo tipo diventa Supernova e si verifica quando una stella, dotata di una massa almeno otto volte più grande di quella del Sole, esaurisce il suo combustibile nucleare e causa un collasso del nucleo stellare.
Questo processo è accompagnato da un’esplosione che proietta nello spazio un’enorme quantità di materiale che rappresenta la parte degli strati più esterni della stella. Tutto quello che rimane è una densa stella di neutroni, che concentra una massa maggiore di quella del Sole in un diametro di pochi chilometri. A queste ataviche forze sembrano ispirarsi i tubolari installati nella Sala delle Colonne. I tubi curvi sono impegnati nell’azione di spinta sulle pareti e quelli tesi alla loro trazione con il compito di mantenere in equilibrio il sistema.
Un sistema molto diverso da quello celeste visto prima, che si sviluppa attraverso un’attrazione che aumenta l’interazione e la temperatura ed un’esplosione quando tale interazione non è più sostenibile in un lasso di tempo per noi inimmaginabile.
Non è semplice dare forma ed immagine a forze contrapposte di energie. Quella dei tubolari sembra una soluzione riuscita anche se mi sono chiesto il motivo di quel colore nero. Il nero si sa è assenza di luce ed un oggetto che riflette tutte le onde luminose appare bianco, come le pareti della Sala 1, ma uno che le assorbe tutte è visto come nero; e quello che invece le assorbe tutte tranne una, ha il colore corrispondente a quell’unica onda. Il nero può essere associato al buco nero che per sua natura ha la capacità di attrarre tutto anche le onde elettromagnetiche che poco si addice all’energia che come sappiamo ha un legame così intimo con la massa anche se foriero di nuove esplosioni e nuova vita.
Sugli schermi della terza sala sono proiettati immagini di UFO, oggetti che non si riescono a spiegare e per questo sono considerati non identificabili. Più correttamente dovremmo dire che manca un quadro conoscitivo che riesca a spiegare tale fenomeno. In tutte le forme di indagine dell’uomo, da quella scientifica a quella artistica, si può definire l’imprevisto non l’oggetto ma il soggetto reale della ricerca perché consente di osservare il nuovo ed oltrepassare il mondo conosciuto. 
La mostra che mi era sembrata scarna ed essenziale ha permesso di esprimere ulteriori riflessioni, alcune anche molto fantastiche, e, probabilmente, ha raggiunto il suo scopo: far riflettere.


NOTE
[1] https://www.madrenapoli.it/mostre/nini-sgambatipaolo-puddu-detto-tra-le-righe/

[2] http://www.leauledellarte.altervista.org/le%20aule%20dell’arte/new_page_12.htm

[3] La denominazione inglese site-specific (in italiano “specifico di un sito”) usata nell’ambito dell’arte e della creatività contemporanee indica un intervento pensato per un preciso luogo dove la forma dell’opera dipende dallo spazio in cui viene concepita e realizzata.

[4] https://studiovisit.me/it/paolo-puddu

[5] La mètopa, elemento architettonico del fregio dell’ordine dorico dell’architettura greca e romana, consiste in una formella in pietra, scolpita a rilievo, a seconda dei casi altorilievo o bassorilievo, posta in alternanza con i triglifi

[6] La leggenda è apparsa per la prima volta in un libro intitolato “La storia dei tre (Augusti) e dei cinque (Imperatori)” scritto da Xu Zheng (徐 整) durante il periodo dei Tre Regni

[7] Baduanjin (八段錦), che in lingua cinese significa letteralmente le otto (八 bā) pezze (段 duàn) di broccato (錦 jǐn), rappresenta una serie di esercizi di qi Gong, che spesso viene utilizzata nelle scuole di arti marziali cinesi.

[8] Il termine Qì Gōng si riferisce a una serie di pratiche e di esercizi collegati alla medicina tradizionale cinese e in parte alle arti marziali che prevedono la meditazione, la concentrazione mentale, il controllo della respirazione e particolari movimenti di esercizio fisico. Il qi gong, generalmente, si pratica per il mantenimento della buona salute e del benessere sia fisico sia psicologico

, tramite la cura e l’accrescimento della propria energia interna.

[9]  (1) Il soggetto

[10] (2) Il verbo

[11] Concetta Masseria, Monsieur Mario Torelli Il mito all’alba di una colonia greca. Il programma figurativo delle metope dell’Heraion alla Foce del Sele Publications de l’École française de Rome https://www.persee.fr/doc/efr_0223-5099_1999_act_253_1_5425

RISPONDI

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.