Libero De Cunzo propone la sua nuova personale “Tess” al Museo Nitsch di Napoli (fino al 22 febbraio) ed è come se ci prendesse per mano per mostrarci un’altra faccia della realtà: quella della lentezza e del silenzio, dei dettagli e della riflessione. Quella parte più difficile da vivere ogni giorno.
L’invito gentile a fermarci e soffermarci, a notare il dettaglio di cose, persone e scorci che attraversiamo e ci attraversano quotidianamente, a cui troppo spesso non facciamo più caso soprattutto per la fretta, quella frenesìa sia fisica che mentale.
“Tess” come tessere di un mosaico, la tecnica antica che richiede e pretende l’attenzione dello sguardo al centimetro e che De Cunzo sfrutta saggiamente per attirare i nostri occhi sulla luce, lo spazio, le forme e le ombre.
Perfetta la location del Museo Nitsch. Perchè “Tess” è una pausa che inizia già quando si attraversa vico Lungo Pontecorvo che porta in un altro mondo, fatto di suoni ovattati, case e mura che sembrano fuori dalla città.
Ti accoglie la terrazza-belvedere che guarda una parte di Napoli ed è già come una prefazione all’esposizione. Poche scale conducono all’ingresso e su una tela medio grande sbucano due occhi blu di un’insegna fotografata da Libero. Occhi affacciati sul mondo, blu come il cielo che fa da sfondo, lo sguardo dell’artista, il nostro sguardo, l’esortazione a “saper guardare” intorno.
Le 40 tessere di misura 20×20 formano come un pannello unico che ti spinge ad avvicinarti per leggere tutti quei frammenti di storie fermate nel tempo.
Molto intimi gli scatti che “vedono attraverso” qualcosa, un buco in una copertura di un cantiere, un velo che non svela totalmente cosa c’è al di là e che lascia il visitatore libero con la propria immaginazione.
Piccole porte per nuovi mondi, come la prospettiva dell’Antro della Sibilla a Cuma che è un poster-manifesto inquadrato in una cornice su uno spazio aperto, un’illusione di profondità e un’omogeneità di colori che confonde piacevolmente lo sguardo e lo sorprende. E poi tanta tanta luce.
C’è tutto il necessario per interrogarsi sulle dinamiche odierne del nostro stare nella realtà, del pensare che il noto “qui e ora” non è solo un modo di dire ma di essere e che diventa sempre più complesso da applicare a causa di un sistema sociale degradante.
In questo senso la fotografia, come le arti più in generale, sono un monito a riflettere e rallentare anche solo quando si va a una mostra, quando si scatta una foto, quando si va al teatro, quando si ascolta musica.
La tecnologia corre veloce e ci sovrasta, non lasciarsi travolgere significa dare spazio ai creativi, agli artisti, ai maestri che danno nuove prospettive e ricercano visioni alternative.
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