Napoli contemporanea/ La città merita una strategia con un bando d’arte internazionale. Fate votare ai cittadini i progetti da installare nelle piazze

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L’installazione appena inaugurata in Piazza Municipio, “Tu si ‘na cosa grande” del defunto celebre scultore, designer e architetto Gaetano Pesce induce a una serie di riflessioni sull’arte pubblica e contemporanea a Napoli. Spingendo a una critica costruttiva, tenendo conto del contesto storico e politico, non per nostalgia ma per proiettare il vero nodo della questione nel futuro.
La città ha accolto i più svariati movimenti artistici dal secondo dopoguerra: dal Mac Napoli (Movimento arte concreta con Baisani, De Fusco, Tatafiore e Venditti)) e dal Gruppo 58 (con Luca Castellano, Biasi, Del Pezzo, Di Bello, Fergola e Persico)  alla pop-art, al minimalismo fino all’arte concettuale.

Nell’immagine di Valentina Guerra, l’installazione di Gaetano Pesce in Piazza Municipio. Nelle altre foto, l’estemporanea di creatività in Piazza del Plebiscito, in occasione di Neapolis Marathon


Diversi sono stati i visionari che hanno contribuito alla diffusione di nuove idee anche in tempi più recenti: lo Studio Morra nel 1974 che porta a Napoli l’opera orgiastica e scandalosa di Hermann Nitsch (papà dell’azionismo viennese) , Lia Rumma con la propria galleria, Lucio Amelio prima con Pasquale Trisorio e poi ciascuno per la sua strada, Alfonso Artiaco che inaugura la sua a Pozzuoli nel 1986, appena ventenne.
Artisti internazionali cominciano fisicamente a circolare in città, come quando Warhol e Beuys si trovarono in Piazza dei Martiri nel 1980 proprio da Amelio ma anche il fermento strettamente locale viene fuori con Tony Stefanucci, Rosa Panaro, Gerardo Di Fiore, Domenico Spinosa, Mimmo Jodice e Mimmo Paladino solo per citarne alcuni dei tantissimi.

Qui sopra, il Museo Madre (foto di Amedeo Benestante)


L’oltreoceano arriva a Napoli ma non per imporsi. Per contribuire, per ampliare gli orizzonti, per ispirare e per creare un connubio, grazie a “mediatori” di un certo calibro. E Napoli può così parlare al mondo. Bene, i semi vengono gettati, trovando radici e in piena fioritura. Arriviamo agli anni ‘90.
E proprio nel 1990, la Fondazione Morra installa 8 opere di Bruno Munari in alcuni punti della città a ridosso del mare, dal Maschio Angioino fino a Piazza Vittoria, seguendo il lungomare Caracciolo. E’ un anno fondamentale perché inizia a diffondersi l’idea dell’arte “pubblica”, che esce dalle gallerie e dai musei. Non senza polemiche.
Nel 1994 inaugura la prima edizione del “Maggio dei monumenti” che diventerà un appuntamento fisso, fino ai giorni nostri. Ma un vero spartiacque nella memoria collettiva locale per l’arte contemporanea è il 1995, quando Piazza del Plebiscito non è più un parcheggio a cielo aperto e a dicembre appare la Montagna di sale di Mimmo Paladino.
L’arte contemporanea si espone a tutti, a chi ha occhio e chi no, a chi è del mestiere e chi no, a chi l’apprezza e chi no. Inizia, se vogliamo, la sperimentazione dell’educare al bello, dove per bello si intende la creazione artistica. L’intento è far conoscere questo anche al cittadino che non ne ha mai sentito parlare. La stessa piazza accoglierà anche i primi concerti importanti.
La città è amministrata per la prima volta dal sindaco Bassolino e il coordinamento del contemporaneo è affidato ad Achille Bonito Oliva (con Eduardo Cicelyn). E anche le fermate della metropolitana in via di costruzione verranno pensate come stazioni dell’arte che oggi conoscono tutti. (Le critiche agli anni della gestione bassoliniana le lasciamo ad altri contesti e continuiamo il nostro viaggio).
Nel 1996 nasce “Artecinema” una rassegna gratuita di corti cinematografici dedicati esclusivamente alle storie degli artisti contemporanei di tutto il mondo.
L’ idea vincente è dello Studio Trisorio. L’obiettivo è anche questa volta arrivare al grande pubblico. Chiunque può entrare e uscire dal Teatro Augusteo per vedere cose nuove, inusuali e originali.
Nel 2004 si avvia la collezione del Museo Madre, con Presidente della Fondazione sempre Bassolino e curatore sempre Bonito Oliva (attualmente ancora in carica come consigliere nel cda).
Nel 2005 inaugura il Museo Pan, Palazzo delle arti di Napoli. La città dentro e fuori si anima, dalle mostre intese nel senso più classico, alle performance più di impatto, dalla musica alla fotografia. Ci sono ricerche, domande, risposte e proposte.
Le opere in Piazza del Plebiscito si succederanno di anno in anno fino al 2010. Ma i nomi che si sono avvicendati erano sempre personalità note e radicate nell’ambito artistico, nessun “emergente” e niente spazio ai maestri napoletani e campani (eccetto Paladino). Ma per ognuna delle opere esisterà un filo rosso che le riconduce alla cultura napoletana o comunque che le lega al territorio, creando sintesi originali. Molto dibattito, si storce il naso o si condivide, malgrado atti di vandalismo e manomissioni.
E dopo? Si succederanno la sindaca Iervolino, carica di problemi in bilancio per le questioni artistiche e che verrà più che altro ricordata come la Sindaca della crisi nera dei rifiuti, e de Magistris che libererà il lungomare dalle auto e aprirà i portoni pubblici dell’arte finalmente agli artisti del territorio in particolare con l’assessore Nino Daniele (nel rimpasto del secondo mandato lo sostituirà De Majo).
Si riesce a dare rilievo anche al substrato artistico della città, quel vivo fermento culturale che parte dal “basso” e che viaggia non soltanto a Napoli ma anche nella provincia e nei luoghi periferici, anche se non c’è una strategia precisa. Non sono tutti concordi, ma di fatto si restituiscono molti luoghi alla comunità artistica.
Non è più il tempo delle grandi installazioni in piazza ma degli “artisti di strada e per le strade”, oltre che dell’impegno culturale. Non è tutto rose e fiori naturalmente, non ci dimentichiamo per esempio di “N’albero”, il mega addobbo natalizio di 40 metri, tutto illuminato e super contestato
La fase calante dell’ultimo mandato di de Magistris, vede l’ascesa dell’attuale sindaco Manfredi. Il post-pandemia lascia non pochi tragici strascichi a tutti i livelli culturali e la sua visione sembra voler tornare indietro a guardare i fasti delle vecchie installazioni d’arte.
Non c’è assessore alla cultura, ma un coordinatore delle politiche culturali del Comune di Napoli Sergio Locoratolo mentre lo storico dell’arte Vincenzo Trione cura Napoli Contemporanea, il progetto d’arte diffuso promosso dall’amministrazione comunale per riqualificare la città con interventi di artisti internazionali, con lo sguardo anche al recupero di spazi come il Pan e gli ipogei di Piazza del Plebiscito.
E in questa prospettiva la città accoglie la Venere degli stracci in formato gigante di Pistoletto; l’installazione “Io contengo moltitudini” di Marinella Senatore attualmente presente alla Rotonda Diaz; la recente e discussa opera di Pesce in Piazza Municipio “Tu si ‘na cosa grande”.

Riflettendoci, il progetto è diffuso sicuramente… ma slegato dalla città. Sono singoli episodi (come quando Jago lasciò per terra il suo bambino) un po’ autocelebrativi, che poco si preoccupano di guardarsi intorno. Si percepisce, e nemmeno tanto tra le righe, che non c’è un filo rosso e che manca una progettualità di contenuti. Di fatto, manca anche un comitato scientifico.
Non si tratta della scelta degli artisti in sé ma di avere una visione più ampia, cosa che il suo lungo e importante curriculum potrebbe permettere ma forse accentrare tutto in una sola persona non è una buona idea.
Napoli non è una piazza semplice perché il suo passato artistico visionario ce l’ha. Ha precedenti che vanno rispettati. Non si tratta di bello o brutto, si tratta di spunti e di lungimiranza perché la nostra eredità urla che dobbiamo saper lasciare un segno anche oggi.

Il “purché se ne parli” equivale alla resa, al vuoto. Si parla della Venere perché è stata incendiata e del Pulcinella perché è fallico e fa scalpore, perché destano reazioni. Ma il ragionamento non sta in piedi. Tutte le opere destano reazioni, quelle che non le destano è perché non esistono ancora.
Si potrebbe dare il via a bandi internazionali e non dalle scelte mirate e già decise e magari far votare al pubblico i progetti arrivati per definire quale realizzare. Basta con il privatizzare qualsiasi metro quadro per un’esposizione. Restituite gli spazi alla comunità, perché soprattutto dopo il Covid le piazze sono completamente snaturate.
Eppure, anche quando la visione di un’amministrazione è chiusa e ferma, il fermento dal “basso” non muore. Può succedere che si possa sfruttare un pretesto apparentemente lontano come lo sport per fare arte. E’ successo alla Neapolis Marathon 2024 tenutasi il 12 e 13 ottobre. L’evento sportivo più importante della città che attira atleti (e non) da tutto il mondo, ha aperto gli stand del villaggio della maratona anche all’ arte, permettendo a pittori, ritrattisti e street-artist di dipingere in Piazza Plebiscito in estemporanea. La stessa piazza che ha accolto partenze e traguardi, ci ricorda dell’animo creativo che c’è stato e del senso sociale di un luogo di aggregazione.


L’intento è far riflettere sul coinvolgimento delle persone, perché non è vero che l’arte pubblica riguarda solo un curatore e i prescelti artisti. L’arte è proiezione e apertura, comprensione, sono i nostri ricordi legati a un posto. Napoli merita molto di più.
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